La confusione tra mezzi e fini è una questione nodale del nostro tempo. Per indebolire un sistema sociale bisogna privarlo di senso e cioè di direzione verso la meta procurando, così, un'assolutizzazione degli strumenti che però mai potranno appagare la fame di festa.
La parabola evangelica che ci viene presentata in questa domenica (Mt 22, 1-14) nei primi tratti mostra i preparativi per una grande festa nuziale, curata dal Signore per i servi come se questi fossero i reali destinatari della festa, cioè gli sposi.
È la narrazione, al di fuori degli schemi, di un re perseverante nel suo invito e incapace di rinunciare alla festa preparata per gli ospiti. Il Dio cristiano è il Dio della ospitalità che chiama alla comunione piena con la Sua vita, è questo il senso del dono e del banchetto nuziale.
L'essere umano, di riflesso, è un invitato cioè desiderio di Dio che si muove per raggiungerlo e donargli tutto. C'è da chiedersi: perché tanta resistenza di fronte ad un invito così prezioso?
Ci accorgiamo che accettare la proposta, di fatto, equivale a rinunciare all'autodeterminazione e al procurarsi nutrimento da soli.
L'uomo del campo così come quello d'affari pare avere centrato la vita sul possesso e sulla capacità di arricchirsi diffidando del prossimo. La fiducia è messa in discussione in quanto non c'è capacità relazionale nell'uomo auto-centrato. È già troppo pieno di se stesso per cui non ascolta e non si lascia sorprendere da una proposta di vita molto più ricca rispetto al proprio “fare”.
L'accumulo di denaro, secondo tale prospettiva, dà valore alla propria vita, c'è un'impostazione meritocratica che accomuna all'uomo capitalista dei nostri giorni. Si tratta di una società che esclude la gratuità, tutto è sottoposto alla conquista e, di conseguenza, alla competizione. Non c'è spazio per l'amore, per il dono senza misura, per la scoperta di essere accolti ed amati gratuitamente.
L'uomo non accetta perché la gratuità rievoca la propria fragilità e il bisogno dell'altro, ossia l'insufficienza personale. Per accogliere l'invito bisogna riconciliarsi con i propri limiti e con la necessità di comunione con il prossimo.
Il Signore rimane fermo nella sua passione per l'uomo, infatti la scena di fronte al rifiuto è sì quella della distruzione di una città, di un sistema di rifiuto, ma ciò affinché si possano invitare, ora, sia buoni che cattivi senza limite. I nuovi invitati vengono trovati ai crocicchi, agli incroci della vita ove ciascuno si trova di fronte ai bivi esistenziali ed è chiamato a decidersi verso una via piuttosto che un'altra.
La festa di Dio abbisogna dell'accoglienza e solo ora può avere inizio. Notiamo che un uomo viene trovato senza la veste nuziale e portato fuori. È la storia di chi sceglie scorciatoie e vie alternative per entrare anziché accogliere l'invito riconoscendosi peccatore perdonato. Pensare che la veste nuziale veniva donata proprio all'ingresso della casa ed era il modo per dare appartenenza e bellezza alla festa attraverso la veste ricevuta.
La liturgia ci rimanda immediatamente alla veste battesimale quella che esprime il riconoscimento totale e gratuito che il Padre dona all'uomo contemplandolo come figlio.
È una pagina, quella del Vangelo di oggi, che ha assonanze con i racconti di integrazione ascoltati lungo il Festival delle letterature migranti che si è appena concluso a Palermo. Una storia biblica di contaminazioni ove il giusto e autosufficiente soccombe e chi si apre all'accoglienza e al dono, senza lasciarsi distrarre dai possessi, scopre che tutto è già pronto. La festa della vita è frutto della comunione, quella che non ammette calcoli ma che si fonda sull'ascolto!
È così che la nudità ripetutamente ferita, di molti, è stata rivestita e non tanto di panni ma di riconoscimento e desiderio di umanità. Chissà che l'uomo che ha perso tutto non possa restituirci il gusto della festa del vivere. È parabola dei nostri giorni, da meditare sul nuovo Lungomare delle migrazioni...