Giù la maschera!

by Mauro 26. febbraio 2017 09:23

     La paura dell’abbandono, quella dell’essere dimenticati, è una delle emozioni che almeno una volta ha attraversato la storia di ciascuno. Non è facile sostenere l’assenza dell’altro, la mancanza e il sentirsi dimenticati. Ciascuno è fatto per stare in relazione e il sapere sostenere il tempo di solitudine è frutto di un percorso in cui ci si è sentiti riconosciuti e amati gratuitamente.

In questa domenica il profeta Isaia (49, 14-15) ha delle parole dense di significato. Con esse allinea l’aspettativa umana rimandandola all’esperienza con Dio, l’unico da cui si può sperimentare un riconoscimento così grande da potere sanare ogni delusione o ferita.

Sempre più mi rendo conto, durante il mio ascolto quotidiano, di come l’umanità abbisogni di questa scoperta per riconciliarsi con la propria storia perché, altrimenti, un’aspettativa mal riposta non fa altro che acuire ripetute delusioni e melanconie esistenziali. Risuona, a tal proposito, la parola di Isaia: «Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai ».

Non si tratta di una mera rassicurazione consolatoria, è ben altra l’affermazione del profeta. È l’espressione di tenerezza di un Dio che non si arrende ma si spende totalmente per la sua creatura riconosciuta come figlia e cioè non estranea a sé!

Si, l’esperienza cristiana può essere letta proprio secondo una prospettiva di familiarità in cui la relazione del Padre non è solo in termini di misericordia ma anche di tenerezza. Se la misericordia manifesta questo duplice movimento di accoglienza generativa e restituzione alla vita, cioè di cura e di riconsegna responsabile alla propria autonomia, la tenerezza dice ancora di più: racconta l’interesse che non viene mai meno malgrado le tante resistenze e fratture procurate dall’essere umano.

È alla luce di questa esperienza che è possibile comprendere il mirabile passo evangelico (Mt 6, 24-34). «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro». È carico di rimandi che non sono da leggersi con tono suggestivo, non è di poesia che si tratta, ma esprimono quale radicalità e forza può reggere il cammino dell’uomo malgrado le tempeste. 

«Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Ecco la priorità che cambia lo stato della questione, il Regno di Dio non può essere cercato con affanno ma con atteggiamento di cammino quotidiano come ad indicare che c’è una meta che si potrà raggiungere perseverando in una direzione e, di conseguenza, lasciando perdere tanti altri meandri.

L’affanno invece, è frutto dell’ansia per il domani, è uno dei mali del nostro tempo. Poco siamo abituati a stare nell’oggi, il momento attuale è inquieto perché si rimugina quello che di dovrà fare poi per chissà cosa ottenere. Viviamo una cultura performativa basata sulla prestazione da offrire a cominciare dalle apparenze, secondo precisi canoni estetici, e per finire ai comportamenti, stili di vita, cose da avere per essere qualcuno.

Continua, il testo, nel precisare: “e la sua giustizia”. Di quale giustizia si parla? L’umanità che non conosce Dio agisce secondo una logica di appropriazione-accumulo in quanto “deve farsi da sé”. È l’orizzonte che genera guerre tra popoli e lotte intestine tra vicini o parenti, vendette e continue prevaricazioni degli uni sugli altri.

È di altra giustizia che si tratta, quella che scaturisce da un rapporto di intimità con Dio, dal guardare e lasciarsi trovare dalla Sua presenza. Scoprire che la giustizia di Dio non è frutto di una soddisfazione sull’altro, cioè  dell’ammissione di colpa del peccatore! Questa, piuttosto è conseguenza di una commovente conoscenza: è Dio a pagare il prezzo accettando di essere rifiutato fino a vedere la crocifissione del Figlio. La propria sofferenza, cioè, non fa venire meno l’Amore, il profondo desiderio di bene, anzi, l’Amore cresce perché la tenerezza aumenta in chi sa che l’altro rischia di sciupare la bellezza della sua esistenza. 

In questi giorni di euforia carnevalesca forse è proprio il caso di fermarci e mettere giù le maschere, per tornare a vivere!

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