La tua parte

by Mauro 26. novembre 2017 10:45

    Ciascuno cammina verso una direzione, anche chi dice di vivere alla giornata di fatto sta nutrendo un modo di stare nelle cose della vita, rivolto a se stesso o agli altri, cioè può nutrire il desiderio di bene oppure la melanconia che gli è propria, la brama di possesso o di potere sull'altro. Ciascuno attraverso piccoli e grandi atti quotidiani sceglie da che parte stare, se orientarsi verso una meta piuttosto che un'altra.

La liturgia di questa domenica, ultima dell'anno liturgico cattolico, ci fa sostare dinanzi alla figura di Cristo Re il quale viene a svelare il giudizio di questo mondo. Non si tratta di un mero atto “finale” ma dell'epilogo di un cammino, di una direzione intrapresa nel quotidiano vivere.

Fatto alquanto sorprendente è che  la regalità di Dio ci viene mostrata attraverso l'identificazione piena con il povero, con il carcerato, con l'ammalato. Alla domanda sul “quando” lo abbiamo incontrato, la risposta mette in luce che siamo giudicati sull'amore vissuto.

Non si tratta di un mero fare per l'altro, un adoperarsi per risolvere i problemi altrui ma di un entrare in relazione con lui e la sua condizione, fino a condividere, tanto che si chiede la visita dell'ammalato più che la guarigione!

Ci rendiamo conto che il più grande male esistenziale è proprio la solitudine, e l'individualismo dei nostri giorni pare declinarlo in molte prassi sociali che tendono ad emarginare il piccolo ed indifeso per vedere trionfante il potere di turno. È la logica economica del “vali se produci”, così come quella mafiosa del “sei dei nostri se ti sottometti”, o di una certa politica del “ti faccio lavorare se mi garantisci voti e plausi”.

Ieri è stata celebrata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e martedì pomeriggio a Danisinni avremo un ulteriore appuntamento per riflettere insieme, ed è proprio di questa mancanza d'amore che si sta parlando. Ogni forma di violenza è intollerabile per una sana Comunità, e il dare voce è il modo principale per non restare soli e trovare forza nel fronteggiare l'aggressore. La parola  costruisce relazione, ha cioè la capacità di esprimere e portare fuori il vissuto di ciascuno e questo genera condivisione, sostegno e reciproca comprensione. Tutto ciò è possibile, chiaramente, se c'è disponibilità all'ascolto, al vedere e riconoscere l'altro, a compromettersi con lui e per lui lasciandosi contaminare dalla sua presenza.

La liturgia della Parola comincia con l'immagine del bel pastore (Ez 34) che va in cerca del suo gregge, ormai disperso, e che passa in rassegna prendendosi cura delle pecore ferite e malate, e pascerle con giustizia. Questa è espressa dalla separazione del mite gregge dai superbi e litigiosi capri, come ad indicare che gli uni sono consegnati al pastore mentre gli altri conducono un pascolo autoreferenziale.

È la pagina del Vangelo (Mt 25, 31-46) a mostrare quale è il criterio di discernimento assunto dal pastore: l'accoglienza di Lui nella propria storia. È sorprendente questo passaggio perché Gesù si identifica con quel prossimo che si trova nel bisogno. Non fa riferimento al “come se fosse” Lui ma, dice, “l'avete fatto a me”!

L'agire cristiano, lo stare nelle questioni del mondo è dettato da questa prospettiva, l'altro è Dio con cui mi relaziono. Siamo di fronte ad una rivoluzione copernicana, è un'inversione di tendenza in cui il piccolo diventa criterio di riferimento. Guardiamoci attorno, ma lo sguardo ai piccoli è reale? Aldilà delle mode del momento in cui potrebbe essere chic fare l'azione buona verso le periferie esistenziali per una settimana o più, magari pubblicizzando su facebook o altro social  il proprio operato, il nostro agire sociale vede i poveri? Riconosce la profonda solitudine esistenziale in cui sono ghettizzate intere fasce di popolazione delle nostre Città?

La solennità di Cristo Re mostra un'altra verità, quella che ha come fonte e forza di vita la relazione con Dio da cui consegue tutto il resto. Scandaloso per tanti, ma consolante per tutti gli altri. Così Gesù rivela pienamente il suo volto e quello del Padre. Pensare che Pilato, temuto governatore romano, lo riconosce in quella fattezza andando aldilà delle apparenze fino a chiamarlo “re dei giudei” durante il processo nel mentre che gli accusatori lo denominano “malfattore”. È lì che Gesù accetta di parlare del suo Regno, quello che non appartiene ai potenti del mondo ma alla legge dell'amore. 

Perfino Pilato ne ha paura ed è disorientato, eppure per immagine e ruolo dimostrativo lo condanna e con una finzione scenica attesta di non assumersene le responsabilità. Ma è altro il lavabo di cui l'essere umano abbisogna, così come ad un uomo corrotto che ha ottenuto guadagno e potere sul sangue altrui non basta una elemosina o una buona azione per mettersi la coscienza a posto.

Gesù dall'alto della Croce aprirà un inedito lavacro, frutto dell'amore e del perdono sino alla fine. Si consumerà pienamente ma attende che ciascuno possa entrare in quest'esperienza, chi si ostina a rimanere spettatore, accusatore o indifferente, sta piegando la propria esistenza da un'altra parte.

Torna in mente la presa di posizione dei palermitani e della Sicilia tutta nei primi anni '90 dopo i vili attentati per mano mafiosa, non attendiamo provocazioni eclatanti per affermare da che parte stare. Il sangue dei martiri ci ricorda che oggi la vita va spesa nel presente uscendo dal proprio quieto vivere. Pensiamo a gesti coraggiosi come quello del giudice Antonino Di Matteo, un uomo che come tanti altri meno noti, lotta per la giustizia sociale, per la difesa della dignità di ogni piccolo. Sembra il Vangelo declinarsi con una postilla:  quando avevo bisogno non mi avete lasciato solo!   

 

 

 

 

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