Caregiver, la passione per la vita

by Mauro 6. febbraio 2012 17:42

 Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo […]
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza […]
Ti salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te.
    Così recita un bel testo del cantautore catanese Franco Battiato che mi offre lo spunto di partenza per dedicare spazio ad una particolare categoria di Caregiver: gli operatori pastorali.

      Nella mia attività lavorativa mi capita sovente di incontrare numerosi cristiani che si spendono nella relazione d’aiuto, sostenuti da una forte motivazione di fede e dal gratuito interesse per l’altro. Comprendo che anche per loro è quanto mai importante una specifica competenza così come per tutti coloro che si occupano di relazione di aiuto, nel prendersi cura di se stessi oltre che dell’altro.
       La puntualizzazione è necessaria considerato il rischio di sovraccarico generalmente non monitorato, l’iperstress che nei casi più gravi potrebbe provocare sindrome da burnout cioè un sovraffaticamento tale da determinare demotivazione, perdita di entusiasmo, ritiro dal servizio e senso di svuotamento. Un sorta di inaridimento emotivo nei confronti di se stessi e degli altri che può portare anche alla depersonalizzazione (un senso di estraneità dal proprio corpo e dai propri processi mentali).
       Competenza per un operatore pastorale significherà apprendere un metodo che è proprio del Maestro a cui ogni operatore fa riferimento, e insieme a questo affinare le proprie competenze umane attraverso una specifica formazione.
       Affrontiamo in prima battuta le indicazioni che vengono date dall’attività pastorale propria di Gesù.
1. Il prendersi cura è preceduto dall’andare incontro, dall’interesse per l’altro. Questa è la prima prerogativa del caregiver: l’interesse per l’altra persona. Tale movimento procura un fare spazio dentro di sé prima che andare verso l’altro, ogni relazione d’aiuto è prima di tutto un atteggiamento del cuore e della mente, un tenere nel cuore ed un prepararsi mentalmente. È un modo di porsi che non è verticale ma paritario, riconosco l’altrui vita importante come la mia.
2. L’incontro è segnato dall’avere cura "servendo". Il verbo che si incontra nei Vangeli, therapeùein, esprime proprio il curare, l’interessarsi per l’altro, il dargli gloria cioè riconoscerne il valore. Gesù non fa prediche e non parla di rassegnazione di fronte al dolore, piuttosto accoglie l’intimo carico di sofferenza condividendo il travaglio altrui, facendosi prossimo, specchio per l’altro. Con il suo sguardo e con il toccare l’altro mostra il suo riconoscerne le potenzialità, il potere affrontare la vita in modo rinnovato, uscendo dal ripiegamento.
A questo punto si impone una precisazione: il dolore per una grave ferita ha bisogno di contenimento, di essere sostenuto ma non represso. Il dramma nasce quando il dolore non può esprimersi, quando non può essere condiviso, elaborato insieme ad un altro. Il dolore imploso dentro, resta insoluto, un urlo senza voce, un tormento che può finire col diventare patologico. Gesù permette questa espressione, lui stesso esprime il suo dolore con il pianto e attraverso la preghiera.
3. Da questo incontro-condivisione nasce la possibilità di attraversare il dolore, di andare oltre. L’amore, il sentirsi amati, genera guarigione. Ma questa è un’arte difficile proprio perché il guaritore, così come recita una massima dei nostri giorni, deve lasciarsi ferire. L’operatore pastorale che condivide il carico di vissuti della persona che assiste non rimane estraneo, porta dentro il travaglio altrui, ha com-passione, sperimenta un patire insieme all’individuo che incontra. Per vivere ciò dovrà entrare prima di tutto nei propri vissuti, averli consegnati ad un altro che si è fatto prossimo e in modo particolare all’Altro da cui scaturisce il senso della suo donarsi. È una dinamica di continua accoglienza e condivisione che non può interrompersi, quando non c’è più consegna come nel caso di chi crede di “poter fare da solo” subentra l’alto rischio di impoverimento fino al burnout.
            A questo punto bisogna individuare delle competenze specifiche affinché l’operatore pastorale possa vivere appieno il suo ministero:
1. Apertura nel nutrire costantemente la propria esperienza di fede.
2. Capacità di inserimento e di confronto all’interno di una specifica Comunità.
3. Capacità di ascolto attivo scevro da pre-giudizi.
4. Competenza nella comunicazione efficace volta a stimolare le risorse dell’altro.
5. Abilità nel prestare attenzione.
6. Capacità nel mantenere l’ascolto di sé, dei propri vissuti e dei propri bisogni.
7. Ricerca di tempi di verifica e di consegna.

Abilità che possono maturare attraverso una opportuna formazione oltre che alla stessa esparienza sul campo. 

             

Add comment

  Country flag

biuquote
  • Comment
  • Preview
Loading

Month List

RecentPosts