Il digitale luogo di socialità

by Mauro 16. marzo 2013 00:02

   Ho una questione irrisolta, una delle tante che mi frullano per la testa, che mi pare contribuisca a bloccare i processi di integrazione e di pacifica convivenza tra noi umani. Osservando più da vicino la gestione politica israeliana e di riflesso quella palestinese, mi rendo conto di come si fraintenda l’adattamento con il cristallizzare (faccio un Muro e definisco confini e luoghi abitabili), l’interazione con il passivizzare (ti riconosco o meno diritti ed in questo modo possiamo interagire pacificamente). La gestione politica cioè viene a perdere il contatto con l'umano, con il diretto destinatario dell'azione politica. A quel punto la politica diventa un qualcosa di astratto, scostante per la popolazione, è quel che è accaduto anche in Italia negli ultimi anni basta pensare a quando i politici affermavano che l'introduzione dell'euro non avesse comportato un rincaro dei prezzi pur mantenendo gli stessi salari. Nel mentre che la gente impattava con le conseguenze del mancato controllo dei prezzi chi stava al governo brindava perchè con la nuova moneta si era usciti dalla vorticosa svalutazione della lira!

       È da riconoscere, seguendo una elementare constatazione socio-antropologica, che ogni persona nell’adattarsi ad un contesto al contempo lo trasforma, non è proprio vero che l’inserimento umano è riducibile a mero adattamento passivo. In Italia così come in Israele la progettazione politica deve partire da un quadro antropologico di riferimento in cui l'umano è da considerarsi in tutte le sue parti senza possibilità di separazione. Ad esempio, come afferma il sociologo francese Edgar Morin, l'economia porta con sè le domande, le passioni, i desideri proprie dell'umano e che pertanto superano i semplici interessi economici.
       Più che parlare in termini esplicitamente politici voglio fare riferimento, per analogia, al mondo digitale, un mondo oggi comune a tutti, almeno ai più .
       Lo spazio digitale non può essere trattato come un mero contenitore ove i giovani e meno giovani fanno zapping con o senza una meta predefinita.  Si tratta piuttosto di un luogo abitato che interagisce con chi lo frequenta fino ad influenzarlo profondamente, direi che si può parlare di “cultura” digitale.

       Ora il punto, così come di ogni proposta culturale, è che bisogna essere consapevoli del luogo ove ci si muove, avere gli strumenti per conoscere e scoprire, altrimenti il luogo subìto procurerà un’ “identità passiva”. Un’identità cioè ove non c’è scelta, criticità in base al proprio gusto, ma acquiescenza rispetto ad un “già pronto”. In quel caso verrebbe a spegnersi la capacità creativa propria dell’uomo che trasforma i contenuti una volta acquisiti, elaborandoli in modo del tutto unico ed originale.
      Con questo non intendo confondere l’adattamento, ossia la capacità di interagire con il mondo digitale, con la passività. Al contrario direi che il mondo digitale per essere realmente conosciuto abbisogna di interazione attiva e capacità creativa. Quando penso al mio amico Giorgio, a come organizza il suo blog www.informaticando.net  sono sinceramente persuaso di come abiti il mondo digitale ed al contempo lo ricrei, lo trasformi. 
       Ora noi tendiamo a ragionare in modo dicotomico, pensiamo ad un mondo online ed a uno offline ma ciò è profondamente errato proprio perché l’uno continua ad influenzare l’altro. I modi di pensare, le interazioni umane, le notizie che condividiamo, le esperienze ed il sostegno che cerchiamo si intrecciano nell'offline e nell'online.  Quante volte ci saremo sorpresi a lavorare di buon umore per un’email o un “mi piace” su un nostro post, o quante altre uno sfogo nella propria bacheca è diventato il modo per sentirci riconosciuti e per condividere con tanti altri che in questo modo sentiamo vicini. I due mondi si influenzano senza sorta di discontinuità.  A volte oltrepassare il checkpoint mi è sembrato come creare una sorta di offline, ora sei sconnesso da quel mondo che ti lasci alle spalle, ma in realtà te lo porti dentro con tutto quel che hai sperimentato. Bene una società che vuole proporre questo modello “culturale” è destinata alla nevrosi,  proprio perché il rimosso o negato inevitabilmente diventa conflitto interiore.
      Un confine rigido mostra la patologia di un sistema, dentro/fuori, essere/apparire, bianco/nero, ma quante sfumature di grigio ci permettono di passare da una tonalità ad un’altra? Piuttosto direi che l’identità digitale non è mera apparenza, anzi oggi l’individuo dispone di uno strumento in più per sperimentarsi e trovare equilibrio, integrazione tra ciò che è e ciò che mostra.

       Il digitale di fatto è un nuovo spazio di sperimentazione, al pari dello spazio ludico che trova il bambino per conoscere ed interagire con il mondo esterno. Certamente qualcuno obietterà parlando di identità digitali quali modalità di fuga dal mondo reale, è una affermazione vera ma nella misura in cui nutriamo modalità sociali che vertono su questa schizofrenia: "non puoi essere te stesso e per vivere devi solo adattarti!". Ogni stato totalitario propone questa identità formale che di fatto è garanzia di aver salva la vita!
       Tornando al mondo digitale appuro come possa restituire all’uomo post-moderno la capacità di stare nel tempo. Ma come, non è un “perder tempo”? 

        Ricordo che da ragazzi ci ritrovavamo nelle piazze dei nostri paesi, in un’ora imprecisata e lì si attendevano gli amici, chi passava saltuariamente e chi invece ogni giorno faceva un giro. Un tempo che diventava cura della relazione, della amicalità propria del buon vivere. Oggi il tempo è denaro o comunque è tempo sottratto ad altro, la corsa è assunta a stile di vita, come a dire “più si va di corsa e più mostriamo di essere qualcuno”. In questi mesi trascorsi in Palestina mi sto riappropriando del tempo, sono tornato a prendere i mezzi pubblici, a leggere, a scrivere, ad osservare la realtà che mi circonda. Il digitale ha questa grande potenzialità, quella di fermare persone innanzi ad un monitor per ritrovarsi, per condividere anche a migliaia di km di distanza. È un luogo che può riorientarci alla relazione, all’incontro con l’altro. Il fatto che sia mediato da un monitor non significa che sia l’incontro definitivo, significa piuttosto che c’è un contatto. Penso al gruppo dei Missionari di Strada su facebook, ogni giorno contatti, commenti, proposte, lì si mantiene una relazione ma questo non preclude la gioia dell'incontro durante un corso di formazione o una missione in spiaggia. Crea cioè un ponte temporale, una continuità all'interno del gruppo.
        Altro aspetto strettamente collegato al tempo è il luogo, il digitale ti permette di avere un luogo accessibile a molti, distanti km ma anche capaci di raggiungerti dopo, quando hai scritto e via sei andato. La concezione dello spazio viene reinterpretata, non sono più vincolato ad uno spazio contingente che potrebbe risultare restrittivo. C’è un profondo cambiamento culturale: qualcuno potrebbe iniziare a soffrire di claustrofobia se non potesse più esprimersi al contempo in più luoghi mantenendo contatti e ricevendo feedback che provengono da più parti del mondo o in momenti diversi.  Pensiamo dal lato opposto come il “culto” del luogo contingente può diventare motivo di grave contesa, aggressione all’altro inteso come minaccia per la propria identità.   

         Il digitale in fondo ci dà una interessante lezione di vita: al mondo c’è spazio per tutti.

 

 

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