Doni da custodire

by Mauro 8. ottobre 2017 09:13

    Ci interpella profondamente la questione sull'eredità, ancora oggi  dalla cronaca del nostro territorio apprendiamo notizie di omicidi legati a proprietà rivendicate. Anche la questione sullo ius soli ossia il riconoscimento della cittadinanza a quanti sono nati in un territorio, a prescindere dalla scadenza del permesso di soggiorno dei genitori, è legata al rapporto con la terra e alla sua appropriazione nei confronti di altri.  

Le relazioni umane sembrano, in tale scenario, interrotte e subordinate al possesso e all'interesse sulle cose. La parabola che troviamo nel Vangelo (Mt  21, 33-43) di questa domenica fa riferimento proprio a questa ferita.

Si parla di un giardino ove è piantata con cura una vigna che, nel linguaggio biblico, rappresenta il luogo dell'incontro tra Dio, custode del giardino, e il popolo d'Israele di cui la vite è simbolo.

Leggiamo nel testo che all'azione di tenerezza e fiducia da parte di Dio corrisponde quella di difesa e di competizione da parte dell'uomo.

C'è da chiedersi come mai la risposta sia così inadeguata e insensata rispetto al rapporto di base che il Creatore instaura con la sua creatura.

Intuiamo un frainteso di fondo inerente ai frutti: quello dell'uomo meritocratico che ha fatto della propria vita un dovere essere, anziché il frutto dell'amore.

È vero ci sono ferite esistenziali, malesseri sociali che fanno crescere tanta umanità in un regime di sofferenza e di rabbia al punto che l'altro, chiunque esso sia, viene considerato un nemico. Tutte le ideologie di ogni tempo, non solo quelle contemporanee, proiettano su Dio questo atteggiamento considerandolo il problema della propria esistenza. Senza di Lui, questa è l'illusione propinata, finalmente l'uomo potrà realizzare la sua libertà ed emancipazione!

Eppure la parabola racconta come a fronte della storia di violenza il Signore della vigna risponde mandando suo figlio, l'erede della sua vita. Anche in questo caso, leggeremo, la reazione sarà crudele al fine di possedere tutto e strapparlo al legittimo proprietario.

Pochi notano come la parabola non dà una conclusione reattiva, ossia spietata, così come avrebbero inteso gli interrogati. Piuttosto si dice che “la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d'angolo”.

In questa risposta è racchiusa l'essenza del cristianesimo, ove la crocifissione del Figlio non distrugge il desiderio del Padre di donare a tutti la figliolanza, ossia la partecipazione alla Sua vita. Ed è così che la morte di Gesù diventa discesa agli inferi per cercare ogni esistenza malata e perduta, per riscattarla dalla morte e portarla alla vita vera, quella che non ha fine.

Letta in questa prospettiva la parabola viene riscoperta come cantico d'amore del Giardiniere che desidera i frutti di quanti ha accolto e, questo, non per mero egoismo ma per condividere l'esperienza dell'amore, l'unica che può dare vera felicità ad ogni essere umano e che è centrata sul dono, sull'apertura e sulla condivisione con l'altro.

I frutti sono importanti perché esprimono che la relazione con la fonte rimane tale, sono solo strumento ma quel che conta è l'amore di cui sono parte.

L'umanità dei nostri giorni, penso, è chiamata a recuperare radici e meta, così come la pianta che ha sì bisogno di attingere in profondità per rimanere stabile dinanzi alle intemperie ma, al contempo, è proiettata in alto per ricevere dal sole la luce ed il calore necessari per crescere ed assumere la statura a cui è chiamata, per dono di vita. 

 

 

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