Il futuro del modello sociale

by Mauro 20. settembre 2012 12:00

       Sorge spontanea l’analogia tra il Libro bianco sul futuro del modello sociale, La vita buona nella società attiva preparato dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali nel 2009, e gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il decennio 2010 -2020 Educare alla vita buona del Vangelo.
        Documenti in cui si riflette per maturare prospettive e percorsi di crescita a servizio dell’uomo, della famiglia, della comunità. La vita buona, quella che esprime bellezza e gusto per il vivere, è una priorità del nostro tempo che sovente appare offuscato da miraggi di bellezza fondati sul potere e le apparenze, fenomeni che puntualmente rivelano la loro vacua e triste inconsistenza.
        È di ben altro che la comunità umana ha di bisogno, e la riflessione impone un ripartire dall’uomo, tornare a considerare il primato dell’umano rispetto alla produzione e alle logiche di potere.
        Come affermavo precedentemente il quid nodale sta nella distanza tra il potere finanziario, che non vuole più asservire la politica ma determinarla, e la politica stessa che ha sacrificato il suo compito di orientare gli investimenti di turno a servizio della Comunità.
        Ritengo che tale lacerazione può essere sanata solo se tra i due trova spazio la Risorsa umana. Il capitale umano è l’indice referenziale a cui politica e finanza devono fare riferimento.
        È schizofrenica una società che si polarizza sugli investimenti per fare crescere il capitale finanziario e dimentica la qualità della vita dei suoi abitanti, lo stesso vale per una politica che segue strategie di potere a scapito di buona parte della popolazione.
        Sebbene questa fotografia sembra ritrarre il momento attuale, penso che il mondo della cooperazione possa dare una proposta alternativa allo status quo.
         Nel 1895 in un periodo di crisi don Luigi Sturzo a Caltagirone fondava le prime Cooperative e le Casse Rurali, ma ancor prima già nel 1844 in Inghilterra nasceva la cooperazione di consumo. Vicino Manchester uno sparuto gruppo di tessitori rimasti senza lavoro iniziano a cooperare per condividere il loro lavoro ed i relativi frutti.
           Quello della Cooperativa è un nuovo modello di impresa,  nasce con la peculiarità della proprietà comune e la gestione-controllo di tipo democratico. Non è più il capitale il munus comune ma la relazione umana, la corresponsabilità, la fiducia, la solidarietà e l’uguaglianza. Non è la logica della competizione ma quella cooperativa a regolare l’attività interna, ove ciascuno si mette in gioco per il bene comune e non per il mero tornaconto personale.
           In tutto il mondo la cooperazione si va espandendo, nel sistema italiano ed internazionale quella della Cooperativa è l’impresa in crescita (seppur lenta), mentre la Società di capitale mostra una gravissima crisi. Basti pensare che uno dei fattori determinanti l’attuale crisi finanziaria è stato proprio il sostegno economico che gli stati hanno dato alle Banche private, Imprese di capitale, per poterle salvare dal fallimento (ciò non è accaduto per la Banche di Credito Cooperativo). Sono stati attivati strumenti eccezionali di intervento che hanno portato, di conseguenza, a far pagare ai contribuenti il costo di tale crisi. Si è trattata cioè di una privatizzazione dei profitti (in mano ai pochi proprietari) e una socializzazione delle perdite. La comunità è stata chiamata in causa per sanare la perdita e, mai, per condividerne il profitto!
          Opposta è l’esperienza di una grande Cooperativa spagnola che ha scampato il pericolo della crisi perché i soci hanno rinunciato a due mesi di stipendio reinvestendolo nel capitale sociale della stessa cooperativa.
Ecco i segni del cambiamento.

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