Ricordando Sarina

by Mauro 23. gennaio 2016 15:50

         È trascorso un anno da quando Sarina Ingrassia non è più con noi, almeno fisicamente, e sul web sta circolando una foto di lei affacciata dalla finestra da cui accoglieva quanti passavano sotto casa. Non bastava la porta sempre aperta o, meglio, semichiusa come ad indicare la sua discrezione, lei manifestava il suo sorriso ed il suo saluto come ad incoraggiare a salire.

        Quando penso ad un educatore e cioè ad un testimone di vita che ti permette di riconoscere e tirare fuori i talenti che porti dentro, il ricordo torna a Sarina e ai tanti gesti che, dalla penna degli esperti, verrebbero classificati quali “azioni educative”.

       Non credo che sia possibile definire in modo puntuale la sua pedagogia, il significato sfuggirebbe andando sempre oltre. Possiamo riconoscere, però, che Sarina ha portato in alto diverse generazioni  e ci ha aiutati a guardare la vita da prospettive diverse, non a perdere il contatto con la realtà ma, al contrario, ad elevarci per coltivare un sogno.

      Lei appariva bisognosa di confronto e si lasciava interpellare dalla realtà e dalle persone che incontrava per trovare conferme sulla via da percorrere. Ciò perché Sarina era una camminatrice, lei ha trascorso una vita in ricerca con l’inquietudine propria della persona che non si ferma alle prime risposte o, ancor meno, alle apparenze. Quando vedeva troppe pompe sorrideva sminuendo quel messaggio effimero e rifuggiva le apparenze. Ma guardava l’uomo che stava dietro, ti ascoltava Sarina fino a cogliere la tua autenticità, il resto non le importava.

       Libera dal pregiudizio ed al contempo critica rispetto alle incoerenze, soprattutto quando si trattava di omissioni dai doveri istituzionali, lei  poteva arrabbiarsi con chiunque, anche con il sindaco o il vescovo, se c’era da difendere la causa dei senza voce.

         È così che l’abbiamo conosciuta, con l’impeto di una donna combattiva e al contempo segnata dalla fatica dei suoi anni. Quando parlo di fatica è perché Sarina ha amato e l’amore è soffrire, stare in apprensione, notti insonni, amarezze, delusioni, solitudine, e nonostante tutto rimanere lì a lottare. A volte ci sorprendeva Sarina dicendoci “mi pare di avere sbagliato tutto” ma poi si riprendeva e bastava poco, come un bimbo che entrando in casa senza chiedere permesso si andava a sedere posizionando i libri di scuola per svolgere i compiti.

        Quello era il suo posto, una cucina, una pentola pronta per l’uso, un tavolo con il giornale e qualche rivista, ecco il suo sogno.

Quando parliamo di ideali, di sogni, qualcuno equivoca pensando ai massimi sistemi, alle speculazioni e le chiacchiere da politica dei nostri giorni. Sarina sapeva bene che il reale è più grande dell’idea, la vita ha un valore aggiunto rispetto alle parole. I gesti semplici e costanti erano quelli il suo parlare, i silenzi e le attese erano quelli a raccontare la statura di una donna che ha segnato la nostra storia.

È così che il piccolo reale di Balzi Callozzi è diventato finestra sul mondo. Innumerabile  l’umanità proveniente da ogni dove che ha oltrepassato l’uscio della sua casa, moltissime le esperienze sparse per il mondo e che hanno arricchito la vita di tanti di noi e, ancora oggi, vengono trasmesse ai nostri figli.

Proprio il Vangelo (Lc 1,1-4; 4,14-21) di questa domenica ci racconta di come la testimonianza di vita venga tramandata e quindi trascritta, come a dire che la tradizione orale è in primo luogo consegna di una relazione che non ha fine e a cui bisogna tornare quando si ha dinanzi la Scrittura.

Vi leggiamo di Gesù che entra nella sinagoga di Nazareth e proclama un testo di Isaia che potrebbe risultare incomprensibile:  «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».

È paradossale ascoltare questa proclamazione quando in tanti che stanno attorno si sperimentano afflitti da infermità, problematiche parecchio gravi, fino alla schiavitù. Gesù sta vedendo oltre, qualcosa di simile lo leggiamo nelle parole del Magnificat quando Maria vede i potenti rovesciati dai troni seppure quei potenti sono coloro che hanno minacciato, e continueranno anche dopo, la vita di suo figlio.

Poi, prosegue il Vangelo, dicendo che Gesù commenta quella pagina con queste parole: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Ecco la novità, la Scrittura è la chiave di lettura per il reale, per leggere quanto sta accadendo ora nella propria vita. La realtà non può essere letta secondo una chiave orizzontale, c’è una prospettiva altra come una finestra dall’alto che permette di leggere il “qui e ora”.

Spesso l’umanità vive come una dicotomia: il sogno e la realtà, la spiritualità e le problematiche di ogni giorno. È necessario, invece, entrare nella realtà con i propri sogni, le passioni di vita, la Luce che viene dalla propria relazione con Dio, ed è così che la realtà viene già trasformata, cioè contaminata da quanto si porta dentro.

Il desiderio di bene è differente dall’idea di bene: l’uno trasporta e si dona, l’altra si astrae e si cristallizza. È così che, secondo la chiave evangelica, in Sarina non abbiamo colto un’ideologia ma uno stile di vita, una testimonianza di fragile ed autentico spezzarsi per l’altro. 

“La vita non si prenota, scorre”, è proprio vero Sarina. E ancora oggi nel fluire dei nostri giorni, il Dono resta impronta indelebile nel tempo, anzi: continua a portare frutti. 

 

 

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