Senza generatività con c'è vita

by Mauro 30. giugno 2018 23:39

   “Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano”. Oggi ci sorprende il libro della Sapienza (1, 14) con questa affermazione dal sapore tautologico ma che mostra il senso autentico delle cose. Non è sufficiente il vivere per esistere, ma è necessario l'essere dentro le questioni della vita mettendo del proprio, facendo cioè la propria parte fino a generare. Chi rimane spettatore della propria esistenza la subisce, vive passivamente privandosi dell'unicum che gli appartiene.

Don Pino Puglisi soleva dire che a ciscuno spetta la sua parte ed è proprio di questo apporto che si tratta. Ora non bisogna credere che ci devono essere sempre le condizioni propizie per esprimersi, a volte la vita è segnata da ferite ed impedimenti ma in qualsiasi situazione ciascuno può esprimersi tirando fuori il dono personale.

Anzi potremmo dire che grandi uomini si sono espressi in pienezza quando hanno sperimentato le prove più grandi. Pensiamo a Paolo di Tarso e alle sue lettere scritte durante la prigionia, Massimiliano Kolbe che con il suo gesto rese meno disumano il campo di Auschwitz, Giovanni Paolo II e la perseveranza durante gli anni di malattia, Paolo Borsellino che è rimasto a spendersi per la causa della giustizia anche dopo la morte del collega e amico Falcone, l'ultimo sorriso di don Pino alla vista del sicario arrivato per ucciderlo!

L'esistenza, così spesa, è generativa cioè genera vita in chi si accosta a tali persone. Generare equivale a favorire l'espressione dell'altro, è un rapporto di cura che coinvolge facendo contaminare la propria esistenza con quella altrui, è la vita di chi è custode e, al contempo, permette di prendere il largo senza costrizioni o dipendenze di sorta. La generatività è gratuita altrimenti induce a sensi di colpa, a ricatti emotivi che tappano la crescita anziché lasciare prendere il volo.

Abbiamo appena celebrato l'ordinazione presbiterale di fra Rafael Antonio Rivera, giovane cappuccino che nel 2010 ha lasciato la Colombia per rispondere alla chiamata di Dio nella nostra terra di Sicilia. Anche in quel caso il giovane Rafael poteva concludere che le difficoltà nel suo percorso di discernimento vocazionale dicevano che la sua esistenza non avrebbe potuto spendersi con la consacrazione francescana e sacerdotale a servizio della Chiesa. Se si fosse fermato a leggere la sua vita in funzione degli impedimenti avrebbe spento la fede.

La relazione con il Signore, piuttosto, inizia proprio quando vengono meno i calcoli ed i ragionamenti umani. L'opzione di fede comincia quando apparentemente “tutto è perduto”, così come ci mostra la pagina del Vangelo di oggi (Mc 5, 21-43) in cui Giairo è chiamato a fidarsi di Gesù e a seguirlo per andare oltre la morte malgrado chi sta attorno vorrebbe scoraggiarlo. 

È esemplare questa pagina in cui troviamo una ragazza di dodici anni, l'età in cui inizia la fecondità, moribonda e una donna resa infeconda dalla malattia che porta da dodici anni. Un numero identificativo per Israele fondato sulle dodici tribù e che dovrebbe esprimere pienezza. Eppure Israele è sterile proprio perchè ingabbiato da prescrizioni che hanno fatto perdere il senso di umanità e la relazione con il prossimo. 

L'Israele che incontra Gesù vive schiacciato nella sua pratica religiosa e non riesce a generare vita, ambedue queste donne sono escluse dalla vita sociale e religiosa perchè contaminate, secondo tale logica chi è ferito viene escluso. 

La prospettiva della religione, priva di fede, esclude quando trova persone che non sono all'altezza dei precetti prescritti. Si centra, cioè, su uno sforzo volto al perfezionismo in cui l'individuo, per sentirsi meritevole, deve rispondere a comandamenti mostrando di essere integerrimo.

Giaro e la donna, piuttosto, mostrano la loro fede che esce dagli schemi d'Israele: lui chiede a Gesù di avvicinarsi alla figlia morente per toccarla e la donna gli si avvicina toccandolo. 

Per Israele quel duplice gesto, toccare o essere toccati da chi stava perdendo la vita, equivaleva alla condanna anche a morte. Il contaminarsi era motivo di colpa per la Legge, per Gesù il contaminarsi, invece,  è necessario per dare la vita.

Il Vescovo Mario Russotto durante la Messa di ordinazione di fra Rafael ci ha ricordato come la chiesa si fa presente ove c'è una ferita, proprio perchè costitutivamente nasce dalla tenerezza del Signore e dal suo lasciarsi ferire per avvicinarsi e guarire. Lo stesso Francesco d'Assisi lo testimonia nel momento centrale della sua conversione quando, abbracciando il lebbroso, sente tutto trasformarsi e per la prima volta sperimenta la dolcezza dell'amore del Signore. 

Il chinarsi di Dio genera prossimità e tenerezza, è quello che Gesù manifesta alla donna riconoscendola e poi alla ragazza prendendosene cura. È questa la qualità di vita chiesta dal Maestro ai suoi, a quanti chiama ad essere pastori a servizio della sua chiesa, del suo gregge. Fra Rafael, dunque, inizia questo ministero per compromettersi secondo l'agire di Dio. 

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