Sembra che l'uomo contemporaneo abbia perso la prospettiva dell' “oltre”, avendo inteso la propria realizzazione come stanziale, come se la meta da perseguire fosse l'appagamento acquiescente.
Le grandi religioni monoteiste mostrano invece l'esistenza umana come un andare al di là, rivolti ad un orizzonte mai compiuto.
Intendere la vita come viaggio è proprio dell'uomo veramente umano, altrimenti verrebbe meno il desiderio e l'esistenza diventerebbe una quotidiana conquista e competizione, luogo in cui trincerarsi per divenirne, in definitiva, schiavi!
Ciò equivarrebbe a ghettizzare i popoli e la civiltà. Non ci appartiene questo modo di intendere il confine o la cultura e la Sicilia è sempre stata crocevia di popoli, sintesi di culture ed è questa ricchezza che fa della nostra terra un luogo di inestimabile valore.
Ciò non significa essere privi di identità ma stare sulla soglia rimanendo capaci di accogliere. È l'esperienza di Abramo che dalla soglia della tenda, a Mamre, scorge l'orizzonte e va incontro agli stranieri quando gli si presentano alla vista. Egli nell'ora più calda del giorno si trovò ad accogliere i tre stranieri offrendo loro ospitalità e cura e, annota la Scrittura, si trovò ad accogliere degli angeli di Dio.
Quel luogo, Mamre rappresenta il luogo della promessa di Dio ove ad Abramo aveva detto:«La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio» (Gn 17,1-16).
Ma Abramo non farà di quel “possesso” il luogo della esclusività ma dell'accoglienza ed è per questo che lì potrà ricevere la promessa della discendenza da Sara, la sua vita, cioè, sarà resa feconda.
Dio è accoglienza, questo è il volto del Dio cristiano e già del Dio d'Israele. Il hinarsi proprio dell'Incarnazione è l'accoglienza di Dio che non resta spettatore ma si fa prossimo, si contamina con l'umanità accostandosi in modo particolare agli ultimi, a quanti pensavano di non avere cittadinanza, dignità, per la società del tempo.
Gesù ascoltava e così entrava in profondo dialogo, provava com-passione per quanti gli stavano di fronte e non esitava a con-dividere fino a donare totalmente la Sua di vita.
Nel passo evangelico della tempesta sedata (Mc 4, 39 – 40) troviamo il maestro che invita i discepoli ad andare all'altra riva, è l'esperienza dell'uomo che entra in dialogo con Dio. Gesù sale sulla barca e dorme, è totalmente consegnato al Padre e non viene turbato dal mare in tempesta ma dal grido dei discepoli. È lì che Gesù dopo avere calmato il mare si rivolge ai discepoli chiedendo della loro fede, se si stanno davvero fidando di Lui.
Ci troviamo di fronte ad una scena che interpella i nostri giorni, giorni in cui si muore nel nostro Mare.
Sono 30.000 i migranti morti annegati negli ultimi 15 anni, 3000 lo scorso anno, 1400 da gennaio ad oggi. Qualcuno potrebbe erroneamente chiedersi: Dio non ascolta più il loro grido?
La domanda, a nostro avviso, è un'altra: dov'è il nostro grido? Forse la chiesa è rimasta troppo distratta rispetto al fenomeno migratorio? Quale è la coscienza comunitaria e come ci stiamo facendo carico del grido di interi popoli?
Torna in mente l'espressione evangelica “Ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25, 35). Gesù si identifica con lo straniero che si presenta alla nostra porta.
Forse abbiamo fatto della nostra porta una barriera? Non più una soglia che ci apre alla realtà ma un muro che ci chiude dentro?
Chissà cosa saremo disposti a riconoscere all'orizzonte...