La buona battaglia/2

by Mauro 15. aprile 2017 10:20

    La vita spirituale abbisogna dell’ascolto della Parola, si tratta di rimanere in essa per lasciarla sedimentare e, man mano, fecondare.

Sappiamo bene che potrebbe scaturire una sorta di angoscia per il mancato effetto subitaneo. Il silenzio spirituale, così come l’aridità nel percorso, potrebbero essere confusi con la mancanza di cammino o dubbio sulla veridicità dell’Interlocutore e della sua Parola. Per la naturale progressione spirituale è necessario lasciar perdere l’euforia di un momento o la ricerca esterna, a volte estenuante, di segni e sensazioni come se la vita spirituale fosse ridotta a percezione esterna. Il cammino spirituale, piuttosto, presuppone lo scendere in profondità per cambiare, dal di dentro, il gusto e lo sguardo verso le cose del mondo.

Il contrario equivarrebbe a ridurre il segno di Dio, ad esempio, nella bellezza fisica di una persona o nella sua capacità performativa e, di conseguenza, a misconoscere la presenza e lo sguardo di Dio su una persona brutta d’aspetto o limitata, deformata nel suo corpo. Lo stesso vale quando si cerca conferma della propria vita spirituale in una sorta di quietismo o pace da corso yoga.

Si pensi, invece, a quanto prezioso si rivela il conflitto interiore nella vita spirituale. Accade, in quel caso, che la persona entra in conflitto con se stessa perché il proprio pensiero è affascinato dalla Parola di Dio e, nel mentre, i propri affetti sono ancora orientati verso la sensazione epidermica. Si crea, perciò, una divisione interiore sconosciuta fino a poco tempo prima, in quanto pensieri ed affetti stavano rivolti verso la stessa direzione opposta a Dio.

È così che il combattimento spirituale viene a riallineare pensieri e sentimenti verso Dio e a creare un gusto che è riconoscibile per l’intimità che si procura con l’Amato. Anche in quel caso un intervento consolatorio al fine di evitare il combattimento, verrebbe ad arrestare la vita spirituale dell’individuo!

Il resistere ed il rimanere nella relazione anche nel tempo di aridità porta ad approfondire il sentimento e a fare emergere l’amore. È così che all’interno della vita di coppia, ad esempio, l’amore viene autenticamente manifestato nel momento della prova, della difficoltà o della malattia, quando cioè l’altro non è “utile” perché serve a qualcosa ma è l’interlocutore a cui si dona amore gratuito. È in quel caso che la coppia può davvero contemplare la bellezza ed essere capace di andare oltre le apparenze.

Se a principio la conversione, nel cristianesimo, determina il cambiamento di direzione ed il riorientamento verso Dio, nel cammino della vita la continua metanoia permette di approfondire questa direzione resistendo, con la lotta, ad eventuali insinuazioni o suggestioni volte a trovare scorciatoie e, in definitiva, fuggire dalla propria storia.

La Rivelazione e in particolare l’Incarnazione hanno reso la vicenda umana, in cui scorrono i tempi, luogo teologico e cioè itinerario in cui rintracciare la presenza di Dio che accompagna la storia dell’umanità. È per questo motivo che la spiritualità cristiana si contrappone a qualsiasi forma di potere medianico, capacità sensitiva o magica, iniziazione massonica o di altra lobby che vorrebbe suggerire il potere arcano quale strumento per stare nelle cose della vita.

È la relazione con l’unico Dio che si dona totalmente alla Creatura a costituire la peculiarità cristiana. Non c’è dissoluzione della propria identità e neanche distanza sacrale ma rapporto d’amore, intimità che genera una vita nuova. Il combattimento spirituale è chiamato a difendere tenacemente questo processo, si pensi alla difficoltà che l’uomo ha nel lasciarsi amare gratuitamente da Dio!

Si è portati, infatti, a scambiare la vita spirituale in una sorta di conquista per meritare lo sguardo ed il riconoscimento divino. È da ciò che scaturisce una certa severità di alcuni che credono di potere arrivare a Dio attraverso le regole, le privazioni e la rigidità morale dimenticando che l’incontro con il Creatore passa proprio per l’ammissione e la consegna della propria povertà.

È la scena evangelica dell’ultima cena a mostrarci eloquentemente questo processo. Lì i Vangeli ci riportano due  gesti dallo stesso significato, l’istituzione eucaristica e la lavanda dei piedi, in entrambi Cristo porta a compimento il suo approssimarsi all’umanità. Il pane che consegna è il suo Corpo spezzato per continuare ad amare e nutrire gli amici, il chinarsi per lavare i piedi consegna la sua regalità e il suo amare sino alla fine. Non c’è più distanza al punto che Lui ha invertito i ruoli, la creatura è servita e nutrita e, di conseguenza, non ha più bisogno di cercare con fare difensivo la propria autoaffermazione.

Tale icona evangelica costituisce il riferimento principe per assumere la dovuta postura nel combattimento spirituale. Non si tratta di lottare per dimostrare qualcosa ma per custodire la propria identità, il dono ricevuto. È la mitezza e l’umiltà di cuore del Maestro a testimoniare l’atteggiamento della vita spirituale e a consegnarla ad ogni persona di buona volontà.

È necessario farsi lavare i piedi da Cristo, Pietro a principio resisterà e poi lascerà fare anche se solo dopo la Pasqua ne comprenderà il significato.

 

 

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