L’Opera segno è sfida o autocelebrazione?

by Mauro 15. marzo 2014 08:30

            Oggi concludiamo l’accompagnamento, per la formazione base degli operatori Caritas della Diocesi di Mazara del Vallo, volto alla costituzione di un Osservatorio delle povertà e delle risorse.

        Un percorso annuale che è stato preceduto negli anni passati dall’accompagnamento degli animatori Caritas che attualmente prestano servizio presso i Centri di Ascolto distribuiti nelle parrocchie della Diocesi.
         L’Osservatorio si propone quale strumento di straordinario rilievo per la Chiesa locale, e non solo, in quanto permette di osservare «sistematicamente le situazioni di povertà, di disagio, di emarginazione, di esclusione presenti sul territorio e le loro dinamiche di sviluppo, comunicando e rivolgendosi alla comunità ecclesiale e all’opinione pubblica, favorendo il coinvolgimento e la messa in rete dei diversi attori sociali impegnati sul territorio, permettendo di verificare ed approfondire l’utilizzo delle risorse e di stimolare eventuali proposte di intervento». (Nota pastorale della Cei, anno 1985,  "La Chiesa in Italia dopo Loreto").
             L’Osservatorio viene a censire le Opere segno presenti nel territorio ma già esso ne costituisce la prima!
          Nei mesi ci siamo soffermati su come guardare l’altro per andare oltre le apparenze o il bisogno immediato. Il senso è quello di uscire dallo stato di emergenza (risposta di superficie) per entrare nello stato di priorità (risposta profonda al bisogno della persona che si incontra). Leggere i bisogni e le povertà del territorio non basta, va colto come questo bisogno viene mantenuto o, in taluni casi, prodotto dal sistema territoriale.
           In termini progettuali, all’analisi o descrizione del bisogno esistente si associa la rilevazione delle risorse, nessuna esclusa, presenti nel territorio. Questo significa farsi prossimi non solo ai poveri ed indifesi ma anche a tutte le persone di “buona volontà”.
         L’Osservatorio mostra in questi termini il movimento proprio della pedagogia della prossimità, cioè di chi fa della relazione d’aiuto un’esperienza di condivisione e di compagnia propria della Comunità evangelica, ove la Comunione è il fine e, al contempo, l’identità.
           Cogliere le risorse e non solo le povertà, esprime un atteggiamento di fondo: siamo tutti corresponsabili della popolazione che vive un determinato territorio. Pertanto non possiamo limitarci a mere analisi descrittive dello stato di sofferenza e di abbandono, necessità cogliere le risorse già esistenti per arrivare a tessere una trama di Rete e per individuare gli spazi vuoti, gli ambiti ove fare nuove proposte per rispondere alle attese dei poveri.
         Si riconoscono, e nascono così, le opere segno, quelle che sono espressione di una Comunità che ascolta il grido degli ultimi non rimanendo china su se stessa, e che si apre a nuove vie di risposta e condivisione. L’Opera è segno per la Comunità stessa, perché ha bisogno di esprimersi in modo significativo ed è sfida per il mondo contemporaneo. È il Vangelo che interpella l’uomo del nostro tempo, così come Gesù provocava attraverso la sua azione di misericordia.
            Non si tratta di un’opera che esprime il servizio cristiano nel mondo, come a dire io vivo la mia vita ecclesiale e uscendo dalla Chiesa faccio il mio servizio per esprimere il mio essere Comunità in rapporto a Dio. È, piuttosto, un’esperienza fondante che scaturisce dal riconoscere Dio presente nel mondo: tutta la terra è già epifania di Dio e il cristiano attraverso l’Opera segno mostra questa verità al mondo intero. Potremmo dire che l’Opera segno è un’azione liturgica che restituisce a Dio ciò che già gli appartiene. Il Servizio specifico allora non sarà da intendersi come un “fare per” ma un “esserci con”, è questa testimonianza che rende significativo il Segno espresso nel mondo.
              Così come abbiamo colto i bisogni quali espressioni di un vissuto e non la totalità della persona, allo stesso modo ora l’essere umano è colto capace di prossimità proprio perché capace di Dio. Cristo non ha fondato una nuova religione ma una nuova vita in cui non c’è separazione tra l’uomo e Dio ma Incontro. È allora che l’esperienza di fede cristiana è da intendersi non come desiderio di Dio a motivo della sua mancanza, ma come pienezza della sua presenza nella propria vita: il cristiano si scopre tale perché amato dal Padre, guardato con tenerezza ed in modo del tutto gratuito.
           Cambia la qualità del Servizio, il senso di corresponsabilità nel gestirlo proprio perché espressione di un’identità personale e comunitaria.
           L’Opera segno non è il frutto di progetti pastorali, quelli potrebbero anche rimanere sulla carta come spesso accade, è piuttosto l’espressione di una sensibilità di cui ognuno è responsabile.


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