Dalle domande dipende la direzione della vita

by Mauro 28. giugno 2014 23:12

           Abbiamo bisogno di porre domande corrette alla nostra vita, questo attiva una ricerca, dentro e fuori noi stessi. Si pensi alla grande responsabilità che ha ogni educatore nel porre domande di senso. E' la differenza tra l'interrogazione di un insegnante che mira a trasmettere contenuti per avere risultati e un maestro che, chiedendo, favorisce l'attivazione di processi di ricerca e di passione per la vita. Una domanda attraversa la pagina del Vangelo che viene proposto alla Comunità in questa domenica. Gesù pone un interrogativo su quello che la gente dice su di lui. A Gesù certo non interessa sapere cosa si dice in giro, in realtà la prima domanda prepara la seconda: “Ma voi chi dite che io sia?”.
       È interessante questo interrogativo perché indica in cosa consiste la fede cristiana: è relazione personale con Dio. Nel cristianesimo l’esperienza di fede è frutto di un rapporto intimo che ciascuno può avere con Dio. Il fondamento è la relazione con l’unico Signore, l’osare della fede è credere che Dio vuole avere una relazione con ciascuno: la risposta è personale!
        È una proposta sconvolgente per l’uomo di quel tempo così come per il contemporaneo troppo abituato a credere di dovere “pagare” la propria importanza. Nella nostra società ciascuno gioca a darsi un valore o darlo agli altri in base al tornaconto di turno. È così che le donne imparano a sentirsi importanti a seconda della bellezza esteriore e gli uomini in base al prestigio sociale ed economico raggiunto. Un gioco che frequentemente diventa competizione, un gareggiare per mostrare che si è più importanti e meritevoli rispetto ad un altro. L’essere umano finisce col darsi un prezzo e, di conseguenza, col darlo a Dio: mi ama se io dimostro che…!
         La domanda posta ai discepoli  riallinea il rapporto Dio-uomo. Tu chi dici che io sia? Per coglierne il significato partiamo dal luogo ove viene posta: Cesarea di Filippo. Si tratta di una città ricostruita nel 2 a. C. dal tetrarca Filippo figlio di Erode il Grande. Lui la intitolò così la città in onore dell’imperatore Augusto.
         Con il nome assunto la Città vorrebbe indicare il potere e la grandiosità dell’imperatore, del Re del tempo. È un luogo lontano da Gerusalemme, vicino al mare, e sarà il posto più lontano dove arriverà Gesù. Da lì inizierà il viaggio verso Gerusalemme ove lui sarà proclamato Re, proprio sulla Croce.
       Pensare che questa lontananza spaziale rispetto al Tempio di Gerusalemme, il cuore della fede d’Israele, diventa il luogo privilegiato dell’incontro con Dio. È proprio da lì che Gesù vuole partire per attestare la sua signoria e, quindi, la sua missione. Come a dire che per riconoscere Dio, per coglierne la Presenza non è necessario trovarsi nel luogo più raccolto e vicino a Lui quale potrebbe essere una Chiesa o la conclusione delle preghiere quotidiane, Lui si manifesta a partire dall’abisso dell’uomo. I luoghi della disperazione, del buio più profondo, dello scoramento e della tristezza, quei luoghi in cui l’umano si pensa lontano da Dio. È proprio da lì che si può riconoscere Dio quale signore della propria vita.
        O si impara a riconoscerlo in quei luoghi o non sarà autentico riconoscerlo nei luoghi del quieto vivere, della felicità garantita dal benessere e dai privilegi ottenuti.
         Pietro non è un super-apostolo, è un uomo che porta tutta la sua fragilità ora riconosce la grandezza del Maestro e dopo un po’ lo rinnegherà nel buio della notte, quando Gesù è appena arrestato.
       È un incontro pieno e autentico, Gesù non cerca una perfezione formale, ricerca il desiderio dell’uomo, quel desiderio di profondità e verità che spesso l’umanità lascia sopito, perché dubita di se stessa, pensa che Dio sia troppo grande per essere raggiunto o accolto nella propria di vita.
     C’è un equivoco, riconoscere l’identità dell’altro non equivale a rivendicare potere su di lui. Pietro pretende di rimproverare Gesù, subito dopo averlo riconosciuto Messia, perché Lui parla della sua passione attraverso la quale mostrerà la sua signoria cioè il suo amore per l’umanità.
       L’onnipotenza di Dio si rivela attraverso la sua misericordia e questo Pietro non lo accetta, a principio non lo accetterà neanche Paolo e proprio per questo perseguiterà i cristiani perché raccontavano un altro volto di Dio.
      Il cristianesimo mostra un volto scomodo di Dio: accettare una proposta di perdono, di misericordia anche verso i propri nemici è scomodo, lo stesso vale per la solidarietà e la condivisione dei propri beni. L’uomo che orienta il proprio desiderio esistenziale sulla brama di potere cerca di spegnere ogni provocazione che viene da Vangelo.
       Pensare che Pietro sarà disposto a maneggiare la spada per affrontare una guarnigione di soldati per difendere il Maestro quando sta per essere arrestato, ma non sarà disposto a difenderlo senza la spada.   La questione è che la spada non è il linguaggio dell’amore ed è questo che Gesù comunica ai suoi persecutori e, prima ancora, ai suoi discepoli.
       Gesù è fermo con Pietro, “Vai dietro satana”, per essere discepolo bisogna stare dietro e non pretendere di avere già le risposte senza mettersi in ascolto. Questo è proprio dell’uomo superficiale, mosso dalle emozioni del momento.
         Pietro propone delle scorciatoie, “questo non ti accadrà mai”, è la tentazione propria di ogni essere umano: eludere la realtà della vita. Pensare che la verità non è andare dietro a Dio, questo potrebbe significare abbracciare la croce. Le alternative equivalgono a cambiare direzione, e questo porta ad altro. Pensare che Gesù raggiunge l'umanità proprio lì, a Cesarea di Filippo il luogo più distante, Dio raggiunge l'umanità lì dove si trova.
        La proposta antagonista di Pietro è avere una vita evitante, eviti la difficoltà del momento costruendo strade alternative. L’amore è un’esperienza di fiducia, e ci sono momenti in cui seguire Dio richiede un affidarsi pur non comprendendo appieno la direzione della propria vita.
         Il cristianesimo è ricerca e scoperta, significa mantenere vivo il gusto della meraviglia, lasciarsi sorprendere da Dio. Rimane eloquente l’affermazione di Giobbe (42,5) che a compimento della sua vita dirà: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”.

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