Ogni vita è una missione

by Mauro 28. febbraio 2016 10:02

        Torna una pagina evangelica (Lc 13, 1-9) in questa terza domenica di Quaresima parecchio interessante. A Gesù viene presentata una questione: si tratta della constatazione di una strage ordinata da Pilato il quale aveva fatto uccidere galilei nel mentre che svolgevano i sacrifici cultuali. Un gesto di potere, una soverchieria per tenere a bada un popolo che altrimenti avrebbe potuto rivendicare i propri diritti di autonomia e di libertà. Arrivare a controllare anche il culto equivale a dire che tutto, anche il pensiero e la coscienza profonda, è nelle proprie mani.

      È una questione di giustizia di fronte ai mali che affliggono il mondo, una osservazione legittima che, però, trova una risposta “illegittima” da parte di Gesù!

         Lui cita il fatto della caduta della torre di Siloe che ha recato molta sofferenza, ma una tragedia non significa che una persona abbia meritato un castigo. Gesù pone l’attenzione non sui mali che incombono, conseguenza della ferita del peccato delle origini, ma sul come ciascuno affronta la propria esistenza. 

       A cosa serve guardare e parlare dei fatti del mondo se poi non si prende posizione con la propria vita? A che serve focalizzare l’attenzione su quel che non va se poi si rimane a guardare le proprie cose e i propri interessi, pensando solo a garantire la propria vita personale?

         Mosè, leggiamo nella prima lettura (Es 3, 1ss.), si era ritirato a vita ordinaria: aveva creato famiglia e ora pascolava il gregge. È il triste epilogo frutto delle rinuncia, lui aveva colto la sua missione di vita e cioè il desiderio di spendersi per il suo popolo difendendolo dalle ingiustizie, ma aveva preteso di realizzare tutto questo con le sue sole forze, uccidendo l’egiziano oppressore. Mosè era rimasto imbrigliato nella logica di potere, non si era reso conto che la missione affidatagli da Dio era su un altro piano e che la battaglia era diametralmente opposta!

             Anche in quel caso fermarsi alle ingiustizie, pretendere di cambiare il mondo e, poi, sperimentarsi impotenti era diventato motivo di ritiro dalla propria missione.

            Che sarebbe stato della nostra terra di Sicilia se ci fossimo fermati agli efferati fatti del 23 maggio o del 19 luglio del ’92 o, ancora, del 15 settembre del ’93. Quel male folle, invece, ha avuto una risposta sociale inedita: Palermo e tutta la Regione hanno reagito ma questo, ancora oggi, sembra non bastare. Il sistema rimane corrotto e la malavita pare riorganizzarsi, malgrado gli attacchi, continuando a controllare il territorio.

           Gesù prosegue raccontando una parabola, quella del fico che sta all’interno della vigna e che non porta frutto. La vigna rappresenta il popolo di Dio e mostra la custodia del vignaiolo il quale prendendosene cura produce il buon vino, quello che allieta la mensa e rende docili le relazioni umane. È il segno del bene manifestato dalla comunione fraterna.

           Il fico, in modo analogo, indica la presenza di Dio e i continui frutti del fico mostrano la missione di vita, il senso della pianta. Ora quel fico è infruttuoso e la richiesta del servo è quella di potersene prendere cura e attendere affinché possa portare frutti. È l’opera del Servo Gesù, Lui restituirà all’uomo la capacità di vivere la propria missione, Lui salirà sul legno secco della Croce per donarsi e portare frutto attraverso la propria vita.

              È questa intimità con Lui che ci viene proposta oggi, Gesù quale Agnello che porta su di sé (e non “che toglie”) il peccato del mondo. Lasciare che Gesù porti il carico della propria vita equivale a portare nuovi frutti, a tornare ad essere fecondi.

            L’uomo trincerato dietro il proprio peccato non vede oltre, ma vive timoroso e ripiegato su se stesso. È la vittoria pasquale di Cristo a permettere di vivere alla luce del sole affrontando le questioni della vita mantenendo lo sguardo fisso in Lui. Anche Mosè trovato il roveto ardente, segno della presenza di Dio che ama senza consumarsi, scoprirà la sua vera missione e, tornato in Egitto, condurrà il popolo verso la terra promessa. Ora si confronterà con il potente di turno, il faraone, e malgrado la propria debolezza lo sconfiggerà con la forza della fiducia in Dio, portando in tal modo i suoi fratelli fuori dalla schiavitù. 

 

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