Il Custode della meta

by Mauro 20. novembre 2016 12:43

     Nel mondo globalizzato dal mercato, l’umanità sembra avere perduto il suo peso specifico, l’individuo è considerato un numero da annoverare tra i produttori o i consumatori di prodotti del sistema e, in ogni caso, fonte di potenziale ricchezza.

      Proprio a principio di questa domenica, insieme alla Comunità di Danisinni e ai Terziari francescani, abbiamo condiviso un incontro parlando di permacultura e cioè del prendersi cura del creato e dell’uomo che lo abita promuovendo ambienti naturali in cui la reciprocità è principio di vita. Stare nel rapporto con la natura non da predatori e neanche da parassiti racconta un modo di rapportarsi all’interno della specie umana, ove ciascuno è chiamato a custodire la vita altrui.

         Non sembra casuale il fatto che celebrare la signoria di Dio sull’universo, in questa domenica, ci porti a ripensare i rapporti che costruiamo all’interno del nostro mondo a partire dalle abitudini quotidiane, riappropriandoci di uno stile di vita. 

            Ma cosa arricchisce davvero l’esistenza di una persona? Cosa gli permette di dare senso ai suoi giorni?

Oggi ci viene posta dinanzi un’immagine davvero paradossale: Gesù crocifisso morente su quel legno (Lc 23, 35 – 45). È mai possibile mostrare la regalità di Cristo attraverso una simile scena?

La liturgia, di fatto, rimane fedele alla rivelazione evangelica e, nel Vangelo, la crocifissione è il momento in cui Dio manifesta tutta la sua grandezza!

Lo avevamo già incontrato nascere in un’umile mangiatoia, poi l’ingresso a Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina e, ora, sul patibolo della croce. Ogni immagine grandiosa di Dio viene sfatata, è demolito l’impianto religioso fondato sul potere o l’esclusività, adesso troviamo un Signore contaminato, impastato con la pochezza e la sofferenza umana senza potere vantare privilegio alcuno.

Ci rendiamo conto che questo è il senso profondo dell’incarnazione. Considerato che l’umanità continuava a creare distanze da Dio proiettandogli la propria ricerca di onnipotenza, Lui ha posto rimedio accorciando ogni distanza: prendendo la carne umana e raggiungendo l’umanità lì dove ognuno si trova. L’uomo che cerca di prendere le distanze da se stesso nutrendo un ideale di perfezione viene ridimensionato, così, dal Dio che si fa piccolo per incontrare, nella verità, la sua creatura. È questo l’incontro profondo che restituisce libertà al vivere, forza e possibilità di andare avanti a qualsiasi persona.

La scena evangelica, infatti, trova Gesù in croce accanto a due malfattori, due che stanno tirando le somme della loro esistenza terrena e si trovano di fronte ad un resoconto fallimentare. Non è solo la questione della morte ad interpellare l’uomo ma, soprattutto, il come si muore.

Gesù incontra la solitudine più estrema, in un momento davvero tragico per quanti sono suoi compagni di condanna. Lasciare la dimora terrena in un contesto di affetto e riconoscimenti, è ben diverso dallo spirare sulla croce in un clima di oltraggi e percosse. È perciò che l’affermazione «oggi con me sarai nel paradiso», prorompe nel dramma di quella scena.

È come lo squarcio di un raggio di sole che illumina una giornata temporalesca. Il tempo presente, anche quello vissuto nell’oscurità depressiva più grande, può essere illuminato dalla presenza di Dio se a Lui si rivolge lo sguardo.

Proprio i due malfattori che stanno accanto a Gesù ci mostrano due modi distinti di approcciarsi alla realtà. Il primo ha un atteggiamento di sfida, è l’uomo che fino all’ultimo istante nutre la rabbia per stare lì dove si trova, l’uomo insoddisfatto perché avvolto dalla logica egocentrica di prevalere sull’altro. «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» è un’affermazione pesante, considerato che l’interlocutore è morente e ha già subito una grave ingiustizia. È la sfida che l’umanità di tutti i tempi rivolge a Dio: cambia le sorti della storia, trasformale a nostro piacimento!

In realtà Gesù la sorte della storia la cambierà, rivelando la meta e cioè il suo desiderio di Bene fino a donare la sua vita, e con essa il suo regno, all’umanità.

È la meta che si persegue a cambiare la postura nel cammino. C’è ancora chi rimane chino su se stesso, sempre pronto a brontolare, e chi invece guarda oltre, già gusta malgrado la fatica quotidiana. 

Il secondo malfattore scopre questa via, vede un uomo che come lui sta morendo in croce, lo vede inerme e sofferente ma coglie in quell’apparenza la forza dell’amore. Coglie la bellezza di chi è re e porta avanti la sua missione sino alla fine.

Questo riconoscimento gli fa trovare la forza per osare chiedere: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». È l’osare della fede che non cerca condizioni differenti da quel che si è ma parte proprio dalla concretezza della propria esistenza e ne fa un’offerta a Dio.

Lui conosce bene perché sta morendo in croce, ha fatto violenza, forse ha ucciso, sta comprendendo che ha sbagliato direzione eppure lì accanto ha uno che, pur avendo seguito un’altra strada, si trova nello stesso luogo.

Resta affascinato da quella lotta per la vita altrui, comprende che la sua disperazione è motivata da mete illusorie e strategie di morte per realizzarle. Non avrà compreso tutto di quell’uomo ma certo ha colto che stava morendo per amore ed è perciò che ha trovato il coraggio di consegnargli la sua povera vita.

Noi lettori sappiamo che se Gesù avesse dimostrato la sua innocenza durante il processo, e non gli sarebbero mancate le argomentazioni, secondo il diritto romano gli accusatori sarebbero stati rei di morte. Lui non ha permesso che morisse l’umanità per cui stava lottando, ha scelto di attraversare la morte pur di dare la vita.

Lui custode dell’umanità sino alla fine…

 

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