Oggi condividiamo il Vangelo dall’Albania, da questo luogo dove dieci anni fa è nata l’avventura dei Missionari di Strada. La Parola continua a sorprenderci come a ricordarci che tutto viene da Dio e tutto a Lui torna seppur arricchito della partecipazione umana. E proprio il Vangelo di questa domenica, diciottesima del tempo ordinario, ci mostra come Dio chieda la docilità del cuore per fare nuove tutte le cose.
Inizialmente troviamo Gesù di fronte ad una grande prova che lo coinvolge personalmente e, al contempo, di fronte alla folla che lo interpella e che abbisogna della sua risposta. È un momento particolare, Giovanni Battista è stato ucciso e Gesù si ritira, ha bisogno di solitudine. È l’uomo che ha perso un amico anzi più di un amico, considerato che c’era una profezia che li accomunava e che li inviava ad una missione complementare: Giovanni prepara la via, Gesù è la Via.
Si potrebbe supporre che Gesù abbia colto in modo palese quella che sarebbe stata la sua sorte, in fondo già il Battista lo aveva indicato come l’Agnello immolato e cioè colui che avrebbe tolto il peccato del mondo pagando in prima persona. C’è una apparente vittoria del male sul Bene e il ritirarsi di Gesù è come un non volere contrapporsi al male utilizzando le stesse armi, il Bene si avvale di altre strategie d’azione.
Gesù si ritira in disparte, altrove il Vangelo ci indica come questo ritirarsi è per stare in relazione con il Padre, per ascoltare e consegnare a Lui ogni cosa. Gesù affronta il male sconfiggendolo e questo è possibile perché lo consegna nella preghiera al Padre, e poi Lui stesso si consegnerà per affrontarlo. La Croce non sarà un’esperienza intimistica di chiusura, come chi si vittimizza perché incompreso. Gesù piuttosto affronterà la Croce stando in relazione con il Padre e difatti l’ultima sua preghiera sarà la richiesta di perdono per l’umanità intera.
Ritornando alla scena di oggi assistiamo ad una sorpresa: mentre Gesù sta per ritirarsi in un luogo solitario si ritrova innanzi una grande folla che lo segue e che desidera ascoltarlo. Ricordo i tanti che abbiamo incrociato nel cammino di questi anni e che manifestavano il loro desiderio di Dio e la sorpresa nel ritrovarlo proprio lì, in vacanza, nella presenza eucaristica di una Tenda piantata in spiaggia, nel luogo dell’apparente disimpegno, come a scoprire che Lui desidera pienamente la nostra felicità.
La gente ha fame di Dio, oggi come allora desidera la pienezza della felicità, solo che non è facile distinguere la vera profezia. Quanti falsi profeti, venditori di fumo, ancora oggi affollano le nostre strade, uomini che propongono felicità, una vita facile attraverso la fortuna ad esempio, oppure proponendo potere, il successo o i soldi facili.
Durante un recente viaggio in aereo sono rimasto allibito innanzi alla comunicazione da parte dello steward che, in qualità di assistente di volo, mentre sorvolavamo il Mediterraneo ebbe a comunicare al microfono che il Capitano informava i passeggeri che si stava sorvolando una zona speciale e, mentre io cercavo di scorgere il panorama a cui mi apriva il finestrino dell’abitacolo, l’assistente proseguiva raccomandando l’acquisto dei biglietti della lotteria considerato che quella zona era attraversata da un particolare campo di fortuna! Un disorientamento simile ma con una replica ben più salda, considerato che stavo ben poggiato per terra, ho avuto quando l’impiegato della Posta, dopo avere pagato un bollettino, ripetutamente mi ha sollecitato a prendere tre “gratta e vinci” anziché il resto che mi doveva.
Esempi quotidiani che ci mostrano come la fame di Dio rischi di essere anestetizzata da chimere di turno, inequivocabilmente proposte quali sostituiti di Dio, mezzi per somigliare a Lui attraverso la pretesa di controllo/potere umano.
Quella folla che Gesù si trovò innanzi si era stancata di maghi e fattucchieri così come degli stessi scribi e farisei, loro che si erano appropriati del sacro facendone un luogo di potere. Piuttosto si erano messi in cammino alla ricerca del Volto di Dio e Gesù stava facendo gustare loro una novità di vita senza precedenti.
Gesù li vede e si commuove, ne ha compassione cioè visceralmente sente la loro presenza, non perché “pesanti” ma perché a loro fa spazio dentro di sé. Ecco cosa attrae le folle: il Volto di Dio si manifesta per mezzo della sua misericordia, loro non parlano e Gesù già li ascolta, si rende conto di chi sono e di cosa hanno bisogno. La compassione è esperienza di profonda empatia, Lui sente quello che loro cercano nel profondo, magari loro stessi sono inconsapevoli rispetto a ciò che li muove spingendoli fin lì.
C’è un ulteriore aspetto: Lui si trovava in quel luogo per stare con il Padre e per pensare, riflettere su quel che stava accadendo e, presumiamo, sulla direzione della sua missione ma la contingenza, data dalla loro presenza, lo provoca. A volte cerchiamo chissà quale segno per discernere, andiamo in cima alle montagne per incontrare Dio e Lui invece si fa trovare lì dove siamo o, comunque, si rivela in modo inaspettato. Abbiamo bisogno di imparare a leggere la nostra storia a partire dal quotidiano e non attendendo momenti migliori, perfetti, magari quando finalmente saremo tranquilli ed in pace, intimamente ritirati con Dio. Tentazione spirituale può essere l’attesa della condizione perfetta, quella ideale, quella in cui finalmente potremo crederci “giusti”! Differentemente la storia ci interpella spesso portandoci altrove rispetto al programmato, al già conosciuto.
Gesù stesso si lascia interpellare dall’inaspettato, sta in ascolto del momento e, tradendo ogni logica dei “ben pensanti”, non risponde all’uomo secondo il suo peccato, ma volge lo sguardo alla pecora perduta ed è capace di attendere l’ultimo dei suoi figli. È per questo che lo stesso Concilio Vaticano II ha individuato nella storia uno dei luoghi teologici in cui Dio si rivela, ed è attraverso la storia che ci è dato di incontrarlo.
Ciò significa mettersi in ascolto di Dio, della sua Parola, lasciarsi plasmare da Lui, dai suoi pensieri e sentimenti. È un ascolto che trasforma interiormente e che decentra, abbiamo bisogno di perdere il nostro equilibrio, spostare il baricentro spesso fin troppo centrato su noi stessi.
La scena evangelica ha un ulteriore sviluppo, sta per scendere la sera e loro rimangono con Gesù dimenticandosi finanche di mangiare. Intervengono i discepoli ritenendo cosa buona congedarli perché quegli uomini potessero tornare in città e sfamarsi, altrimenti giunta la sera sarebbe stato un problema.
I discepoli in realtà si stanno inquietando, è la preoccupazione del prudente che utilizza il buon senso ma che rimane un po’ esterno, non si compromette. Così è di quella carità fatta con gli spiccioli e che permette a molti di arrogarsi il diritto di mormorare su chi non vuole lavorare o su chi ruba, è l’uomo che finge compassione ma in realtà continua ad essere pieno di sé. Il sopraggiungere imminente della sera diventa preoccupante per i discepoli, in effetti alla sera il povero si sperimenta più bisognoso e pertanto più esigente: chiederà!
Abbiamo bisogno di discernere se le nostre preoccupazioni sono legate al timore delle domande che potrebbero arrivare, ciò nonostante la vita ci questiona a dispetto delle tante strategie di evitamento.
La misericordia è ben altra cosa, è un lasciarsi contaminare dall’altro, inquietare dalla sua presenza ed interrogare dalla sua necessità. Ancor prima del bisogno materiale di cibo, c’è la richiesta di dignità, di vedere riconosciuti i propri diritti, la possibilità di potere coltivare un sogno, studiare, fare una passeggiata o una gita per conoscere. La Missione di Strada va dalla periferia al centro, parte da occasioni informali di incontro, l’arte di strada, i giochi in spiaggia, gli spettacoli serali, e da lì arriva alla proposta della Tenda: un tempo di sosta dinanzi al Signore.
In fondo ancora oggi Gesù indica la strada: date voi stessi da mangiare. Non si tratta semplicemente di un dare cose, trovare cibo, ma di un darsi per nutrire l’altro. È quello che Gesù farà sino alla fine offrendo dalla Croce il suo perdono. Non è tanto il morire in Croce a costituire il Dono ma il come Lui muore e cioè amando, dando in nutrimento all’umanità di tutti i tempi il suo Amore.
I discepoli quasi lo rimproverano, contano i cinque pani e i due pesci, il cristiano non può stare a fare troppi conti. Oltretutto questo conteggiare lascerebbe un implicito: questi bastano solo per noi! Comprendo, abbiamo bisogno di crescere come Comunità, in primo luogo noi pastori chiamati a testimoniare la Parola che spezziamo.
A volte sembra così lontana la Comunità delle origini ove tutto veniva messo in comune e si vendeva per sostenere le Chiese più povere. Eppure siamo quell’unica Chiesa, oggi come ieri, e questo ci sostiene nel cammino e ci rafforza nella tensione verso il Bene ed il Dono totale. Abbiamo bisogno di partire da quel che siamo, da quel che abbiamo, è questo il nostro tutto da presentare a Dio. L’obolo della vedova ci rimanda all’importanza del poco che abbiamo, è Dio a moltiplicarlo perché la sua azione di grazia supera ogni misura se c’è la nostra fiduciosa consegna. Lui propone una via nuova ed inaspettata, alternative che certo esulano dal premeditato umano, da quello di cui ci si vorrebbe accontentare, Lui stesso ha bisogno di questa disponibilità per potere operare sino in fondo.
Alza gli occhi al cielo e pronuncia la benedizione. C’è un rimando all’ultima cena, lo sguardo volto al Padre mostra questa continua relazione e, benedicendo, riconosce il bene che il Padre opera nel prendersi cura dei suoi figli. Prende i pani ed è un prendere non per possedere e bramare ma per condividere, per dividere con tutti. Non si tratta tanto di una moltiplicazione da intendersi come un aumento a dismisura dei pani ma di un con-dividere che basta per tutti. Il moltiplicare piuttosto rimanderebbe all’accumulo e al bramare, qua si tratta di spartire, spogliarsi, nutrire l’altro. Allo stesso modo la Missione di strada costituisce un con-dividere il Dono che non ci appartiene, di cui siamo custodi ed al contempo ricercatori in continuo cammino.