Scegli da che parte stare

by Mauro 17. febbraio 2018 18:58

   E' cominciato con le note della canzone “Non è un film”, di Fiorella Mannoia, l'intenso incontro della Consulta delle aggregazioni laicali della Arcidiocesi di Palermo che si è tenuto stamane al Centro Arrupe della nostra Città. Uno spazio di riflessione politica intrecciando tre questioni prioritarie dello scenario attuale: il fenomeno migratorio, il welfare, i giovani.

   È stato prezioso poterci fermare insieme per riflettere e restituire verità a quello che altrimenti potrebbe rischiare di apparire un mondo altro, che non ci appartiene e che ci vede solo spettatori come recita un passaggio della canzone: “Non è un film e non sono comparse le persone disperse, sospese e diverse tra noi e lo sfondo, e il resto del mondo che attraversa il confine ma il confine è rotondo, si sposta man mano che muoviamo lo sguardo ci sembra lontano perché siamo in ritardo”.

    Tutti coinvolti dunque, tutti responsabili di un cammino comune dove la sorte della vita altrui dipende dalle proprie scelte quotidiane. La questione si accentua quando il fenomeno migratorio viene trattato con scoop ad alta intensità emotiva che vorrebbero ora portare da una parte ora da un'altra finendo con l'accentuare la cosiddetta sindrome Nimby (dall'acronimo Not In My Back Yard che significa "Non nel mio cortile") frutto dell'evitamento emotivo.

Le misure difensive, fomentate dalla paure, vorrebbero garantire un welfare state dettato da principi di esclusione per garantire l'autoconservazione. È la logica dei muri o del 'rispedire al mittente' priva di una reale lettura dei processi culturali e dei fenomeni che attraversano la Comunità umana.

Così si vorrebbero garantire l'assistenza ed il benessere dei cittadini, con lo stesso criterio con cui si riducono le cure degli anziani o di quanti sono disoccupati. La privatizzazione dei servizi pubblici, al contempo, manifesta come il principio di solidarietà e di sussidiarietà nel Paese stiano venendo sempre meno.

Per comprendere lo scenario postmoderno in cui ci troviamo e per dare risposta alla domanda di autenticità che le nuove generazioni rivolgono al mondo adulto dobbiamo focalizzare alcuni passaggi rilevanti. 

Assistiamo, infatti, allo sviluppo di un nuovo modello culturale. Lo strumento è diventato paradigma di pensiero, cioè forma la cultura fino a modificare la percezione che ciascuno ha di sé e della realtà che lo circonda. Un inedito modo di stare nel tempo e nello spazio viene a cambiare la percezione che si ha di se stessi.

Ciò è possibile attraverso la tecnoscienza e cioè l’applicazione della tecnica e delle scoperte scientifiche alla vita capillare dell’umanità: il tempo oggi è percepito in modo diverso, è possibile stare a contatto continuo e contemporaneo con diverse realtà, ed in un solo giorno si può essere in più parti del mondo. Proprio tale modo di percepirsi, nello spazio e nel tempo, è uno dei fattori che potrebbe favorire lo sviluppo di una percezione di sé onnipotente o, diversamente, se ben orientato contribuire all’apertura e all’interesse relazionale uscendo dal chiuso del proprio mondo.

Faccio un esempio: la tecnica ci ha permesso di spostarci nell'arco di una giornata in più luoghi molto distanti tra loro e, contemporaneamente, attraverso le iperconnessioni ci ha permesso di interagire con persone e contesti diversi. Una sorta di estensione sempre più ampia che, di fatto, ci permette di fare molte più cose in 24 ore, le stesse che riuscivamo a realizzare nell'arco di un paio di settimane!

Ci rendiamo conto che l'identità viene modificata dalle macchine, la funzione che si ha all'interno di un sistema viene a definire l'identità. Molti giovani tolgono dal loro curriculum vitae il titolo di laurea soprattutto se in ambito letterario ed eventualmente evidenziano un diploma tecnico. È paradossale ma, di fatto, conta quel che è funzionale al sistema di produzione, tutto il resto è considerato da scartare (anzi potrebbe diventare un insidioso confronto). 

La tecnica, oggi, permette di verificare e spostare i confini, sia geografici che del sapere: è così che una persona rumena fino a qualche anni fa era considerata una immigrata mentre oggi è parte della Comunità, dopo che sono state verificate le potenzialità produttive all'interno del sistema europeo (c'è da chiedersi quale sia l'indice di “convenienza” che porta al discernimento); la tecnicoscienza determina le verità da riconoscere, ad esempio se un feto è da ritenersi soggetto o massa informe, così come si arroga il ruolo salvifico con una connotazione pseudospirituale, si pensi all'anestesia che lenisce il dolore del parto o la macchina che riduce totalmente la fatica del lavoro. È superato il gravame genesiaco.

La tecnosciena diventa il vero bene sociale, al di sopra del capitale, in quanto capace di produrre sempre nuovi beni. Dirigendo, così, le scelte politiche sulle multinazionali da favorire o sulle alleanze tra i popoli da sancire in base alla possibilità di utile, magari frutto dell'assemblaggio di “pezzi” prodotti in ogni dove.

Tale supremazia sta cambiando a dismisura gli stili di vita, le abitudini quotidiane, il modo di stare a casa, a lavoro o di strutturare il tempo libero. Denominatore comune è la perdita di relazione, sempre più l'umano si passivizza dietro ad un monitor schiacciato da un pensiero binario, in cui non c'è creatività, spazio di sosta e di pensiero, ma ricerca compulsiva di soluzione, di via da seguire, di ostacolo da superare, di bisogno da appagare. È così che gli esami di selezione si strutturano su test a risposta multipla e la richiesta di temi da svilupparsi in modo creativo e originale sono sempre meno.

Già Hegel aveva formulato un assioma di centrale portata per quel che sta accadendo ai nostri giorni: “l'aumento quantitativo di un fenomeno produce una variazione qualitativa del paesaggio”. Significa che se tolgo un albero da un bosco avrò sempre un bosco, lo stesso vale se ne tolgo due o un paio di dozzine, ma se decido di estirpare tutti gli alberi non avrò più un bosco ma un campo, e se l'area soffre di particolare siccità avrò una terra sempre più arida sino al deserto. Il campo e il deserto non sono più un bosco, il paesaggio è cambiato qualitativamente.

Negli ultimi quarant'antanni, in nome di un certo liberalismo, nel nostro Paese abbiamo sempre più sottratto elementi di contenimento sociale. Tutto ciò in modo graduale e, apparentemente, inoffensivo: abbiamo iniziato ad introdurre monitor dal soggiorno alla cucina e alle camere da letto, favorendo un sempre maggiore isolamento tra i soggetti di una stessa famiglia ma anche di uno stesso ufficio. Successivamente si è intervenuti anche sugli stili di vita, le turnazioni di lavoro sottraendo la società del giorno di festa e, in questo modo, le persone dello stesso nucleo familiare sono state isolate anche geograficamente, solo incontri occasionali e formali, riducendo le interazioni a scambi di informazioni gestionali privi di relazione.  

Il mondo adulto e, ancor di più, le nuove generazioni sono stati pressati da una sempre maggiore spinta performativa e da una accellerazione esponenziale di stimoli. Tutto questo ha ineluttabilmente determinato una variazione qualitativa di paesaggio.

Il soggetto è stato privato di responsabilità così come di affezione ai luoghi abitati o al suo operato. La catena di montaggio di Termini Imerese, ad esempio, produceva le Cinquecento, poi le 126 e in seguito le Panda, questo era motivo di orgoglio da parte dei cinquemila operai che vedevano man mano il loro contributo alla nascita di un'autovettura. L'operaio aveva il senso del suo lavoro e questo corroborava la motivazione ed il senso del suo lavoro. Oggi i pezzi delle moderne autovetture vengono realizzati in Paesi anche molto distanti tra di loro e poi assemblati in una fabbrica di montaggio quale prodotto finito. È una questione economica ove l'operaio è solo un tassello di una lunga catena anonima, in cui mancano le relazioni con le persone e, perfino, col frutto del proprio lavoro. Anche per questo la fabbrica di Termini Imerese oggi è chiusa!

Come coltivare un valore, un ideale di vita in questo scenario, quando non ti è dato di sapere se il pezzo su cui stai lavorando servirà per un frigorifero o per un'arma da guerra?

Tempo di incertezza il nostro, tempo in cui è venuta la prossimità e il vicino è diventato un estraneo mentre attraverso un social un lontano, apparentemente, può sembrare molto vicino. Venuto meno il contenitore sociale (famiglia e vicinato, luoghi informali di aggregazione, tempi e spazi di sosta e di ascolto), si sono favorite nuove prassi sociali attraverso cui l’individuo cerca la felicità da solo.

Tutto ciò apre al ripiegamento sul bisogno immediato, istintuale, in cerca di un piacere da soddisfare. Il sistema dei consumi, in realtà, non offre oggetti di appagamento, piuttosto incita all’acquisto e il prodotto, una volta posseduto, lascia delusi nutrendo un ulteriore vuoto e un nuovo rilancio, un nuovo modello da acquistare.

La pubblicità è la nuova macchina di successo, quel che fa apparire in modo sempre più seduttivo diventa desiderabile da ottenere ed è così che il Samsung S, ottenuto dopo una fila di veglia notturna per essere tra i primi ad acquistarlo, diventa insignificante quando a pochi mesi arriva il nuovo Samsung Galaxy S6.

La questione è ampia ed impone una sosta di riflessione e di sinergia tra i vari attori: il mondo educativo, quello sanitario  e sociale, il mondo politico (autenticamente politico), tutti orientati verso una reale giustizia sociale.

Nel mentre noi partiamo dalla base, dal nostro contesto di vita, ed è così che la Comunità educante Zisa-Danisinni, nella nostra Palermo, si fa sempre più officina sociale permanente.

 

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