Il contenimento responsivo per definire il Sé

by Mauro 8. marzo 2012 12:00

      La crescita umana è contemplata come un movimento ritmico ove la persona esce da sé per poi rientrare in se stessa realizzando così una sorta di “esplorazione continuata” che fin dalla prima infanzia immette l’essere umano in un percorso di crescita veicolato dal continuo comunicarsi e riconoscersi per mezzo delle interazioni quotidiane.
       L’incontro con l’altro comporta uno stabilire dei confini, degli spazi e dei tempi di interazione. Anche lo scambio con l’ambiente circostante non avviene secondo un puro adattamento passivo agli stimoli ricevuti, l’interazione tra persona e ambiente vede entrambi attivi in un reciproco scambio e modellamento.  Ciò comporta un processo di sviluppo in cui la persona si sperimenta pro-attiva, capace di influire sull’ambiente in cui vive e, contemporaneamente, si lascia stimolare da esso stabilendo un processo dinamico continuo (Zeanah, 2002). La risposta agli stimoli ricevuti viene mediata dalla originalità della persona, essa crea nuovi significati che vengono a modificare qualitativamente la reazione allo stimolo ricevuto e, nella formazione di questi significati, la componente sociale è molto rilevante (Vygotsky, cit. in Mecacci, 1996).
      Le consolidate ricerche sull’infanzia oggi attestano che l’essere umano fin dalla nascita si trova immediatamente aperto alle relazioni sociali; questa disposizione naturale fa sì che l’intero processo di crescita venga influenzato dalla qualità e dal grado di responsività sperimentati durante le interazioni. In particolare sarà la qualità della relazione d’attaccamento a favorire o meno lo sviluppo della persona.
Secondo questa prospettiva l’altro viene ad assumere un ruolo fondamentale nella formazione dell’immagine di sé  e nella formazione di autonome strutture regolatrici del sé. Bion (1962) parla di un vero e proprio contenimento del pensiero del bambino da parte della mente della madre, la rêverie materna favorisce nel tempo gli elementi per la costruzione dell’apparato psichico proprio del figlio. Durante l’infanzia il sentimento di attaccamento e di sicurezza vengono ad essere regolati dalla responsività della figura d’accudimento, e tale interazione permette al bambino di sperimentare la sua dimensione affettiva e di esplorarne la varietà e l’intensità (Stern, 2000). Pertanto l’immagine di sé andrà a svilupparsi in base ai feedback sociali ricevuti dall’ambiente circostante.
        È interessante notare che per Moreno il ruolo precede il Sé ed è dato dall’unità culturale della persona. Ne consegue che il Sé è frutto dell’interazione sociale e si sviluppa nel tempo. L’autore parla di ruoli psicosomatici propri del bambino nella interazione con la madre, di ruoli psicodrammatici propri della fantasia e del rapporto con personaggi ideali, di ruoli sociali frutto delle interazioni con il mondo circostante. Proprio il ruolo costituisce per Moreno la chiave d’ingresso per entrare a contatto con il sé e dal sé partire per modificare l’assunzione di ruoli sociali. Infatti il processo di cambiamento attivato dallo psicodramma è dato dalla elaborazione della azione scenica che esprime la rappresentazione mentale; nel corso dell’azione il protagonista viene ad avere degli insight che producono nuove integrazioni e la scoperta di ruoli più funzionali alla sua vita.
        Pertanto il ruolo agito è da intendersi nell’ottica relazionale e cioè quale espressione dell’individuo in un contesto, il grado di benessere procurato dal ruolo sarà dato dalla integrazione tra il benessere procurato dalla sua assunzione e i feedback  provenienti dai controruoli durante la  sua espressione.
Inizialmente sarà la figura materna a svolgere la funzione di Io ausiliario e ad interagire con il neonato assumendo i ruoli complementari ai suoi bisogni, al contempo la madre modellerà il figlio nel favorire l’assunzione di ruoli complementari. La presenza materna man mano lascerà lo spazio alla graduale interazione con l’ambiente  circostante ciò favorirà una rappresentazione di ruoli sempre più articolata e culturalmente complessa.
        Inoltre Bowlby (1972) ha appurato che il bambino non cerca semplicemente una prossimità fisica da parte dell’altro, ma cerca altresì una interazione emotiva in cui l’altro manifesta di prendersi cura di lui. La qualità del rapporto dipenderà dalla componente emotiva sperimentata durante l’interazione, e la risposta complementare da parte della figura di accudimento permetterà la formazione di quella “base sicura” che fa da trampolino di lancio alla successiva esplorazione e alla relativa messa in gioco. Questo rapporto di complementarietà viene indicato da Winnicott (1971) con la risposta di una “madre sufficientemente buona” capace di adattarsi attivamente ai bisogni del bambino e che, pertanto, gradualmente riesce a venir meno al fine di stimolare la capacità di autonomia del bambino.
Proprio in riferimento al rispecchiamento con la figura materna, che favorisce nel bambino la rappresentazione di sé, Stern (2000) parla di un altro “regolatore del Sé” che attraverso una buona sintonizzazione permette di regolare il sentimento di attaccamento e di sicurezza del bambino. Nel realizzare ciò è importante che la figura materna restituisca al contenuto emozionale trasmesso dal bambino anche una integrazione ossia una sua modulazione. Con il termine attunement fa riferimento ad una responsività che non è mera imitazione del bambino ma introduzione di nuovi elementi transmodali. In altre parole è quanto affermava Winnicott (1971) dicendo che gradualmente la madre inserisce un proprio gioco che man mano dovrebbe essere integrato dal bambino; in questo scambio di interazioni a suo avviso si svolge il rapporto educativo. 
       Il comportamento responsivo della figura di accudimento ai bisogni del bambino, genera l’illusione della corrispondenza tra la realtà esterna e la possibilità del bambino di creare. Il bambino si percepisce in tal modo, capace di creare e di soddisfare i propri bisogni. Il gioco altalenante di reciprocità tra madre e bambino genera un’esperienza che ha la connotazione di “controllo magico” da parte del bambino, egli percepisce la sua potenza, la capacità di controllare e creare le cose. Comprendiamo da ciò, anche l’importanza per il figlio di uno spazio neutrale riconosciuto dall’esterno, entro il quale sperimentarsi, giocare, perdersi attraverso l’illusione. Questo spazio, successivamente nella vita della persona, troverà espressione nella dimensione artistica, religiosa, lavorativa (Winnicott, 1971).
In definitiva possiamo intendere come l’esperienza di contenimento responsivo che scaturisce dall’incontro permetta fin dall’infanzia di differenziarsi dall’altro e di entrare a contatto con se stessi a partire dal rispecchiamento. Si viene a creare così quella che May (1983) chiama “l’esperienza di diventare una persona”, dove la capacità di guardarsi come dal di fuori, e quindi di avere consapevolezza di sé, viene a caratterizzare l’essere umano.

 

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