Quale battaglia regge la nostra vita? /3

by Mauro 2. July 2014 12:54

     La seconda tentazione vorrebbe incitare all’individualismo, buttati giù in modo da mostrare il tuo valore! Come se il valore di ciascuno avesse bisogno di dimostrazioni e non fosse il frutto dell’atto gratuito del Padre.

             È la tentazione volta a far sentire unici, eroi del momento, persone super di cui il mondo abbisogna. L'idealizzazione ci fa perdere il contatto con la realtà e con Dio. E' prima di tutto una malattia dell'anima e, in seconda battuta, della psiche. Ciò che "rovina" la Chiesa è la presenza di eroi, persone straordinarie che vengono idealizzate, messe su piedistalli e proprio per questo rese modelli ideali a cui aspirare attraverso i propri sforzi.

        La seconda tentazione porta al tempio, a stare nelle cose di Dio con fare individualistico. Ma noi o siamo parte di un Corpo o non siamo, è per questo che il cristiano scambia la sua missione per una performance: una volta tolta la maglietta MdS o l’abito di consacrazione la propria vita è un’altra. Noi non siamo chiamati ad essere professionisti del sacro, non vendiamo prodotti, piuttosto siamo chiamati ad accogliere un Dono e a testimoniarlo con la vita, a questo si “riduce” l’Annuncio cristiano.
      L’amore non è un atto volitivo, lo sforzo di un impegno ragionato, ma è l’esperienza di essere un unico Corpo, sostenuti dalla comunione con Dio dal suo atto continuo di generazione dal suo amore. Non è un concetto astratto ma l’esperienza del sentirsi amati da Dio. Il cristiano è teofanico, mostra l’amore del Padre nella sua vita e questo nella misura in cui si uniforma a Cristo, non nel senso di mera imitazione/copia ma di accoglierlo nella propria vita tanto da “averne i stessi sentimenti”. La lotta di Cristo, la sua agonia, è il portare ognuno al Padre, l’obbedienza di Cristo è questo profondo desiderio di comunione e di salvezza. Smettiamola di pretendere di essere noi i salvatori di noi stessi e dell’umanità, è Cristo che ci salva, anzi ci ha già salvati se lo accogliamo!
        Frere Roger nel lontano 1991 ebbe a dirmi “Fa della mia vita una vita di comunione”. Una frase essenziale che ancora stento a comprendere, forse mi ci vorrà tutta l’esistenza terrena eppure in quelle profetiche parole sta racchiuso il Mistero di tutta una vita. Di don Pino Puglisi non ricordo parole ma la sua testimonianza di vita, penso alla sua scrivania stracolma di libri ed uno era per me o per qualsiasi altra persona andasse a trovarlo, perché portasse frutto il mio desiderio di bene che in quei giorni si traduceva nell’organizzare opportunità di crescita per i giovani. Di lui ricordo questa testimonianza di vita, votata alla comunione.
      Tenuto conto che per passare all’altra riva bisogna mettersi alla sequela di Cristo che cosa significa “buttarsi giù” per essere poi sorretto? Gesù risponde “Sta scritto anche non tenterai il Signore tuo Dio”. C’è un “anche” di cui dover tenere conto, il tentatore è parziale vede solo un aspetto e toglie l’integrità della verità. Ma riesci ad avere lettura della tua vita se la leggi nella sua integrità altrimenti vedi solo un aspetto. Si pensi quando stiamo dentro ad un problema e la tentazione è quella di prendere decisioni in mezzo a simile confusione. No, non è possibile perché il problema assolutizza tutta quanta la realtà come se fosse un buco nero, e ci impedisce di constatare che la realtà è molto più ampia. Come nel caso di un tradimento all’interno di una coppia. Ci si ferma a guardare il segmento disprezzando il valore di tutta una storia fatta di piccoli passi e di donazione vicendevole. Per affrontare il problema devo guardare ove è collocato, contestualizzarlo nella storia altrimenti la visione è parziale.
          La tentazione è quella di costringere Dio a manifestarsi cioè dirgli come mostrarsi nella storia. È la manipolazione della verità, Se Dio esiste allora deve sorreggere quando mi butto! È come imporre a Dio il miracolo, intervento prodigioso. Ma questo non significa conoscere Dio, il suo cuore, il suo desiderio. Ancora, tentare significa cercare di arrivare, tenere, esplorare, ma io non posso arrivare a conoscere Dio. Tra me e Dio c’è un abisso se mi sporgo oltre per raggiungerlo precipito. Io non posso verificare Dio posso solo attendere che venga lui ad incontrarmi. L’incarnazione realizza questo desiderio di incontro, l’iniziativa è di Dio a noi spetta il lasciarci trovare da Lui.
         Se il chicco di grano non muore non porta frutto. Per crescere bisogna morire! C’è una macescenza propria della vita del cristiano. Il seme per marcire viene attaccato da agenti patogeni che si nutrono delle sue risorse e, al contempo, il seme stesso si nutre di essi. È lì che accade il misterioso processo di trasformazione, questo incontro si trasforma in vita nuova. È lo stesso che accade nell’incontro di Giuda con Gesù, il primo apparentemente consegna in realtà Gesù si consegna alla volontà del Padre. Si impone una domanda: è stata la volontà del Padre o il peccato degli uomini a portare Gesù sulla Croce? Di fatto Dio entra nel profondo dei meandri umani per guarirli, trasformarli in altro. Ma questo non significa che il peccato non è più tale, no significa che Dio entra nel nostro peccato per farne un’occasione di incontro a partire dall’esperienza di perdono. Quando nonostante le mie brutture mi scopro perdonato da Dio inizia una storia nuova, riparto consegnato totalmente a Dio. Fino a quando non facciamo esperienza della nostra debolezza rimaniamo centrati in noi stessi. La tentazione “buttati giù” è per restare centrati in se stessi, perché l’insinuazione è “pertanto non ti accadrà nulla, sei come un superuomo”. In realtà morirai è questa la verità!
                La Croce quando sperimento tutta la mia debolezza è possibilità di ripartire da Cristo, bisogna perdere tutto per ripartire perché fino a quel punto rimarremo attanagliati alla nostra logica di peccato auto-salvifica. Noi soffriamo per ciò che resta legato alla logica terrena, se molliamo tutto ciò (immagine, arrivismo, dimostrazione di sé) allora il dolore si trasforma in gioia. Vulnerabilità feconda è questa la strada per la crescita, ripartire dalle nostre vulnerabilità e debolezze per presentarci a Dio così come siamo. Paolo trova forza quando si scopre debole, perché non ha altra forza che in Cristo. Tutte le nostre abilità, punti di forza devono crollare per consegnarci pienamente a Cristo.
                 Non ho bisogno di buttarmi giù dal pinnacolo, non sono io che devo forgiare la mia storia. Il cammino spirituale è proprio inverso, devo lasciarmi forgiare dalla mia storia, non è vero che Dio non ha nulla da dire nella mia storia, Lui può parlarmi solo attraverso la mia storia se ci sto dentro. La Croce sconquassa la sovrastruttura della mia vita, le mie maschere o ancore di salvezza. Sono spogliato di tutto quando accolgo la mia Croce, la mia vita con tutto il suo carico ma è lì che Dio mi dice non sei solo, io ti sono accanto e ora ti  parlo. Quando continuiamo ad agitarci la Croce diventa dolorosissima e sperimentiamo una profonda solitudine perché non ascoltiamo nessuno, Dio non ha spazio. Eppure chi è rimasto in Croce fiducioso in Dio ha detto che il “carico è leggero e soave” davvero, così come ci ha promesso Gesù nel Vangelo. E questo perché Lui non permette che lo portiamo da soli, ha dato la sua vita per questo cioè per non lasciarci soli! Rimaniamo soli perché non gli diamo spazio, è tanta la rabbia che siamo accecati e non vediamo oltre, ci ostiniamo a rimanere implosi dentro noi stessi. E questa non è più vita, è disperazione vuota.
           C’è chi propina dei surrogati, degli anestetizzanti. La magia è questa risoluzione da finction, come a potere gestire attenuare la propria storia. Pensate ci sono persone che hanno sperimentato gravi perdite e vanno dai medium, come a cercare un surrogato della propria relazione d’amore con il caro defunto. Equivale a farsi privare della bellezza di una relazione, il dolore ci fa fare delle storture. La morte è un’esperienza forte, troppo dura se l’affrontiamo senza Dio.

           Noi siamo fatti per l’eternità, i vincoli d’amore sono eterni non possono avere fine, ma questo se vengono fondati in Dio. Altrimenti s’insinua la possessività, il bisogno di controllo dell’altro anche dopo la morte pensate. Storpiamo l’amore come a mantenere a tutti i costi in vita una persona che in vita è ma in un’altra molto più ricca e piena della nostra. Contemplare l’Amore è ben altra cosa.
 

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