La Missione luogo di Incontro

by Mauro 14. agosto 2012 11:56

   Pensando ai giorni appena trascorsi, al dopo-Missione, mi sovviene una immagine di straordinaria eloquenza e bellezza attraverso la quale Michelangelo, nella Cappella Sistina, ha espresso la chiamata alla vita: l’affresco della Creazione di Abramo.
      Lì troviamo due mani che si cercano, si protraggono l’una verso l’altra ma senza riuscire a toccarsi, è la magia dell’Incontro ad essere espressa.
       Si, rimane una certa distanza, uno spazio che separa, così è dell’incontro tra glie esseri umani, esperienza mai esaustiva, conclusa, rimane sempre qualcosa di non conosciuto, da scoprire e da riconoscere.
      Noi umani sin dai primi momenti di vita cerchiamo l’Incontro, la nascita è caratterizzata dall’esperienza del separarsi per venire fuori ed immediatamente dalla ricerca dell’altro perduto.
       Durante la Missione ho avuto modo di scorgere, in alcuni frangenti di sosta, il profondo rapporto tra diversi Missionari ed i loro bimbi ai primi mesi o anni di vita. Neonati e bambini che cercavano il contatto almeno visivo, con le figure di accudimento. Significativo è stato trovare i due nascituri, figli di coppie di Missionari, che nella locandina slogan della Missione stavano ancora nel grembo delle loro madri immortalate dallo scatto. Erano presenti ma non si vedevano ancora, l’intuizione mediava l’incontro con loro, Samuele Francesco e Matteo Antonio erano con noi ed ancora dovevamo imparare a vederli e riconoscerli.
        In modo simile Michelangelo esprime l’incontro primordiale, quello tra Dio e la sua Creatura, lasciando uno spazio, una distanza come a rappresentare il cammino dell’uomo e la ricerca costante dell’altro.
       Al termine della Missione, momento in cui condivido con molti le emozioni di questi giorni mi rendo conto dell’importanza dell’abitare la distanza, del so-stare nella relazione che non è mai conclusa e che, proprio per questo, mantiene il suo fascino, la sua spinta ad andare oltre.
        In effetti l’attitudine alla socialità permette ad ogni persona di percepirsi quale individuo, indivisibile (dal latino in-dividuum), cioè capace di definirsi attraverso il rispecchiamento con l’altro. L’essere umano non può appartenere all’ambiente in forma anonima, ha bisogno di interagire con esso fino a caratterizzarlo con la propria presenza concreta.
         Le giornate della Missione sono state molto intense, eravamo circa 150 Missionari di strada provenienti da varie parti della Sicilia e da Napoli, un popolo che si è lasciato attraversare, mescolandosi alla popolazione locale. Termini Imerese è stato luogo di Incontro per tanti, ove ciascuno ha potuto sperimentare l’importanza del dono, dell’esserci, non da soli ma in compagnia dell’altro.
         È questa l’esperienza di fraternità che proponiamo, san Francesco era solito ripetere ai suoi frati l’importanza della minorità cioè l’atteggiamento di chi fa spazio all’altro e non lo soverchia con le sue pretese di dominio. Questo atteggiamento per noi è conditio sine qua non per vivere l’accoglienza, per fare del contesto della missione il luogo in cui ciascuno sperimenta l’accoglienza dell’altro ed in questo modo impara, a sua volta, ad accogliere. Una officina esistenziale quindi, in cui la principale risorsa è data dalle qualità insite nella persona e dal riscoprire il proprio rapporto con Dio attraverso gli altri.
         Il vivere comunitario scaturisce dall’incontro tra individui, da esso nasce il senso di appartenenza e quindi di presa in carico di ciò che lo stare con l’altro comporta. Diversamente la ricerca simbiotica propria del nostro tempo, ove siamo costantemente pressati a pensare allo stesso modo per aderire alle mode commerciali di turno, vorrebbe spegnerci in una sorta di collettivismo in cui viene persa la percezione della propria identità. La persona in questo modo è resa incapace di definirsi nella propria individualità fino a rinunciare alla capacità di atti creativi. La Missione ha inteso ricordare alla popolazione locale e, prima ancora, agli stessi Missionari, l’importanza a non rinunciare alla speranza propria della vita e, per questo, a coltivare rapporti di comunione in modo da sognare insieme a fare dell'incontro l'occasione per condividere con l'altro.
         Torna allora l’ambivalenza-distanza data dall’esperienza dell’Incontro: procura meraviglia, data dal piacere e dallo stupore che accompagnano il contatto con il nuovo; al contempo procura angoscia cioè timore della perdita, impossibilità a raggiungere del tutto l’altro appena conosciuto. A motivo di ciò nel dopo-Missione si potrebbe correre il rischio di fuggire da questo confronto proprio perché procura tristezza oltre che gioia, distacco oltre che vicinanza. Qualcuno potrebbe ritornare alla propria quotidianità volgendo le spalle all’esperienza appena vissuta senza valorizzarsi e valorizzare quanto sperimentato.

          La proposta del dopo-missione è ben altra: coltivare rapporti di comunione per potere condividere ed accrescere il dono ricevuto. Buon cammino MDS!

 

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