Fermarsi per lasciarsi provocare dalla vita

by Mauro 17. aprile 2012 18:11

  Sono ben lieto di condividere domani pomeriggio una riflessione sulla figura di Santa Chiara nel Monastero delle Clarisse di Termini Imerese. Attuamente in tutta Italia innumerevoli eventi cercano di fare memoria, nell'ottavo centenario della sua scelta di vita, di una donna che rimane una figura di straordinario rilievo per l'umanità intera.     

    Lei che è entrata nel Mistero della vita scegliendo la vita claustrale. Ancora oggi la scelta di tante giovani provoca la nostra società che sembra avere smarrito il senso e la preziosità della vita ed in primo luogo l'importanza di ogni relazione umana.

    Oggi parlare di santa Chiara quale modello di umanità nella sua dimensione affettiva e relazionale, significa aprire una luce sulla ricerca dell’uomo contemporaneo che sembra mostrare le ferite dovute alla mancanza di questa esperienza d’Amore. Chiara mostra il volto dell’amore, con tutta la fatica che questo comporta, ad un’umanità, la nostra, che mostra il suo volto ferito.
    La vita affettiva è esperienza relazionale, è per la relazione che siamo fatti, proprio su una piattaforma relazionale scorrono le emozioni e quindi gli affetti. Ciò che nutre è l’amore, il sentirsi riconosciuti ed il riconoscere l’altro. L’Incontro nasce da questo scambio, ma ciò comporta un mettersi in gioco, un essere disposti ad andare sino in fondo, un darsi che è certo un perdere qualcosa per l’altro: fare spazio, dare qualcosa di proprio, accettare il legame. Ciò ci rende più vulnerabili, significa dare potere all’altro sulla nostra vita, significa rileggere il senso dell’autonomia e della libertà: apparentemente è più facile l’individualismo, il dominare l’altro, ma in realtà ciò pro-cura profonda solitudine.  
     Non è semplice parlare di Santa Chiara, basti pensare che quando era ancora in vita, Tommaso da Celano nella Vita prima di San Francesco d’Assisi (scritta tra il 1228 e il 1230) la descrive come già santa. Il biografo però attesta la grande passionalità della giovane Chiara (aveva 36 anni) la quale dice era tutta ardente di desiderio nell’amore si Dio. Una passionalità che si esprime nel difendere la causa di Dio, e quindi la fedeltà alla forma di vita che aveva promesso.
  1. Chiara mostra un carisma attraverso la sua vita e non raccontando cose: Si custodiva dentro e si diffondeva fuori. Chiara, infatti, si nascondeva ma la sua vita era nota a tutti. Chiara taceva: ma la sua fama gridava. Si teneva nascosta nella sua cella: eppure nella città si predicava di lei (FF 3285). Si predicava di lei che era divenuta Vangelo. Così come per la teologia apofatica possiamo cogliere i tratti di Chiara, la profondità della sua personalità, dicendo ciò che non è, ciò che non ha voluto essere.
     Quella di Santa Chiara di Assisi è stata un’esperienza del tutto inedita, follia per quel tempo, al pari dell’esperienza di Santo Francesco da cui accoglie la forma di vita evangelica. Ma certo la vita delle sorelle povere è un’esperienza originale e non facilmente comprensibile dalla Chiesa del tempo. Si trattava di mediare le istanze di una Chiesa che aveva consolidato l’esperienza monastica del carisma benedettino, modello che era riconosciuto anche dall’aristocrazia, pensiamo al ruolo economico e sociale assunto dai monasteri con i loro latifondi. Nota interessante è che Chiara e molte delle sue prime sorelle provenivano proprio da famiglie aristocratiche. La difficoltà era data proprio dalla novità del carisma: una vita claustrale vissuta in assoluta povertà ed espropriazione sul modello dei frati minori. Il modello per-tanto era la fraternitas e non la communitas benedettina. In realtà il particolare momento storico vedeva già la riscoperta della dimensione relazionale che usciva dalla stasi determinata dall’assetto socio-economico tipico del sistema feudale. Il ruolo sociale non era più rigidamente prefissato dall’appartenenza familiare: ciascuno poteva riscattarsi e accrescere il suo status attraverso i guadagni o le vittorie riportate in guerra. In un tempo in cui molti cercano un’ascesa di classe sociale Chiara sceglie di di-scendere da nobile a a povera dama.
    Chiara dice di volere obbedire al Papa e al Cardinale Ugolino ma anche al programma di vita evangelica propostole dal padre Francesco. Per cui lotterà per 40 anni, per difendere la forma di vita vissuta a San Damiano che faceva paura all’intera Chiesa. Addirittura si temeva che in altri monasteri si potesse seguire la stessa radicalità. Chiara non volle attribuirsi la fondazione del Secondo Ordine, indicando in Francesco il fondatore della nuova forma di vita. Solo nel 1263, dopo la morte di Santa Chiara (1253) poté essere indicata come fondatrice di quell’ordine che da allora fu denominato Ordo Sancatae Clarae.
  2. Comprendiamo allora il forte temperamento di Chiara, che pur mantenendosi obbediente alla Chiesa non esitò a difendere la forma di vita che le era stata consegnata. Infatti di fronte alla paterna proposta di Gregorio IX, che aveva a cuore sia l’Ordine di Santo Francesco che quello delle Povere Dame di San Damiano, di accogliere in dono dei possedimenti disposto anche a scioglierla dal voto di povertà, lei si rifiutò ribadendo che tale scelta sarebbe stata contraria al Vangelo.
  La fedeltà alla forma di vita non significava mancanza di libertà, lei era tal-mente libera da desiderare il martirio per amore, cioè amare sino alla fine.  La preditta madonna Chiara era in tanto fervore di spirito che volentieri voleva sostenere el martirio per amore del Signore. Tanto che quando seppe del martirio dei primi frati in Marocco ella si infiammo di fervore di Spirito tanto da dire che voleva andare anche lei in Marocco (la sorella presente si mise a piangere nell’ascoltarla).
    3. La libertà di Chiara ci viene mostrata anche dal suo desiderio di seguire la nuova vita. Già in giovane età Chiara con forte desiderio era rivolta  a Dio e «Dopo che il Padre celeste si degnò di illuminare per sua grazia il mio cuore, perché sull'esempio e con la dottrina del beatissimo padre nostro san Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, insieme con le mie sorelle, liberamente gli promisi obbedienza».  A diciotto anni liberamente decide, di seguire la forma di vita ispirata a Francesco. Lei di nascosto e non da sola aveva incontrato Francesco, questo significava rischiare il giudizio altrui, e la persecuzione dei parenti qualora si fossero accorti. La notte dopo la domenica delle Palme Chiara fugge recandosi a Santa Maria della Porziuncola. Chiara lascia le vesti che la facevano nobile agli occhi della gente per prendere un abito povero, taglia i capelli in segno penitenziale come ha affermato fra Luigi Padovese, oggi martire, chiarificando che non si trattò di un atto di consacrazione tradizionale, visto che non c’era un Ordine già costituito. Chiara con questo gesto sceglieva di essere una penitente, non diventava una monaca. Fu accolta in quella fraternità ma certo fu condotta nella chiesa di San Paolo affinché iniziasse la sua nuova vita. A San Paolo delle Abbadesse «avvenne che, sforzandosi i suoi parenti di ricondurla via con loro, ella resistette con fortezza e con costanza; abbracciò subitamente l'altare e, tenendosi stretta alle to-vaglie, scoprì ad essi il capo tonsurato, volendo con ciò manife¬stare che, essendosi ormai, con tutto il cuore, sposata a Dio, non poteva permettere che la si strappasse dal servizio di Cristo». I parenti reputano tale vita una condizione vile e non degna della famiglia, l’accusano cioè di avere tradito la famiglia. Ma approfondendo bene la questione, quel monastero benedettino era garantito da possedimenti e pertanto ric-co. Il problema stava nel fatto che Chiara stava in monastero da penitente e quindi da serva delle monache, anche perché per essere accolta come monaca avrebbe dovuto portare la sua dote! 
   4. Cerchiamo di chiarire il legame tra Chiara e Francesco, andando al di là dei luoghi comuni. Chiara nasce nel 1194, quando Francesco aveva 12 anni, e soprav-visse a lui ventisette anni. La relazione tra Chiara e Francesco passa per il silenzio, poche parole ci sono riferite dalle fonti, come a mostrare una profonda riservatezza tra i due. Tanto che il santo veniva a volte rimproverato dai suoi frati di essere troppo duro con Chiara. Alla fine dei suoi giorni Francesco sarà disposto ad una maggiore apertura, chiederà confronto e conferme e Chiara, vicino alla morte si rifugia a San Damiano, ed è vicino a Chiara quando intona per la prima volta il cantico di Frate Sole e di Sorella Luna in cui qualche verso pare ispirarsi proprio a Chiara.  Chiara nel suo Testamento afferma:  «Quando lo stesso santo, infatti, che non aveva ancora né fratelli né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, mentre edificava la chiesa di San Damiano, totalmente visitato dalla consolazione divina, fu spinto fortemente ad abbandonare del tutto il mondo, per gran letizia e per l’illuminazione dello Spirito Santo profetò a nostro riguardo quello che poi il Signore adempì. Salendo infatti in quel tempo sul muro di detta chiesa, a certi poveri che si trovavano lì appresso diceva a voce spiegata e in lingua francese: “Venite e aiutatemi nell’opera del monastero di San Damiano, perché qui tra poco ci saranno delle signore: nella loro esistenza degna di fama e del loro santo tenore di vita sarà glorificato il Padre nostro celeste in tutta la sua santa Chiesa”» TestCl 9-14 (FF 2826-2827); Cfr. L3C 24 (FF 1426). Francesco prepara lo spazio, ma sarà Chiara con le sue sorelle a mostrare con la loro vita la Gloria di Dio. C’è una intesa relazionale tra Francesco che da spazio a Chiara, e lei che da spazio a Dio.
  Mentre Francesco ripara la chiesa di San Damiano ecco che profetizza l’arrivo delle Sorelle povere. È interessante che la prima opera di Francesco sia il riparare Chiese e il prendersi cura dei lebbrosi, come a mostrare una assonanza tra le due azioni: c’è un corpo, quello della Chiesa, che abbisogna di cure. E potremmo dire nel cuore di questa azione, in quel luogo che in modo significativo esprime lo stare al di fuori delle mura per INCONTRARE, ecco che Francesco colloca la vita di Chiara e le sue sorelle. Come il bisogno di un sostegno nel luogo che mostra l’affidamento, la fiducia totale a Dio. Uscir fuori dalle mura per entrambi significa: non avere garanzie di protezione, ma anche si sostentamento con viveri dati dalla gente, così come il rischio di solitudine relazionale.
  5. Chiara comprende quale compito ha la sua vita insieme alle Sorelle povere, così dirà nel Testamento:  «Il Signore stesso infatti ci collocò come forma, in esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle, che il Signore chiamerà alla nostra vocazione, affinché esse pure siano specchio ed esempio a quanti vivono nel mondo. Avendoci dunque chiamate il Signore a cose tanto grandi, che in noi si possano specchiare quelle che sono esempio e specchio per gli altri, siamo tenute a benedire molto e a lodare Dio, e a fortificarci ancor più a operare il bene nel Signore. Perciò, se avremo vissuto secondo la suddetta forma, lasceremo agli altri un nobile esempio e con una fatica di brevissima durata ci guadagneremo il premio della beatitudine eterna» TestCl 19-23 (FF 2829-2830). Chiara con le sue sorelle devono specchiare la forma di vita evangelica mantenendola integra, cioè senza lasciarsi imbrigliare da altre forme, come quella benedettina, che avrebbero impedito la trasparenza della forma di vita. Chiara cerca una relazione con l’altro e con Dio che non abbia compromessi. La funzione di specchio è straordinaria proprio perché permette di vedere con verità, senza essere cangiato. La relazione autentica ha questa connotazione, l’altro è visto e riconosciuto per quello che è e non per quello che dovrebbe essere secondo il mio pensiero. Inoltre c’è anche un rapporto di ri-specchiamento tra Chiara e Francesco, lei ha assunto la forma vitae che lui le ha consegnato ma al contempo lei mostra a Francesco la forma vitae che lui ha accolto da Dio per sé. È bene inteso che la forma di vita evangelica è luce per il mondo, e quindi motivo di ulteriore rispecchiamento, perché rispecchia la bellezza di Dio.
  6. In Chiara troviamo un profondo senso di umanità, è radicale ma profondamente umana. Ad esempio nel caso delle penitenze corporali o della correzione fraterna, lei mantiene uno sguardo aperto alla comprensione della persona, così nel caso delle ammalate: Riguardo alle sorelle ammalate, l'abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo delle altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro infermità, sia quanto a consigli, sia quanto ai cibi ed alle altre necessità, e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità del luogo. Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle ammalate, come vorrebbero essere servite esse stesse nel caso che incorressero in qualche infermità. L'una manifesti all'altra con confidenza la sua necessità. E se una madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale  (Regola Santa Chiara FF2797). Lei da un grande valore alla povertà, proprio perché attraverso di essa vuole essere ricca soltanto del Signore, chiede alle sorelle di rimanervi fedeli per conformarsi a Cristo povero. Nelle città, a differenza della società contadina, il poveri erano numerosissimi e costituivano un impatto molto forte per chi aveva modo di incontrarli così numerosi tutti in una volta.  Anche la Chiesa veniva interpellata dai movimenti pauperistici che chiedevano una maggiore radicalità evangelica ai costumi della Chiesa. Il compromesso era stato trovato nella scelta di povertà personale anche se non vi era povertà comunitaria, ma questo certo non era una risposta esaustiva, e la stessa Chiara abbandonò il Monastero di San Pietro anche per questo motivo. Certo non poteva vivere la precarietà itinerante propria dei frati ma poté limitare al minimo la necessità delle sue sorelle. Non è tanto un esercizio di mera mortificazione (come era allora nel monachesimo), la povertà assume un significato nuovo, fonte di gioia e di libertà.
  7. Il dono delle lacrime frutto della sua intimità con Dio e con l’umanità: La beata Madre ebbe la grazia de molte lacrime, avendo  grande compassione alle Sore e talli aflitti. E specialmente effondeva molte lacrime quando receveva el corpo del nostro Signore Iesu Cristo (Testimonianza di una Sora al Processo di canonizzazione FF 2973). Ribadisce che l’abbadessa è madre per cui deve farsi obbedire più per amore che per timore, ma tutte sono corresponsabili, e nessuna ha privilegi rispetto alle altre.
      Così scrive nel Testamento: … e amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinchè le sorelle, provocate da questo esempio crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità (FF 60).

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Comments (1) -

Sr. Elisa
Sr. Elisa Italy
18/04/2012 20:36:00 #

bella e profonda meditazione che ci fa vedere il limite della nostra umanità, ma redenta dal nostro Dio e Chiara è per noi tutti modello....

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