Il nostro tempo manca di visione, di sguardo che ci porti avanti. L'orizzonte contemporaneo sembra avere perso il mandato di costruzione identitaria e cioè la capacità di una politica proiettata nel futuro e di un'azione pedagogica che spinga in avanti favorendo l'apertura a visioni nuove.
L'identità umana e sociale non può essere fondata su un fare difensivo ancorato alla conservazione. L'essere umano rimane tale solo se si mantiene in cammino e cioè capace di stare nella storia quotidiana scorgendone i segni dei tempi. L'autentica custodia del passato deve fare da base per spingersi in avanti e non per camminare continuando a guardare indietro.
Eppure la prospettiva socio-politica anziché seminare germi di crescita e guardare al futuro con speranza, pare sfruttare al massimo le risorse del passato fino a destrutturare il sistema di welfare sociale, si pensi alla riduzione del sistema sanitario o di quello pensionistico, per lasciare il vuoto dinanzi a sé. Si pertetuano, inoltre, politiche di sfruttamento ambientale che continuano a ferire il Creato senza curarsi del danno che ne avranno le generazioni future.
Lo sguardo si volge al passato, oltre a ciò, per radicare identità che sclerotizzano l'appartenenza fino a fomentare nazionalismi che escludono l'appartenenza nel mondo attuale che, piuttosto, richiederebbe capacità di incontro ed integrazione molto più veloci.
Assistiamo, dunque, ad una sorta di schizofrenia socio-politica: da un lato il processo di globalizzazione veicola spostamenti di flussi economici e di risorse ad alta velocità e, dall'altro, i flussi umani vengono osteggiati come se l'economia non fosse intimamente legata ad essi. Manchiamo di visione e lo sguardo tutt'al più viene circoscritto all'orizzonte immediato o, ancora, al proprio orticello.
Il Vangelo di questa domenica parla di visione e di lettura della realtà che ci circonda, evidenziando che è necessaria la guarigione del cuore per tornare a vedere ed operare di conseguenza. Per espliciare ciò Gesù coniuga due immagini che però si diversificano, due modi differenti di vivere la cecità.
La doppia immagine è tipica dell'insegnamento del Maestro in quanto mostra immediatamente il distinguo della via evangelica. Ad esempio quando descrive la casa costruita sulla sabbia e quella sulla roccia evidenzia come due apparenze identiche, di fatto, hanno profondità diverse e pertanto conseguenze ben differenti. Lo stesso accade quando racconta dei due uomini che stanno in preghiera l'uno mettendosi al primo posto per vantarsi e accusare l'altro, e il secondo che seduto all'ultimo posto continua a dirsi peccatore e, pertanto, bisognoso di perdono.
Spesso quel che appare viene contraddetto e il primo diventa l'ultimo, come nel caso della parabola del padre misericordioso in cui il figlio maggiore, apparentemente buono perchè rimasto in casa a lavorare ed aiutare il padre, si rivela cattivo ed invidioso perchè non ammette il perdono e la festa per il fratello prodigo che è tornato a casa.
La visione di Gesù non si ferma alle apparenze, ha speranza nel cambiamento e per promuoverlo scardina quanto potrebbe impedirne l'evoluzione, non tiene conto del torto ricevuto nel passato.
Un cieco che pretende di guidare un altro cieco è l'uomo che si fa maestro dimenticandosi di essere discepolo e che cerca, piuttosto, di trarre da sé gli insegnamenti. È l'atteggiamento che le guide d'Israele hanno nei confronti di Gesù, continuando a giudicare le sue parole e le sue azioni fino a tramare di farlo cadere.
Quando i farisei chiedono a Gesù «Siamo ciechi anche noi?», Gesù risponde loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane”» (Gv 9, 41). Sono saccenti e, dunque, criticano gli altri senza attendere misericordia per la propria vita. Di loro Gesù continuerà a dire: “Gesù disse: «Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi».” (Gv 9,39).
Riconoscere la propria cecità, dunque, è il principio base per accogliere la luce. Inoltre c'è un aspetto ulteriore che è ancora più invalidante in quanto chi continua a cercare e additare la pagliuzza nell'occhio del fratello, proprio con questo atteggiamento giudicante, si carica di una trave ben più grande dinanzi al proprio occhio. Tale postura critica è molto più grave dello sbaglio altrui.
Il giudizio che viene dalla Croce di Cristo, infatti, è frutto della misericordia e non della rabbia o del rancore verso l'umanità. Ciò significa che ciascuno deve porsi di fronte a questo criterio giudicante per sperimentare la gratitudine e la contrizione del cuore. È da questa Luce che il cristiano potrà vedere la realtà che lo circonda, tale Via è il criterio di Verità.
L'uomo che non accoglierà la Luce donata da Cristo cercherà la verità con fare inquisitorio e senza amore. Si ergerà al di sopra degli altri e al minimo sbaglio sarà pronto a condannare. È il fare distruttivo dei nostri giorni che fa del confronto un pretesto per demolire l'avversario.
Un giustizialismo parecchio discutibile. Altri, ancora, cercano di accrescere la conoscenza della verità attraverso pratiche esoteriche o la partecipazione a logge che possano dare conoscenza delle verità segrete. La Luce cristiana è ben altra cosa e trova nella relazione con Cristo Gesù la conoscenza vera che è frutto dell'esperienza d'amore.
La verità, illuminata dalla misericordia, è via di riconciliazione e di costruzione comunitaria, via per volgersi oltre imparando dagli sbagli precedentemente commessi. A questa nuova umanità la sapienza del Vangelo consegna la Luce necessaria per vedere e agire di conseguenza. Il nostro mondo ha bisogno di azione che scaturisce, puntualmente, dalla contemplazione.