Identità tra Appartenenza e Creatività

by Mauro 20. aprile 2013 22:00

     Tutti sperimentiamo insieme al bisogno di unicità, che ci fa essere esseri speciali e differenti, il bisogno di appartenenza, cioè di appartenere per non restare soli, senza relazione, privi di comunicazione, privi della presenza dell’altro. Questo atteggiamento ci espone all’altro dandogli il potere di influenzare la nostra vita, ciò sovente comporta sofferenza a motivo della perdita o del tradimento della persona che non è più presente. Taluni decidono, in questi casi, di chiudersi e di “non appartenere”, ripiegarsi su se stessi proprio perché l’assenza ricorda la ferita e fa venir meno la fiducia nell’altro.
         Proprio l’altro giorno durante un laboratorio progettuale volto a ripensare l’identità della nostra Città a fronte della proposta che facevo di inserire anche l’ “appartenenza” quale parola per declinare l’identità sociale alcuni colleghi  hanno replicato dicendo che oggi è impensabile parlare di “appartenenza” in una società in cui si difende il pluralismo e ancor di più nel nostro contesto ove “l’appartenere” viene associato all’affiliazione malavitosa.
        Queste considerazioni mi fanno riflettere, comprendo bene che l’orizzonte socio-culturale in cui viviamo sta attraversando una profonda trasformazione e mi chiedo se, pur tenendo conto del nostro “oggi”, noi umani possiamo vivere senza appartenenza!
         Sono crollate le tradizionali strutture di appartenenza, perfino la configurazione della famiglia non è più tale: quotidianamente assistiamo ad una reinterpretazione del concetto di nucleo familiare, così come di quello di paternità e maternità. Come sottolinea Bauman, l’identità appare come compito non realizzato e alla domanda “chi sono io” il cittadino del nostro mondo potrebbe rispondere “opera incompiuta”, come a dire “continuo divenire”.
         Se da un lato questa realtà delle cose sembra affascinare in quanto aperta al mistero, all’avventura della vita,  al contempo rischia di lasciare naufragare l’umano vivere privandolo di una meta, di un orizzonte di senso, un anelito, un sogno verso cui tendere, o ancora un “luogo” ove ritrovarsi. Pensiamo al nuovo modo di intendere la cittadinanza: siamo cittadini del mondo e sempre meno cittadini di un Paese, il luogo di nascita non dice più la storia, la memoria di una persona, proprio perché la sua vita può trascorrere in tanti altri luoghi ben diversi.
         Si crea così un’identità flessibile, non legata ad un luogo a differenza del tempo (appena un paio di decenni fa) in cui bastava ascoltare l’accento di un persona per presupporre cultura e usi. Pensiamo al “noi” virtuale ove è possibile appartenere ed entrare con un semplice click, così come restarne fuori.
         Io che ramingo sono di natura penso che comunque abbisogniamo di legami e continuità con la nostra storia personale altrimenti la flessibilità diventa frammentazione, dispersione dell’essere anziché consapevolezza di sé.      

         Questa riflessione potrebbe proseguire in questa linea ma non troverebbe soluzione, penso piuttosto che abbiamo bisogno di uscire dagli schemi prestabiliti che non ci permettono di leggere ed attraversare la realtà per quella che è, finendo col falsare la lettura dei fenomeni sociali.
          Bisogna ampliare il campo di prospettiva e trovare categorie nuove per leggere ed interpretare la realtà. Intuisco che il concetto di “Creatività” può restituire flessibilità e riconoscimento al vivere umano, mai ancorabile del tutto ad una identità-appartenenza definita una volta e per tutte.
          Parlare di Identità e Creatività oggi mi pare che possa meglio descrivere la nostra sensibilità. Mentre la creatività ci permette di esprimere il possibile nel presente, quello che posso realizzare ma che ancora non è, l’identità porta nel presente l’esperienza passata, la consapevolezza di vita acquisita e proprio per questo ci apre al futuro con questa connotazione specifica che ci fa essere noi stessi. Abbiamo bisogno di una continuità e, mi pare, la creatività può favorire questo percorso di riappropriazione del senso di sé tenendo conto della flessibilità dei “luoghi” abitati mai tracciabili, oggi, in modo definitivo.
          L’espressione creativa avviene all’interno di uno spazio di relazione. Essa non consiste tanto nel fare, come nel caso di un artista che si esprime nella sua opera d’arte, ma  nello stare, nel guardare, come fa un neonato quando guarda con stupore ciò che ha dinanzi o quando prolunga il suo pianto per coglierne le sfumature sonore. La creatività fa sì che l’adattamento non sia spersonalizzante, e cioè mero compiacimento o adeguamento alla realtà esterna senza possibilità di espressione originale.
          Nella esperienza creativa troviamo un continuo dinamismo tra essere e avere, un esprimersi e venire fuori per poi tornare in se stessi. Proprio nel fare, la persona vive il suo uscir fuori, da soggetto diventa oggetto, si mostra e si oggettivizza in ciò che ha realizzato. Nel momento in cui questo percorso viene a perdere la sua vitalità la persona rischia di cristallizzarsi nel “già fatto” e di identificarsi stabilmente con esso, perdendo così la sua capacità creativa che è continua novità d’essere.
          In realtà è questo il grande mito dei nostri tempi in cui la propria identità viene delegata all’immagine pubblica, a ciò che si è fatto o a ciò che si rappresenta, col conseguente rischio di ridurre il “volto” all’apparenza, in base a ciò che si ha.

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