Ferragosto luogo di Comunione

by Mauro 15. agosto 2012 18:16

   Oggi, giorno di sosta per eccellenza, si celebra una festa dal significato particolare proprio perché ci rimanda alle cose del cielo, alla vita dopo la morte.

    È interessante notare come nel nostro tempo si cerca sempre più di esorcizzare l’esperienza della morte o, comunque, della sofferenza.

    Si trovano molti espedienti per negare questa realtà che appartiene al vivere umano: si emarginano le fasce di popolazione più disagiate creando quartieri ghetto, si rinchiudono anziani e disabili in strutture perché dentro la propria casa sarebbero "di peso”, si cerca di prolungare la vita (apparentemente) attraverso continui trattamenti estetici anche di tipo chirurgico.
    O ancora, dinanzi alla tragica esperienza della morte che abbisogna di so-stare e di ascolto per elaborare la perdita, si fugge perché ci si sperimenta tremendamente impreparati.

     E in realtà impreparati si è, in quanto non abituati al confronto con il limite, con la sofferenza, con la privazione, con il senso religioso proprio dell’esistenza. Una società che nutre il delirio di onnipotenza di fronte alla precaria esperienza della vita ha bisogno di ricorrere alla negazione ricorrendo anche alla eliminazione di chi appare più debole.
    La festa di oggi che celebra Maria assunta in cielo è segno ed anticipo di un’esperienza che appartiene a tutti i figli di Dio. È un aspetto della fede cristiana di fondamentale importanza proprio perché mostra la realtà profonda della vita. In effetti il vivere umano cambia profondamente in base all’orizzonte di senso, se proiettati alla sola vita terrena o se si è rivolti verso una esperienza eterna.
    Parlare di eternità non significa fare del quotidiano vivere una continua rinuncia, uno sforzo senza gusto per potere finalmente rilassarsi un giorno. Significa, piuttosto, attraversare la vita terrena informandola di una speranza, forte di una prospettiva che ci permette di guardare in alto e dall’alto. Proprio oggi si medita il cantico del Magnificat che mostra un gioco di sguardi, un modo di guardare e di lasciarsi guardare.
    Se da un lato con evidente realismo il cantico di Maria costata la dicotomia sociale data da potenti e deboli, da sazi ed affamati, ricchi e poveri, dall’altro questa esperienza viene letta in modo nuovo ove le prospettive sono ribaltate. È un modo di vedere che ci permette di andare ben oltre le apparenze.
    Il Cantico scaturisce da un Incontro, emblema di ogni Incontro autentico, Maria trova Elisabetta, la vergine incontra la sterile, due donne che nella loro fragilità e debolezza accolgono con stupore l’Incontro con Dio. Ecco dalla relazione con Dio scaturisce relazione nuova con le persone che ci stanno accanto, si tratta di un cantico eucaristico, è un rendimento di grazie per quanto Dio sta realizzando nella propria storia e, pertanto, anche nella storia dell’intera umanità.
    Elisabetta chiama “beata”  Maria, è il senso profondo delle beatitudini: “beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. È beata perché ha creduto, ha accolto la proposta di Dio e si è messa in cammino, subito, per condividere quel dono e al contempo per servire la cugina. Ancora Gesù alla esclamazione di una donna che dice: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato”, risponde: “Ancor più beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano”. Dirà inoltre: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. La beatitudine è frutto dell’ascolto e della fiducia nella parola-promessa di Dio.
     Ancora ritorna in mente il pronunciamento di Gesù che dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 3). Felici,  non perché poveri in spirito ma perché eredi del regno dei cieli.

     Beatitudine è sinonimo di felicità, il termine traduce il greco makários che si fa derivare dalla parola kairós, che significa momento di grazia, favorevole, occasione in cui Dio si fa presente. Il beato pertanto coglie l’attimo, la proposta di Dio che passa in quel momento. Povero indica invece chi non può sussistere da sé, ha bisogno di un altro per vivere, è colui che fiduciosamente si apre alla Provvidenza per vivere. Pertanto è colui che si apre alla preghiera, proprio perché non è bastante a se stesso e tutto ciò che è e che vive viene accolto come regalo, non come pretesa.
      Questa è la festa dell’accoglienza, il cielo apre le porte alla creatura, Dio fa spazio alla sua creatura ed al contempo, la creatura, Maria ha fatto spazio a Dio. L’accoglienza è esperienza di reciprocità, chi viene accolto al contempo accoglie, così è di chi fa esperienza di Dio e dell’altro riconoscendolo quale figlio di Dio e pertanto fratello. Inizia nella storia umana un rapporto di custodia, l’interrogativo delle prime pagine della Scrittura “Sono forse io custode di mio fratello?” ora trova risposta, si ciascuno è custode dell’altro e pertanto chiamato ad accoglierlo.
      È festa della condivisione, Maria condivide il dono ricevuto, non si ferma a tenere per sé o, ancora, a farsi grande di fronte agli altri. Il suo andare è necessità, l’esperienza con Dio non può diventare intimismo ma luogo di Comunione.

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Ricerca di Dio | Testimoni

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