Come Civette nella notte

by Mauro 24. febbraio 2013 00:33

    Accolgo la Parola che la Comunità cristiana medita in questa seconda domenica di Quaresima, reduce dall’esperienza fatta nel deserto del Negev, luogo ove il cammino è necessità per sostenere il sole cocente di giorno e la forte escursione termica della notte. In entrambi i casi fermarsi equivale a morire per cui il cammino è vita.
       È alla luce di questo contesto, quello del deserto, che voglio condividere questa Parola che indica l'atteggiamento del Cammino cristiano. Mi fa da specchio nel commentarla, l'esperienza dei Missionari di Strada che nell’evangelizzazione hanno trovato la loro particolare espressione, il Cammino per testimoniare la loro esperienza di fede. Dalla Parola di questa domenica ci vengono suggerite due immagini: il cielo stellato e la nube che avvolge.

       Si tratta di due episodi: la promessa fatta ad Abramo descritta nel capitolo 15 della Genesi, e l’evento della Trasfigurazione che avvolge Gesù con alcuni discepoli così come ci racconta il Vangelo di Luca al capitolo 9.
      «Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima» (Gn 15, 1). Dio mostra la necessità di uno scudo per affrontare la vita e superare il timore, ricorderà Paolo in Efesini 6,16  «Prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno».
      Lo scudo della fede, al riparo della fede allora è possibile affrontare la vita. Non c’è evangelizzazione se il nostro riparo è altrove (forza in se stessi e pregiudizio verso l’altro, pretesa di apparire, dimostrare che si è giusti).     

      In realtà Abramo era appena tornato vittorioso da una battaglia ma proprio in quel momento, quando Dio mostra le sue meraviglie attraverso la nostra opera ecco che si può insinuare la tentazione: fare a meno di Dio.
      E' allora che Dio rivolge la sua parola ad Abramo. E lui dubita, guarda al presente e si vede con i suoi ottant’anni, senza un figlio. La speranza di vita di Abramo sta proprio nell’avere un erede, è l’erede a garantire la posterità a cui viene così consegnata la propria vita, il proprio nome, la propria fede.

      Il dubbio non esclude la fede, la grandezza di Abramo sta proprio nel questionarsi e nel questionare Dio pur mantenendo l’amicizia con Lui. Si coglie l’assonanza con un altro grande uomo dell’Antico Testamento, Giobbe, anche lui pur sperimentando gravi difficoltà non distoglie lo sguardo da Dio.
      L’esperienza di evangelizzazione matura in questo contesto, quello di chi entra in travaglio e si lascia interpellare da Dio. Quello di Abramo è un grido, il grido di un uomo che vede finire i suoi giorni e pensa che la sua vita non abbia avuto una missione plausibile, sia stata sterile.
      Dio allora lo invita ad venir fuori dalla tenda, cioè uscire fuori dal luogo dove avrebbe dovuto avere la fecondità, e lo invita a mirare il cielo e contare le stelle: così sarà la tua discendenza. La risposta di Abramo: «Egli credette al Signore, che gli contò questo come giustizia».
      È possibile portare la Parola se si è disposti ad accogliere l’invito: “vieni fuori”. Ciascuno è chiamato a venire fuori dalle sue difese, a lasciare ciò che gli garantisce vita (è l’idolo al quale si è consegnata la propria esistenza) per trovare in Dio riparo, scudo. È allora che si può andare con semplicità e forza perché si ripone fiducia in Dio che è la propria difesa.
      Interessante notare che Dio accetta di sigillare questa promessa mostrando il suo passaggio in segno di alleanza, non chiede ad Abramo di passare anche lui in mezzo agli animali, è Dio che si impegna, è Lui a riporre la sua fiducia senza bisogno della garanzia dell’uomo. Dio non chiede garanzie ma un cuore che si pone in ascolto e agisca di conseguenza. L’andare verso l’altro scaturisce dall’ascolto, così come l’evangelizzazione è preceduta dalla preghiera.
     «Al tramonto del sole, un profondo sonno cadde su Abramo; ed ecco uno spavento, una oscurità profonda cadde su di lui». Quando Dio sigilla la sua promessa attraverso una terra ove recarsi, ecco che Abramo è preso dal torpore.
      Possiamo intendere che ci sono tre tipi di sonno: quello fisico proprio dell’uomo pigro, che non accetta di mettersi in gioco e trascorre la vita facendo da spettatore, magari lamentandosi di ciò che non va; il sonno dello stolto, di chi va dietro i suoi ragionamenti non avendo come interlocutore Dio ma solo se stesso; il sonno che è profezia, cioè il sonno di chi dimentico di tutto il resto si mette in ascolto di Dio. È l’esperienza favorita dal deserto, ove nel silenzio interiore si lascia scorrere la sua Presenza nella propria vita.
      Anche nel Vangelo della Trasfigurazione oggi si parla di torpore, un sonno in cui cadono i discepoli di Gesù.
Gesù chiama i discepoli per salire sul monte e pregare. C’è una salita al Tabor, un mettersi in cammino per fare una salita, per comprendere la propria missione bisogna uscire fuori, salire in alto, Gesù farà preparare la Pasqua “al piano di sopra”. È lì che ci si può mettere in ascolto, un dialogo che diventa tale quanto inizia l’ascolto di Dio: questa è la preghiera.
      Quando escono dal torpore ecco che i discepoli scoprono il volto di Dio, e questo, vedendo accanto a Lui Mosè ed Elia ossia la Legge e i Profeti, è la Scrittura la via per l’incontro, per scoprirne il Volto. I discepoli sono invitati ad ascoltare il Figlio, e ascoltano che Gesù parla del suo esodo. È l’uscire per andare verso Gerusalemme ove sarà crocifisso, dove cioè offrirà la sua vita per tutti. È quell’uscire da sè, dalla propria tana, che troverà compimento nella notte al Getsemani. Evangelizzare presuppone questo movimento, l'Ascolto diventa immeditamente esodo.
      Pietro sperimenterà tutta la gioia di stare innanzi al Signore, sentirà la bellezza dell’incontro. Gli occhi si aprono per colui che si fida. Non si tratta solo di constatare la bellezza di Dio ma anche la bellezza dello stare con Lui. Pietro vorrebbe fermare il tempo, in effetti è un momento di eternità proprio perché di profonda intimità con Lui. Vorrebbe fissare tre tende, come a comprendere, tenere questa esperienza ferma/sotto il suo controllo.
      Questo non è possibile, anzi è il processo opposto che permette di rimanere con Lui! Bisogna lasciarsi prendere, avvolgere, dalla sua nube. Come una tenda, la nube avvolge delle sua Presenza colui che ascolta. È per questo che nell’evangelizzazione si può andare portando con sé Cristo, è Lui che ci tiene con sé ovunque andiamo “purché due o tre siano riuniti nel suo nome”, purché ci sia lo spirito di comunione nel porgere l’annunzio. 
      È necessario uscire dal torpore per vedere. Anche nel Getsemani Gesù dirà ai suoi di svegliarsi e vegliare per non entrare in tentazione. Tentazione è ciò che distrae e si frappone, ciò che non permette di vedere. Entrare nel sonno della profezia è altro cosa, è la consegna dell’uomo che è disposto a scendere dal monte per affrontare la quotidianità della sua esistenza ma non da solo.
      Pietro imparerà a farsi scudo solo di Dio, e metterà a posto la sua spada, solo dopo quella terribile notte. Al giardino degli ulivi vorrà agire di forza ma Gesù lo fermerà, Pietro non può impedire quel cammino, è proprio questo l'esodo che aveva contemplato sul Tabor. Lì sembrava avvincente ma non ne aveva capito appieno il senso. Immettersi in questo cammino significherà per Pietro piangere dopo il rinnegamento e lasciarsi sfamare dopo la Pasqua, significherà entrare in quel mistero d'amore con la sua vita, mettendosi in gioco fino al martirio. 
      A quel punto Pietro sarà apostolo, annunziatore del Vangelo di Cristo, mostrerà attraverso la sua vita il Volto di Cristo.
      Un ultimo passaggio: ciascuno prima di andare è chiamato ad aprire i suoi occhi, a smetterla di fissare lo sguardo nel sonno delle proprie paure, difese o pretese, scambiate per realtà. La tradizione cristiana usa il simbolo della civetta, proprio perché è capace di vedere la realtà nel buio della notte. Ecco cosa si intende con “essere Luce nella notte”.

Comments (2) -

Elisa
Elisa Italy
25/02/2013 11:34:17 #

tante volte vogliamo fermare il tempo, come Pietro, pensando che in questo modo possiamo "stare con Lui", ma solo col mettersi in cammino possiamo fare esperienza viva di Dio e nell'incontro con l'altro sperimentare l'amore che Dio ha per ognuno di noi.....
Grazie fra Mauro per le belle condivisioni che ci regali dalla bellissima e affascinante terra di Gesù.....

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paola
paola Italy
26/02/2013 22:54:53 #

caro fra mauro,le tue riflessioni sono sempre illuminanti e danno la possibilita' di avere una forte risonanza...buon cammino fratello,ti sostengo nella preghiera.

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