by Mauro
4. October 2012 20:13
Sono trascorsi cinquant’anni da quando Papa Giovanni XXIII, l'11 ottobre 1962, apriva il Concilio Vaticano II. Proprio qualche giorno prima, il 4 ottobre, improvvisamente decideva di recarsi in treno a Loreto per affidare a Maria il Concilio.
Alla istanza dei suoi più stretti assistenti che ponevano l’obiezione: «Ma, Santità, lungo la strada dalla stazione alla Basilica di Loreto troveremo gli operai che ancora sistemano le transenne!», l’uomo di Dio ebbe a rispondere: «Benediremo anche i loro martelli!».
Quello del Concilio Vaticano II fu un evento epocale, non si trattava di un incontro volto a condannare qualche eresia o affermare una verità, piuttosto il Concilio fu convocato per rileggere l’identità cristiana e raccontarla all’uomo contemporaneo. Uno dei tanti passaggi salienti del Concilio riguarda la considerazione della storia quale “luogo teologico”, cioè quale contesto in cui leggere la Parola di Dio ed il modo di ripresentarsi nel tempo. Allo stesso modo il senso della Missione cristiana è stato reinterpretato e colto come azione di solidarietà e di condivisione con l’uomo contemporaneo.
Proprio oggi, 4 ottobre, ricordiamo la testimonianza di vita di Francesco di Assisi. Un uomo che già ottocento anni prima del Concilio aveva colto nei bisogni del suo tempo i criteri per trovare la sua missione di vita.
L’incontro con il lebbroso diventa per lui provocazione esistenziale, non può stare dentro la chiesa lasciando l’altro ai margini della vita. L’altro viene colto quale dono, fratello e cioè portatore della stessa dignità.
Francesco rinuncia a cercare una veste fatta da mani d’uomo attraverso. Non cerca più un’immagine procurata attraverso la vittoria in battaglia, la crescita di status sociale, il potere economico che gli permetteva di organizzare feste ed accattivarsi le amicizie dei notabili. Sarà proprio la sconfitta in guerra, l’anno di prigionia, la malattia, l’incontro con l’altro moribondo a dargli un senso nuovo della vita e del suo rapporto con Dio.
Proprio dall’esperienza di fragilità Francesco partirà per riscoprire la bellezza che ciascuno porta dentro a prescindere dalle etichette sociali che lui o altri possano avergli attribuito.
Il riconoscersi fragile, apre Francesco all’esperienza profonda dell’amore. Il potersi mostrare all’altro, infatti, permette di uscire dalla solitudine frutto dell’isolamento affettivo (non mi affeziono per non soffrire) e di sperimentare il sostegno e la condivisione reciproca.
Anche se di fatto questa apertura espone alla solitudine, frutto del rifiuto o della delusione, in realtà simile sofferenza porta con sé un colore che fa parte del contatto con la vita, del sentirsi vivi e perciò capaci di gioia così come di sofferenza.
L’esperienza fallimentare pertanto risulta indispensabile per il cammino personale che non procede mai in modo lineare ma arriva alla meta passando per traiettorie sinusoidali frutto del costante adattamento alle vicende della vita. È attraverso questo confronto che Francesco potrà rielaborare il rapporto col padre e con gli amici, fino ad uscire dalla grotta in cui viveva nascosto a motivo della paura e della vergogna di essere oltraggiato e rifiutato.