Nati non per morire ma per incominciare...

by Mauro 8. gennaio 2017 00:36

           È un conflitto non violento quello che ci viene proposto dalla pagina evangelica di questa domenica (Mt 3, 13-17) in cui troviamo Gesù in fila con i peccatori per l’immersione nel Giordano.

        Stare nella condivisione con un popolo che vive le conseguenze dell’ingiustizia sociale è la scelta primaria di Gesù. È così che Lui inizia il suo ministero pubblico, l’aprirsi alla sua missione nel mondo. Lo fa mostrando una opportunità fattiva di rinascita, ossia di ripartenza ma non da soli.

       Tornano in mente le parole di Hannah Arendt, ebrea perseguitata dal regime nazista, che in uno dei suoi scritti affermava: «Gli uomini, anche se devono morire, sono nati non per morire ma per incominciare».

        Gesù si presenta a Giovanni per essere battezzato e lui si oppone perché coglie il battesimo come il bisogno di chi è peccatore e, quindi, cerca il perdono di Dio facendo penitenza. Ora Gesù svela un altro senso di quel gesto che, sappiamo bene, non è il battesimo sacramentale che sarà sperimentato dai cristiani solo dopo la Pasqua.

        Entrare in quell’acqua è davvero l’affidarsi alla volontà del Padre, esplicita, cioè, l’entrare nella storia dell’umanità, assumendo la carne umana, per nascere in questo rinnovato rapporto di comunione e amicizia. La relazione con il Padre, ora, è intimamente legata alla relazione con l’umanità intera. 

        L’uscire dalle acque, segno della nascita umana, viene completato dalla voce del Padre che chiede l’ascolto. Ogni individuo per stare nella vita ha bisogno del supporto della madre che accoglie e genera ma anche della voce del padre che chiama alla relazione e, quindi, alla risposta personale.

          La nascita non è completa senza questo ascolto, altrimenti l’uomo rimarrebbe imploso su se stesso, chiuso in una sorta di luogo protettivo a cui vorrebbe assoggettare ogni cosa. Il cosiddetto “mammone” è affetto da questa illusione, lo stesso dicasi per la persona depressa o evitante, così come per la personalità narcisistica. La nascita battesimale è un aprirsi alla vita con fiducia e mettendosi in gioco di fronte alle questioni dell’esistenza. Si ritira chi, non accettando la propria imperfezione, rinuncia a pensarsi in cammino insieme all’altra gente, finendo con il perdere il contatto con la realtà.

          Gesù dirà a Giovanni: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Cosa esprime questo “fare”? Di quale “giustizia” si sta parlando? Tutta la vita di Gesù rivelerà il suo modo di fare giustizia e il contrastare, puntualmente, un certo modo di “farsi giustizia”! Su questa novità si gioca la differenza cristiana, c’è un modo differente di operare la giustizia su questa terra.

        In realtà il “fare” di Gesù lo porterà ad essere riconosciuto come un sobillatore, uno che vuole cambiare l’ordine costituito, quello frutto di angherie e di soprusi nei confronti dei poveri oltre che di innumerevoli norme di comportamento per garantirsi (solo apparentemente) la benevolenza di Dio! 

        Si tratta di un modo nuovo di affrontare i conflitti della vita o gli sbagli dell’uomo, “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità” aveva detto Isaia (42, 3) come ad indicare che non ci sarebbero state più sentenze secondo la legge dei regnanti sulla terra.

          Secondo la giurisdizione babilonese, infatti, l’araldo del gran re quando veniva emessa una sentenza di morte si recava nelle varie città per proclamare la sentenza in attesa di una opposizione a favore del condannato. Quando questo non accadeva allora l’araldo rompeva il bastone che portava con sé e spegneva la sua lampada indicando che, di conseguenza, la sentenza diventava irrevocabile. Ora l’umanità considerata fragile da Dio, secondo il suo sguardo di misericordia, non può stare soggetta a tale legge.

La giustizia di Dio è ben altra cosa, Gesù sta mostrando il progetto di Dio che non dipende dalla logica del potere o dell’essere grande dinanzi agli altri. Lui guarda la creatura a partire dal Bene che prova per essa, è Lui che la tira dalle acque per restituirla all’esistenza con un fare nuovo che si basa proprio su questa esperienza del dono di Dio. 

Quando Gesù esce dalle acque ecco che si apre il cielo e lo Spirito come colomba scende su di Lui. Ci sembra un rimando alla creazione quando «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1,2), in realtà come una nuova creazione si sta realizzando con l’ingresso di Dio, in quel modo, all’interno della storia dell’umanità. E per quanti sono lì a vedere quanto accade ecco che viene rivolta una voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Il battesimo di Gesù non solo esprime un programma di vita, quello di Gesù, ma anche il modo di essere suoi discepoli: il Padre sta dicendo che l’ascolto della Parola e quindi il suo stare nella vita fidandosi della sua proposta diventa esperienza di figliolanza e di compiacimento cioè intimità  con Dio.

La crisi, allora, non è più colta come esperienza di fine ma di rinascita, opportunità di cambiamento per scoprire il cammino della vita. È quello che i discepoli impareranno seguendo Gesù. 

 

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