Quel che resta è amore

by Mauro 24. febbraio 2019 09:42

     Quando pensiamo all'amore solitamente facciamo riferimento alla felicità senza fine, diciamo che amore è promessa per sempre, affermazione di sé soddisfatto dall'altro. Si è convinti di amare perchè si è affascinati da qualcosa e cioè da particolari che hanno un'evocazione elettiva.

       Dunque, viene spontaneo chiedersi: e quando l'amato o l'amata delude cioè tradisce le proprie aspettative o, ancora, quando l'amore è provato dal tempo e viene meno l'idealizzazione ed il trasporto dei primi giorni, cosa rimane dell'amore?

       Noi siamo soliti innamorarci dell'aspetto di un giorno, di un particolare interessante che ci ha sedotti ma la persona è molto di più e l'esperienza dell'altro sta nella sua totalità e nella conoscenza nel tempo. La cultura segmentale ha falsato i rapporti umani ma la relazione negli anni è molto più dell'avventura di pochi giorni, e l'umano con tutta la fragilità che porta è ben altra cosa che la conoscenza di un aspetto in cui eccelle.  

Fino a quando amare equivarrà a rendere l'altro simile a sé, ossia uniformarlo alle proprie aspettative, non ci sarà esperienza reale dell'amore, soltanto solitudine.

Quanta aggressività all'interno delle coppie, delle famiglie o nei rapporti amicali a motivo di tale pretesa. Infatti quando l'altro non si piega ma desidera essere riconosciuto e, perciò, amato, ecco che esplode la più efferata violenza nel tentativo di sedare la ribellione. In tale logica chi più grida e si afferma  sull'altro vince e l'illusione d'amore va in frantumi.

La Parola che meditiamo in questa domenica tradisce questa mentalità. Dapprima è Davide a mostrarci un indedito criterio di restituzione fondato sull'amore. Il re Saul lo insegue per ucciderlo in quanto lo crede nemico da quando in molti vantano il coraggio di Davide. Lui rimane ad amarlo nonostante l'incomprensione e la minaccia di morte, ed ecco che nel buio della notte quando Saul è più vulnerabile Davide lo custodisce proteggendo la sua vita (1Sam 26).

È il preludio di quello che Gesù rivelerà in pienezza. Il Povero di Nazaret, infatti, sovvertirà la consuetudine dei rapporti umani, mostrando un modo differente di vivere e di costruire relazioni. Nel dialogo con i suoi discepoli fonda su di sé il comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15, 12), e nella pagina di Luca che oggi meditiamo dà un criterio basilare: “E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”(Lc 6, 31).

Gesù precisa che essere cristiani non significa fare il bene a coloro che ci fanno del bene, questo è comune ai peccatori ossia a quanti non seguono il Signore. Il cristianesimo, dunque, non è ricerca di un quieto vivere fondato sul “rispetto”: io sono rispettato e pertanto lo rispetto!

È ben altra la sfida cristiana e c'entra poco col fare “democristiano” dei nostri giorni in cui si vuole mediare dando una parte a tutti. Quella, piuttosto, è la logica della pax romana, ossia della tregua tra due guerre a motivo di un interesse reciproco ma Cristo è venuto a portare la vera Pace, quella che non si può mercanteggiare. 

Interessarsi dell'altro secondo la prospettiva di Gesù, ad esempio quando dice “amate i vostri nemici”, significa mantenere i discepoli nella disposizione al Bene. Seguire il Signore equivale a rimanere in cammino nella Sua via che è tracciata dal dono e dall'amore totale. Al contrario lasciarsi imbrigliare dal male altrui per rispondergli equivale a lasciare la strada per seguirne un'altra. Lo stesso vale per la preghiera e la benedizione, cioè per la Parola che viene custodita da chi segue il Signore, ben diverse sarebbero le parole dell'inimicizia o della vendetta e comporterebbero la perdita dell'ascolto di Lui, dell'accoglienza del Suo perdono.

Mostrare l'altra guancia dopo essere stati colpiti, dunque, indica il rimanere nell'atteggiamento di disponibilità verso l'altro senza mostrare il volto ferito ma il volto capace di relazione. Il testo greco lascia intendere che porgere l'altra guancia non è tanto un offrire una seconda possibilità ma una nuova possibilità ogni volta che questo fosse necessario considerato che il discepolo si mantiene nel cammino rivolto verso la meta.

Non si tratta di un atteggiamento passivo o remissivo. Quando Gesù sarà schiaffeggiato durante il processo, chiederà conto di quel gesto per fare emergere la verità e, sappiamo bene, il suo volto rimarrà orientato al Padre con fare benedicente e misericordioso verso il popolo che lo ha votato alla crocifissione. Alcuni a vederlo morire in questo modo comprenderanno e si apriranno alla logica dell'amore diventando suoi discepoli. È questa la forza trasformante dell'amore.

È la forza che farà convertire Salvatore Grigoli, il sicario di don Pino Puglisi, rimasto disorientato dal suo agire misericordioso sino alla fine.

Non è sufficiente “frequentare” la chiesa per conoscere il Signore, divenirne custodi è altra cosa. Quando durante la celebrazione eucaristica la Comunità è invitata a scambiarsi il segno della pace in realtà l'invito è a donarsi la pace e non un segno. È Cristo nostra pace ad essere il dono per l'altro altrimenti i rapporti rimarrebbero su di un piano formale cioè ciascuno rimarrebbe mero custode di se stesso.

La chiamata cristiana, piuttosto, è custodia del dono di Cristo Gesù e questo per rimanere tale va consumato nell'amore quotidiano.

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