La Luce che rischiara l'inconscio

by Mauro 5. aprile 2015 14:39

          In questi giorni la festa pasquale viene a connotare di riflessione la vita di molti, tanti altri rimangono distratti cogliendone solo l’aspetto più consumistico dettato dalle logiche di mercato. Per la Comunità cristiana, però, l’Annuncio pasquale non è un mero racconto da ascoltare quasi come spettatori di una rappresentazione teatrale. Piuttosto è una proposta di vita: la porta per avere accesso alla resurrezione personale, già a partire dal proprio quotidiano e, un giorno, nella pienezza del Cielo. Si tratta di uscire da se stessi, dai propri angusti meandri, per spostare il proprio baricentro in Dio.
           Durante la notte di Pasqua la Parola rivela il senso della creazione e di tutta la storia della salvezza, il chinarsi di Dio volto ad un desiderio di condivisione sempre maggiore fino ad arrivare all’incarnazione e alla morte di Croce. L’eternità era prerogativa di Dio e ora viene aperta ad ogni creatura: l’anelito all’immortalità, nostalgia insita nel cuore dell’uomo, trova risposta nel Dono totale che Dio fa di sé.
Al mattino di Pasqua, alle prime ore dell’alba quando ancora il chiarore del giorno non è definito, troviamo le donne che vanno al sepolcro per ungere il corpo morto di Cristo. È il desiderio umano di amare donandosi e così garantire sopravvivenza all’altro, lottare a tutti i costi per la vita o la memoria altrui. È un amore che ancora non trova pienezza e rischia, in taluni casi, di diventare possesso, gelosia, appropriazione dell’altro a cui si vuol bene. Ma l’essere custodi della vita altrui non equivale ad esserne i salvatori, la Luce pasquale mostra come tutto vada consegnato a Dio perché altrimenti l’amore non trova pienezza.
         È come mostrare il loro ultimo gesto d’amore, un accontentarsi perché quel Corpo, malgrado tutto, dice che Lui ha amato per davvero, le ha amate e, insieme a loro, si è donato per tutti. Loro avevano assistito, in quella via dolorosa, al suo patire profondamente per la persecuzione umana, e poi lo avevano visto sulla Croce morire ripetendo parole di perdono. Già questo poteva essere sufficiente a confermare la sua regalità, una donna riconosce la dignità di un uomo dalla sua capacità di amare, eppure qualcosa ancora mancava. Stavano recandosi ad un sepolcro, ma era davvero quella l’ultima parola di Dio?
Rimasero spiazzate ed impotenti di fronte a quell’evidenzia, ancora in loro c’era il desiderio di prendersi cura almeno del corpo, seppure inerme, dell’amato: il sepolcro, però, era vuoto. Le troviamo correre da Pietro e Giovanni raccontando che il corpo del Maestro era stato trafugato, ancora c’è il ragionamento umano che vorrebbe trovare delle spiegazioni, dei perché. La Pasqua, di fatto, non risolve i perché della vita, le cause degli accadimenti, ma ci apre al fine, al perché stiamo continuando a camminare “nonostante” tutto. Anzi il Maestro ha fatto degli impedimenti un’occasione propizia per mostrare un di più: la sua Gloria, cioè il valore della sua vita. Così era stato della Croce!
        Ciò che aveva toccato i cuori dei discepoli non era tanto l’estremo dolore portato da Gesù ma il come Lui era morto, e cioè la dignità con cui aveva affrontato la morte. In Croce lo avevano ascoltato ripetere le parole rivolte al Padre suo: “perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Aveva portato avanti la sua missione sino alla fine e per questo si era incarnato: per dare la vita eterna, offrire gratuitamente il paradiso a tutti coloro che lo avessero accolto.
         I due apostoli, rappresentanti di ogni discepolo di Cristo, corrono al sepolcro. Giovanni non appena arriva si ferma, cede il posto a Pietro, è lui a vedere per primo, ci stanno le lenzuola con cui era stato avvolto Gesù, solo lì ben piegate. Pietro rimane lì ad osservare, non si sgancia dalla vecchia mentalità, al momento dell’arresto di Gesù aveva estratto la spada ma Gesù gliel’aveva fatta riporre, sarebbe stato disposto a morire da combattente ma non a difendersi con la forza dell’amore. La testimonianza del Maestro è per lui sconvolgente, così come lo aveva sconvolto lo sguardo che Gesù gli aveva rivolto subito dopo il suo rinnegamento. Pietro era scoppiato in pianto, era divenuto consapevole che il Signore lo aveva sempre guardato amandolo, malgrado sapesse che un giorno lui, primo tra gli apostoli, l’avrebbe rinnegato. È ancora arroccato nelle sue posizioni difensive, sta cedendo ma ancora non è pronto.
Giovanni, invece, entrando vede e crede, cioè comprende che il Maestro è risorto, il Vivente non ha più bisogno del sudario. Lo stesso era stato per Lazzaro, Gesù dopo averlo riportato alla vita ordinò di scioglierlo dalle lenzuola che ancora lo legavano. Lazzaro era tornato in vita per cui andava sciolto.
È questa l’esperienza pasquale e l’entrarci comporta lo sciogliere i legacci di un tempo, quelli che facevano tenere legati alle logiche e alle pratiche di peccato. La Pasqua è esperienza di fiducia, di accoglienza del Dono di Dio.
          Le donne al sepolcro erano dapprima rimaste perplesse, come sospese, è l’esperienza di destabilizzazione che precede l’affidarsi. Non è possibile affidare tutto a Dio se prima non ci si lascia destabilizzare.
           Il Risorto annuncia alla donne che li avrebbe preceduti in Galilea, è il ritorno alla quotidianità ma seguendo Cristo. “Le cose di prima sono passate ecco ne sono nate di nuove” dirà Paolo ai Corinzi, la novità sta nell’avere portato la vera Luce su ogni cosa.
         Questa trasformazione è resa possibile proprio dalla Croce, luogo in cui Gesù si è addossato il peccato del mondo. L’Evento Croce riassume non solo il peccato dei crocifissori o degli ingiusti giudici, ma anche tutta quella mormorazione che aveva seguito il ministero pubblico di Gesù. I molti ragionamenti e pregiudizi propri della gente che constatava le opere di bene compiute da Gesù. Si pensi al suo guarire molti nel giorno di sabato, per essi era da considerare un lavoro e pertanto da condannare.
          La rivoluzione portata da Cristo passa proprio per questa pretesa umana di entrare in competizione con l’altro, cercando di coglierne i punti deboli. L’uomo pasquale, invece, si riconosce fragile ed esce dalla logica di dovere dimostrare a sé ed agli altri di essere superiore. Viene superata ogni dicotomia relativa al corpo-spirito, vita terrena e vita celeste.
Pietro (in Atti 10) dirà: “Essi lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno”, la traduzione letterale  non prevede il “ma”, la resurrezione del crocifisso è conseguenza naturale di quello che è accaduto prima e ciò crea uno stretto rapporto tra la ferita e la salvezza. Le fragilità consegnate diventano feritoie per lasciare passare la Luce della grazia.
           Qui sta la differenza cristiana, consegnare oppure resistere alla grazia. Così sarà degli anziani che assoldarono i soldati per far confessare che il corpo di Cristo era stato trafugato, essi rimangono a guardare il sepolcro vuoto e a fornire sottili ragionamenti, razionalizzazioni, per difendere la tesi del sepolcro seppure vuoto, gli altri invece rivolti verso la Galilea si sono messi in cammino. Questo viaggio continua ancora oggi e poggia sulle gambe dei cristiani sparsi in tutto il mondo. 
 

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