L'Annunzio evangelico è sfida per un certo tipo di "cultura"

by Mauro 5. dicembre 2012 21:20

        Introduco questa riflessione con un aneddoto che ricavo da una nota immagine della cappella Sistina, quella del dito di Dio che si avvicina come a toccare il dito di Abramo.
        Per diversi studiosi questo è un falso del settecento e cioè un rimedio del restauratore ad una crepa che si era aperta sulla volta. In realtà l’opera originaria di Michelangelo rappresentava Adamo inerte, con il braccio abbassato, e il dito di Dio gli infondeva lo Spirito dandogli vita. Pare che nella storia dell’umanità si insinui costantemente questa tentazione, quella di darsi forza da soli, senza bisogno del dito di Dio. Una sottile sete di potere che man mano potrebbe rivelare una pretesa: non è Dio che mi da lo Spirito per avere vita!
        Della vita di don Pino Puglisi ricordo il suo sorriso semplice e accogliente, lo guardavo ammirato per la sua capacità di ascoltare e donare fosse solo un sorriso o un libro.
        Sparuti ricordi della mia adolescenza di allora, uno però rimane indelebile: la forza della Chiesa siciliana che avvertivo in quella  immensa spianata in Brancaccio ove ci radunammo attorno ad un altare allestito per l’occasione e, innanzi ad esso, il suo feretro. Era il primo pomeriggio del 17 settembre 1993.

        Figlio di un calzolaio, uomo umile e fermo nella sua vocazione, don Pino appariva come un sacerdote “ordinario” nel senso che faceva il suo mestiere così come andava fatto, senza compromessi. Ed in realtà di compromessi il Vangelo non ne accetta, in quanto proposta per l’uomo di ogni tempo, proposta che viene da Dio. 
       Ora nella sua semplicità don Pino aveva una mens scientifica, proponeva ai suoi collaboratori: “bisogna prima conoscere, poi capire ed infine agire”. E questa scienza gli veniva dal profondo rispetto che aveva per l’umano, per il volto di ogni persona anche di quella più distante. Riconoscere non equivale a soggiogarsi, anzi il suo compito di pastore è stato quello di coscientizzare l’uomo del suo tempo, mostrando la logica evangelica, la Parola che Dio rivolge ad ogni persona.
     Proprio per questo lo scontro con Cosa Nostra è stato inevitabile, simile sistema criminale voleva, e vuole, addurre la vicinanza tra il “credo” malavitoso e quello cristiano. Il ritualismo veniva scambiato per fede, come a dire che bastava, per dirsi cristiano, una fede fatta di forme: offerte in chiesa, partecipazione ai sacramenti,  organizzazione delle feste patronali e partecipazione alle processioni, magari fare anche parte di una confraternita. Il punto è che la religiosità mafiosa è profondamente antievangelica in quanto religione del potere!
            Durante la tavola rotonda tenuta a Palermo e appena terminata si è discusso sul primato che la mafia da al potere prima ancora che all’economia. È per questo che un boss come Provenzano preferiva stare in un tugurio, anziché espatriare e vivere in un contesto molto più lussuoso, per mantenere il controllo sul territorio, continuare a sperimentare il gusto avido del potere.

            Come sottolinea il recente testo di Bertolone “La sapienza di un sorriso” tale pretesa è al pari di una egolatria, la persona adora se stessa. Cita appunto una espressione di Leoluca Bagarella che riferendosi ad un suo aiutante soleva dire: “Io ho la possibilità domani mattina di decidere se una persona dovrà vedere o meno il sole. Tu lo capisci che io sono simile a Dio?”.

              Anche l’affiliazione al clan assumeva i connotati di un rito che recuperava elementi del battesimo cristiano capovolgendoli. Entrare a far parte della famiglia equivaleva a rinnegare il mondo di prima ed entrare in un nuovo mondo con obbedienza assoluta al boss di turno. Un’appartenenza che si insinua nella cultura del meridione, ove per ottenere qualcosa bisogna chiedere agli “amici”.  Il problema è proprio questo in quanto il familismo mafioso si oppone al “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” di Gesù che apriva la sua vita e quella di ogni cristiano alla solidarietà con l’umanità intera.
              È interessante notare come la mafia per la prima volta sia uscita allo scoperto manifestandosi in odium fidei, il martirio di padre Puglisi è in odio alla fede e ciò prova di come Cosa Nostra sia una organizzazione antiDio, in opposizione al cristianesimo. Il martirio di don Pino regala chiarezza alla Chiesa tutta e alla nostra società meridionale, sfatando ogni possibile commistione tra l’opera delle tenebre e l’opera di Dio.
             Quella di don Pino non era una sfida ma una proposta alternativa alla subcultura malavitosa, una proposta di vita vera, alla luce del sole. Il Vangelo non è che deve cogliere le sfide del nostro tempo, al contrario è esso stesso sfida per la cultura di oggi. O il Vangelo è provocazione, e viene annunziato come tale, oppure lo si è messo a tacere!

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