L'arte dell'Ascolto: formazione per CdA

             Acquisire competenze nella relazione d’aiuto per accogliere ed accompagnare centinaia di persone che ogni giorno arrivano alle porte delle Caritas parrocchiali è stato il tema che oggi abbiamo trattato a Marsala, a principio del Laboratorio formativo per gli operatori dei Centri di Ascolto della Diocesi di Mazara del Vallo. Un percorso di accompagnamento che durerà fino a novembre e che è rivolto a più di sessanta operatori.
         Tengo a precisare come l’opera dei Centri di Ascolto Caritas, distribuiti nel territorio, in modo capillare attraverso le parrocchie, costituisce oggi una grande risorsa che corrobora il tessuto di azioni sociali a favore dei cittadini che attraversano un particolare disagio. Un servizio che a mio avviso dovrebbe essere tenuto in debita considerazione da chi mappa la rete delle risorse di un territorio in vista di una fattiva cooperazione.
Ma cosa è un CENTRO DI ASCOLTO? Ricordo ancora  quando nel 1992 a Monreale abbiamo aperto il primo Centro di Ascolto cittadino, eravamo in quaranta operatori, e le persone che partecipavano alle campagne di sensibilizzazione ci chiedevano: siete un nuovo telefono azzurro? Distribuite spesa? Date buoni pasti? E noi cercavamo di far comprendere agli astanti l’importanza di un servizio basilare: l’ASCOLTO.
         Non è affatto scontato comunicare ascoltando o sentendosi ascoltati. Alla base della comunicazione infatti sta il prestare attenzione e l’ascoltare. Comunicare significa “mettere in comune”, condividere significati, rendere l’altro partecipe del mio, ciò comporta un duplice movimento: quello dell’andare verso l’altro e quello del fare spazio per accogliere l’altro. La Comunicazione non è mai unidirezionale, altrimenti saremmo nel caso dell’informazione, c’è sempre un ritorno a cui devo prestare attenzione.
         Qualcuno pensa che il bisogno prevalente sia quello di esprimersi, aprirsi all’altro per comunicare se stessi e, di conseguenza, essere riconosciuti. Mi sembra che la questione debba  porsi in termini diversi: io mi sento riconosciuto  se posso andare dall’altro ed al contempo se ho il permesso di avvicinarlo a me, se ho la possibilità di accoglierlo nel mio mondo. Questa propensione non è da confondere con il “possedere” l’altro ma significa riconoscerne la sacralità e perciò accoglierlo come ospite da custodire nella propria vita.
          La Comunità cristiana in cui si collocano i CdA nasce da questa esperienza di COMUNIONE e CONDIVISIONE ove il Maestro condivide ciò che è proprio andando verso l’altro e, al contempo, accogliendolo nella propria vita. È l’esperienza dell’Amore, quello di chi non teme di perdere qualcosa per l’altro, ma gioisce per l’arricchimento che l’altro ne ha.
          Nel Comunicare teniamo conto che due "mondi" si incontrano, le persone portano un bagaglio di esperienze, sistemi di valori, miti familiari, competenze, storia di vita. Pertanto l’Operatore che si spende nella relazione di aiuto ha bisogno di conoscere il proprio mondo interiore per potersi disporre all’Ascolto dell'altro. Altrimenti si sovrapporrebbero pre-comprensioni, giudizi, valutazioni erronee, interventi inficiati dai propri punti di vista che non tengono conto di quanto l’interlocutore sta manifestando.
          La relazione con l’altro è la piattaforma su cui scorre la comunicazione, entrare in relazione è il presupposto di base.

Piuttosto stiamo a parlare di una relazione in cui il Comunicare comporta uno spazio di ascolto e di condivisione reciproca, per cui si assiste alla creazione di uno SPAZIO di COMPARTECIPAZIONE:Pertanto il NOI è uno spazio condiviso, un darsi ed un ricevere l'altro, è lo spazo dell'INCONTRO in cui la persona si sente accolta e riconosciuta. In questo modo il contesto di ascolto viene percepito quale luogo protettivo entro cui è possibile raccontarsi, mostrare la propria esistenza, anche gli aspetti più dolorosi, per poterla ricomprendere.