Dalla Meta dipenderà

by Mauro 10. luglio 2016 10:24

    Una delle ferite più gravi del nostro tempo è la mancanza di ascolto che invalida le relazioni e ne compromette la qualità riducendo i rapporti umani su di un piano formale.

    E ciò non solo a causa di etichette sociali o di pregiudizi che si rivelano profondi ostacoli tra popoli e famiglie all’interno di essi. Ma anche per una manifesta spinta all’individualismo culturale, in quanto su di esso si fonda il mercato dei consumi: più sei solo e più avrai bisogno di cose da cui trarre appagamento.

    Le pagine della Scrittura di questa domenica vengono ad intrigarsi di questo aspetto e a fare luce su quel che abbisogna, nel profondo, l’essere umano. Ascoltiamo il Vangelo del samaritano (Lc, 10, 25) quello che descrive il viaggio di uno straniero, uno da tenere alla larga e che, sorprendemente, mostra come entrare nelle questioni della vita, imbrattandosi se è il caso.

     Il Maestro, Gesù, sta rispondendo ad un dottore della legge, lui crede con la sua conoscenza teorica di essere un “giusto” e, pertanto, di potere provocare l’altro che incrocia nel suo cammino.

   È l’investigazione dell’uomo competitivo, quello che fa dell’esistenza una scalata sociale e quando si arriva in “alto” ecco che utilizza le sue categorie mentali per contestare e demolire l’altro che pensa rivale.

È il tipico uomo religioso che crede di costruire il rapporto con Dio attraverso la conoscenza e la dottrina imparata, colui che fa della religione un insieme di regole da osservare e, di conseguenza, con cui piegare Dio a proprio piacimento. Tale religione è altro dalla fede, manca della relazione, il riconoscimento reciproco, la fiducia di chi sa di non potere bastare a se stesso.

Tornando alla parabola, quell’uomo sfida Gesù delegandogli la ricerca del prossimo da amare, la domanda «E chi è mio prossimo?» non è ingenua. Lui si rifiuta di stare ai crocevia delle strade per accorgersi dell’altro, se lo fa è per stare al centro e dare sfoggio della sua sapienza.

È proprio da lì che il Maestro inizia a dare un’altra versione della vita. Racconta di un uomo che incappato nei briganti giace moribondo lungo la via. Parte dal mettere di fronte alla precarietà dell’esistenza, cammino in cui si può venire traditi dalla propria specie.

Derubato e percosso a sangue il viandante è affidato alla Provvidenza, non può contare sulle sue forze ma solo sul cammino dell’altro. Può solo mantenere la fiducia su un altro, sebbene sia stato appena tradito.

Ci apre, questa parabola, alla imprevedibilità dell’esistenza, a quanto poco serva dare tutto per scontato. L’apertura a Dio è questa fiducia aldilà dell’evidente, è l’osare della fede appunto. Accade che un sacerdote ed un levita passino per quella medesima strada, loro vedono e passano oltre.

È il vedere di chi non ammette variazioni di percorso, tanto è calcolato il proprio vivere. Eppure crede di avere a che fare con il divino, solo che utilizza lo sguardo per giudicare ed interpretare, tanto è privo di ascolto!

Entra in scena il samaritano cioè uno che non aveva reputazione, per quella gente, anzi era un impuro, uno da tenere alla larga. Sappiamo come Gesù attraversò la Samaria per poi arrivare a Gerusalemme e quanto questa via gli costo l’ostilità dei giusti fino alla crocifissione.

Proprio il samaritano vede e si commuove. Pensare quale abnorme differenza: loro al vedere erano andati oltre, come se avessero un conato di vomito che li allontanava, lui piuttosto ha viscere di commozione ed è il movimento che attrae naturalmente verso l’altro fino ad accoglierlo dentro di sé.

Torna in mente l’immagine di Francesco d’Assisi quando, lui che aveva così ribrezzo per i lebbrosi, un giorno si avvicino per abbracciarli e “ciò che appariva amaro si mutò in dolcezza di animo e di corpo”.

Nella vita c’è chi rispetta le regole e le utilizza per mantenere le distanze e rimanere buono, c’è invece chi si china, si imbratta lasciandosi contaminare, chi perde qualcosa di sé utilizzando i propri doni. Scoprendosi, cioè, prossimo dell’altro che incontra nel suo viaggio.

Ora non si tratta di fare moralismo ma di intuire che la vita è questione di scelte, di priorità, di mete verso cui si è diretti. Proprio dalla Meta che si ha innanzi dipenderà la qualità del cammino.

 

 

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