Il potere dell’uomo ed il ricordo di Dio: tra combattimento e volontà/2

by Mauro 31. maggio 2014 06:00

       L’individualismo che regge l’attivismo frenetico della nostre vite si oppone alla logica evangelica, quando scegli di stare in comunione sei più lento perché aspetti gli altri. Chi corre resta solo anche se ha la parvenza di essere “il migliore”.
          Il tentatore, così come descrive il Vangelo, propone all’uomo il potere per dominare il mondo a condizione di essere autoreferenziale senza alcuna relazione con Dio.

           Magari una relazione formale sì, questa non la si nega a nessuno, ma una relazione fondata sulla fiducia e sulla sequela di Cristo quella no, non è compatibile.
         San Massimo il confessore soleva dire che dopo il peccato l’uomo vive su di una voragine scura, un vuoto lasciato dall’assenza di Dio nel proprio intimo. La parte più profonda dell’essere umano, quella spirituale, a quel punto è come congestionata, abbisogna di un risveglio ma questo è ostacolato dalle parti di superficie, pensiero e sentimento, esse tengono l’individuo dentro le passioni che si articolano in modo crescente. Così distingue:
     Passione materiale ove la materia viene asservita alla brama di dominio e di appagamento.
     Passione razionale in cui è il pensiero ad essere il luogo di dominio dell’altro e delle cose.
     Passione relazionale ove l’altro è trattato con fare possessivo “mio”.
     Passione religiosa attraverso la quale la religiosità è usata come strumento di potere sull’altro.
          Per purificare le passioni, secondo la prospettiva di san Massimo, abbiamo bisogno di disgiungere pensieri e sentimenti. Quando il pensiero è passionale possiede la persona portandola a destra e a manca, perciò va scisso dalle passioni. In questo modo il pensiero tornerà a governare il sentire orientandolo verso ciò che è buono.

          Ma questo non è frutto di una  costrizione, altrimenti i cristiani sarebbero dei repressi che attraverso le proprie razionalizzazioni vorrebbero controllare la propria pulsionalità. Prima o poi essa esploderebbe in malo modo, sarebbe energia pulsionale impazzita e pertanto capace di azioni virulente.
        Il pensiero ha bisogno di ancorarsi alla Verità e, dalla Verità, ottenere la luce necessaria per infondere nel proprio animo sentimenti di Bene. Essi scaturiscono da un Pensiero di Comunione in Dio.

           Conseguenza di questa esperienza è la libertà nel rapporto con le cose, con il fare e, prima ancora, con il proprio essere. Spiego:
           L’uomo è chiamato ad essere strumento e non possessore dei doni. I doni, carismi appartengono a Dio e non alla persona che li ha in uso. Nella vita cappuccina c’è una bella espressione rispetto agli oggetti, quali libri o attrezzi, che uno adopera: “ad uso di fra …”. È il senso del non appropriarsi molto caro a San Francesco ma l’appropriazione prima ancora che delle cose è della propria volontà. La mia volontà di contro alla volontà di Dio. Ma questa, in realtà, è un’insinuazione perché vorrebbe dire che la volontà di Dio non è paterna, cioè non è per il proprio bene e per la propria felicità! È l’insinuazione del tentatore quando suggerisce ad Eva che mangiare del frutto dell’albero non le nuocerebbe affatto.
            Dal combattimento siamo passati al tema della volontà, i due aspetti sono strettamente collegati. E proprio l’agonia del Getsemani ci svela in senso di questo combattimento. Gesù dirà “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26, 39). La lettera di Pietro    dirà “e fu esaudito”.
           Ma come? È stato esaudito finendo sulla Croce? Si, il discorso ci stranisce perché frequentemente cadiamo in un frainteso: Gesù non chiede di non attraversare quell’Ora ma di viverla con il Padre cioè alla sua presenza.
        Nel Getsemani Gesù consegna la sua volontà al Padre perché sa che “come vuoi tu” sarà il compimento, la pienezza della sua vita. Il Figlio non può e non vuole stare distante dalla volontà del Padre, il calice è la morte in quanto assenza di Dio, ma Gesù la vince. Viene esaudito perché rimane nella volontà, nella Comunione, del Padre. Essere in comunione ci permette di attraversare il dolore più grande fino al crogiuolo, ma si rimane pieni di vita cioè d’amore.
            Nel Getsemani, pertanto, si ha il compimento dell’Incarnazione. Il desiderio del Padre è riconciliare l’umanità a sé, colmare la terribile distanza dovuta al peccato dell’uomo. Il Padre lotta insieme a Gesù nel Getsemani per ristabilire l’Alleanza relazionale con l’umanità, Gesù pertanto non lotta contro il Padre ma contro il male dovuto alla ferità relazionale del peccato. Mentre rimane disteso in preghiera prima dell’arresto è come se vedesse tutto l’abisso del male della storia, è questo terribile carico che sta assumendo su di sé.

               Il significato di quanto appena annotato è il frutto di un cammino personale, non può essere commentato in un post. Ritorniamo allora, con i prossimi post, a riflettere sul senso del combattimento e della volontà.
              La prospettiva cristiana spiega l’identità a partire dalla relazione, dal rapporto con l’Altro che è Dio.
            La vita spirituale è un cammino, non si acquista tutto ad un tratto e, una volta iniziata, va coltivata quotidianamente. Si inganna chi presume che riorientata la vita verso il Bene, abbandonata la via del peccato, questa venga garantita da ogni pericolo. Il peccato non è più necessità come prima, certo, ma ora è possibilità che viene insinuata proprio dalla tentazione.
           Una via maestra per rimanere nella comunione spirituale con Dio è la contemplazione intellettuale delle sue meraviglie, l’opera di salvezza che ha realizzato in noi ma ciò non basta. Alla conoscenza deve seguire l’ascesi cioè il movimento sospinto dalla volontà. Il primo combattimento sarà interiore con quella parte di sé che vuole tornare alla vita di prima.
           I pensieri passionali, i logismoì, gli impulsi che prendono campo nella mente con immagini e che solleticano la volontà ad accoglierle.
           Sono pensieri che vorrebbero interrompere le conversazioni dell’anima tra l’uomo e Dio. Il dialogo frutto della conversione del cuore.
           Il pensiero si insinua nel subconscio e, man mano, diventa più invasivo fino ad essere conscio, come un’esca che viene lanciata in attesa di trovare la presa. Intrattenersi nel dialogo anche nel tentativo di darsi delle spiegazioni è già un avere abboccato. Il pensiero fuorviante si nutre di questo dialogo e diventa sempre più presente fino a cercare di avere la meglio, convincere interiormente delle sue ragioni.   

           L’individuo si trova, a quel punto, nel combattimento. Il conflitto interiore tra la parte che pensa secondo il Bene e la parte che pensa secondo i suoi interessi. Chiaramente quest’ultima trova il suo potere nel riscontro immediato che apparentemente è un successo, in un secondo tempo lascia un senso di profondo e pervasivo malessere ma già l’uomo si trova nell’esperienza del peccato e, a quel punto, si è indebolito.

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