by Mauro
19. August 2012 12:00
In questa domenica di agosto la Comunità ecclesiale medita una pagina del Vangelo (Gv 6, 51 – 58) davvero paradossale che ribalta il rapporto divino – umano, con una mirabile “inversione di ruolo”.
Gesù, infatti, si identifica con il pane che lui da, dice che questo pane è “la sua carne per la vita del mondo”. Con questa espressione rivela un modo di incontrarci che è davvero irragionevole: Lui si fa mangiare. Significa che è disposto a lasciarsi trasformare in ciò che noi siamo, in ciò che ciascuno è. Lui ama e proprio per questo si dona totalmente senza pre-comprensioni, senza pre-giudizi, è disposto ad andare da chiunque.
È una relazione faticosa da capire per tutti noi, proprio perché se è vero che siamo fatti per amare è anche vero che nel momento in cui ci sentiamo feriti dall’altro che non ha corrisposto il nostro amore, noi finiamo con il chiuderci, con il rivendicare cambiamenti e, nel peggiore dei casi, con il tramare vendetta.
L’affermazione di Gesù è dirompente proprio perché sovverte la concezione del rapporto con Dio. Pensare alla religiosità come una sorta di giustizialismo in cui Dio punisce chi sbaglia ed accoglie chi è giusto, significa pensare al rapporto con Lui in modo diametralmente opposto: siamo noi che diventiamo cibo per Dio, cioè lui ci accoglie solo se siamo buoni. Simile atteggiamento fa del rapporto spirituale un continuo presentare e ricercare i propri meriti, quello che si è fatto e che ci rende giusti, meritevoli di amore. Significa dare a Dio un prezzo: puoi/devi amarmi perché ti presento queste opere!
Questo rapporto con se stessi e con Dio procura una sorta di piedistallo attraverso il quale ci si erge al di sopra degli altri: io sono giusto e tu no! E, proprio per questo, ciascuno si sente autorizzato a giudicare l’altro e ad erigersi come suo giudice.
Gesù invece si manifesta come servo, come colui che lava i piedi ai suoi discepoli che di lì a poco lo tradiranno, come colui che manterrà il suo sguardo rivolto a Pietro che lo ha appena rinnegato. Lui racconta il volto di Dio attraverso la mirabile parabola del padre misericordioso, ove il padre rimane in attesa del figlio che lo ha defraudato dei suoi averi e gli va incontro, abbracciandolo, non appena lo vede ritornare. Anche lì torna l’immagine pretestuosa del figlio primogenito che tornando dal duro lavoro non vuole accogliere il fratello e rimprovera il padre per l’atteggiamento di misericordia avuto nei suoi confronti. Dio rimane in attesa, è questo il volto della misericordia cristiana, è l’attesa di un incontro, la ricerca di un’intimità fatta di donazione totale.
Quella del cristianesimo pertanto è una sfida ai nostri giorni, non è il tornaconto l’unità di misura ma il dono. Più si dona e più si riceve, in effetti si tratta del paradosso cristiano.