Senza non possiamo vivere

by Mauro 27. aprile 2020 10:26

     Non si tratta di essere contro qualcuno anche se lo slogan Chiesa contro Conte fa tendenza. La questione verte sul riconoscimento dei diritti e su quello che per molti sembrerebbe opinabile ma che per un cristiano è basilare: la Celebrazione eucaristica.

       Rimane attuale nella storia della chiesa l'espressione “Senza la domenica non possiamo vivere” la quale ricorda la testimonianza dei 49 martiri di Abitène, una località nell'attuale Tunisia, i quali nel 304 sono andati incontro alla morte pur di continuare a partecipare alla Messa malgrado i divieti dell'imperatore Diocleziano. Ancora oggi molti cristiani in diversi paesi del mondo continuano a rischiare allo stesso modo, per partecipare alla Celebrazione.

     Bene inteso, nel nostro Paese oggi nessuna minaccia di morte e nessuna persecuzione ma l'indifferenza può essere un'arma sottile. Non si può bypassare l'attesa di milioni di persone che da oltre due mesi partecipano alla Celebrazione in diretta privandosi del Pane eucaristico, è il nutrimento della fede che alimenta il quotidiano e dona senso ad ogni cosa.

La politica è chiamata a tenere conto della scienza così come dell'economia ma la rilevanza data alle consulenze abbisogna di una sintesi di governo che rimanga in ascolto della popolazione e delle istanze presentate. Una visione circolare e non verticistica, accorta ma sul piano di realtà.

Così come per i supermercati, le librerie o gli spazi pubblici, anche per le celebrazioni all'interno delle chiese o all'aperto, è bene pronunciarsi sulle distanze e i dispositivi di protezione intidividuale da adottare. Sarà poi cura delle Comunità organizzarsi con discernimento anche moltiplicando le celebrazioni se è il caso, in modo da ridurre l'assembramento. 

La Conferenza episcopale italiana nella nota di ieri ha, oltretutto, precisato che “l'impegno al servizio dei poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”. Un passaggio rilevante per sfatare l'equivoco in cui sovente rischia di cadere parte della visione politica. 

Il ruolo sociale che assume la Chiesa a favore delle fasce di popolazione più deboli scaturisce dal primato del Vangelo e non da una funzione assistenzialistica vicaria alle inadempienze dello Stato. La cosiddetta “pastorale sociale” non è frutto di un attivismo volontaristico, questo sarebbe sterile e andrebbe incontro all'esaurimento. Ma è espressione della fecondità che nasce dalla fede in Dio, relazione che apre alla prossimità e al farsi carico di chi è nel bisogno.

Questo significa leggere i processi e non il risultato finale, ragionare in termini di prevenzione e non di emergenza sul sintomo. Anche per fronteggiare il Covid-19 che ha così gravemente destabilizzato l'intero Pianeta abbiamo bisogno di processi di comunità che creino fattiva resilienza e possibilità di attraversare coesi il tunnel.

A questa rigenerazione umana la vita sacramentale della Chiesa partecipa prendendosi cura di tanti e sostenendo la fatica, il bisogno di prospettiva e di visione per il futuro. Durante questi mesi le nostre Comunità hanno accolto gli sfoghi e il bisogno di senso di moltitudini e, teniamo a precisare, anche nei momenti più caldi quando in piazza erano più di duecento persone ad attendere un pacco di spesa, siamo stati in grado di dialogare e creare file capaci di custodire l'incolumità di ciascuno.

Oggi, dunque, rimaniamo in attesa di un chiaro pronunciamento per continuare a vivere.  

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