C'è una Luce che resiste al fascino

by Mauro 17. novembre 2019 19:57

       Fermarsi all'esteriorità delle cose può essere rischioso, potrebbe distrarre e non fare conoscere sinceramente luoghi e persone. Quante parvenze propone il modo contemporaneo, pacchetti di chirurgia plastica volti ad esibire l'eterna bellezza in termini di perfezione.

      L'uomo esteriore perde il sapore delle relazioni, il gusto di esserci nelle questioni della vita, si deresponsabilizza e consegna la propria esistenza ad un fare apparente che vorrebbe dimostrare agli altri e a se stesso il diritto di vivere.

       Nelle periferie di questo mondo scopro persone schiacciate in una quotidiana precarietà fatta di povertà così come di sofferenze fisiche a motivo della indisponibilità di cure appropriate. Una umanità che rimane a stretto contatto con la verità della vita e riconosce già a distanza la fattezza di chi sta arrivando, magari proponendosi quale salvatore in base alle mode radical chic del momento!

In questi luoghi scopro l'autenticità del volto, la capacità di resistere alle intemperie e mantenere la direzione della vita anche se molti, lungo il cammino vengono schiacciati.

La pagina del Vangelo (Lc 21, 5-19) di questa domenica ci presenta una scena esplicativa per comprendere come fronteggiare il cammino. Gesù si trova in mezzo a quanti parlano delle pietre del tempio ammirandone la bellezza ma senza cogliere il senso di quel luogo e la bellezza interiore che, di fatto, custodisce. Il luogo preposto alla relazione con Dio era diventato “spelonca di ladri” cioè lo spazio degli affari, del controllo della propria vita garantita dal flusso economico. Il portafoglio e il potere erano considerate le vere polizze assicurative della propria esistenza.

A quel punto Gesù chiarisce che “non rimarrà pietra su pietra”, come a ricordare che tutto è strumentale e che il rapporto con Dio ha una radice ben più profonda. E, ancora, il Maestro invita a non lasciarsi ingannare in quanto guerre e persecuzioni attraverseranno la storia dell'umanità, segnata dalla manifestazione del male, ma tutto ciò non potrà impedire il rapporto con il Cielo e piuttosto diventerà l'occasione per approfondirlo e, dunque, rivelare l'unico Signore della storia.

La questione, allora, non è il preservarsi dalla paura di dovere morire ma sapere che l'esistenza è cammino che non volge alla morte ma alla piena partecipazione al regno di Dio.

Quel tempio, dirà Gesù facendo riferimento al suo corpo, sarà distrutto e in tre giorni riedificato. È una prospettiva inedita che renderà tempio del Signore sarà l'uomo vivente e cioè quanti custodiranno la sua Parola. La Comunità dei credenti non sarà chiamata a vivere intimisticamente questa comunione ma a condividerla al suo interno e con l'umanità tutta, facendosi pane spezzato fino a consumarsi per amore.

Ne scaturisce l'illogicità di ogni guerra, di ogni pretesa umana di fare dei regni una sorta di prevaricazione sugli altri e un entrare in competizione con i popoli confinanti. Proprio a tale logica si sottrae santa Elisabetta d'Ungheria di cui oggi facciamo memoria.

Contemporanea di Francesco d'Assisi, a vent'anni rimase vedova con tre figli e fece di quel tragico evento l'occasione per continuare a vivere la sua vocazione spendendosi senza riserve per i più poveri. Il servizio iniziato già durante il matrimonio l'assorbi totalmente prendendosi cura degli ammalati fino a fare erigere un ospedale francescano a Marburgo. L'appartenere ad un regno fu per lei motivo di condivisione e di solidarietà con i più piccoli, Elisabetta manifestò così il suo essere tempio del Signore e, dunque, di appartenere al Regno dei Cieli.

A ciascuno è dato, allora, di spendersi per una battaglia, l'esistenza personale abbisogna di questo combattimento ma è necessario comprendere per quale causa si sta spendendo la propria vita.

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