Ripartire dalla propria storia

by Mauro 17. marzo 2013 08:52

   La pagina evangelica proposta in questa Domenica, dal Vangelo di Giovanni 8, 1-11, sembra uno spartiacque tra la mentalità legalista dei farisei e quella dell’amore propria di Dio. È un interrogativo che attraversa fedi diverse così come culture e modi di affrontare la vita: dove sta il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra il giusto e l’ingiusto, tra libertà e schiavitù? Gesù riformula questo interrogativo ponendolo sotto un’altra prospettiva: il prima ed il dopo, la storia non come memoria ma come memoriale in cui scoprire l’amicizia di Dio.
       Il passo in considerazione è quello dell’adultera, una donna che ha preso un’altra strada rispetto alla sua storia coniugale, è andata a cercare altrove la soddisfazione della sua vita, la sua vita è rimasta ferita dalla ricerca di amore, tanto ferita che questa ricerca ora è diventata motivo di morte.
       Sì perché la mentalità legalistica, di tutti i tempi, abitua a fare della propria storia il luogo di morte, di ripiegamento, di visione fallimentare. Si perde di vista che c’è ancora un oggi ed un domani che per il cristiano rimangono DONO di Dio.
       Gesù sta insegnando, non ci viene detto cosa insegna piuttosto si racconta ciò che fa  ed è questo il grande insegnamento.  Scribi e farisei si preoccupano di insegnare “dicendo” ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per cui portano da Gesù la donna sorpresa in adulterio la pongono al centro e gli chiedono cosa fare. Loro chiedono per incastrarlo, di fatto hanno già la risposta, tutt’al più la loro disquisizione potrebbe essere sul tipo di morte, se strangolarla o lapidarla, ma di condanna definitiva si tratta!
       Un aspetto interessante è che mettono al centro il peccato e non la donna in quanto tale. Identificare la persona con il male compiuto significa misconoscerla, porre al di sopra dell’uomo norme, forme, cliché, dimenticando così ciò che è davvero importante.
        È la paradossale logica della società, dei gruppi, delle famiglie, che cercano capri espiatori su cui polarizzare la loro attenzione. Pensate allo scoop giornalistico che genera tanta audience, il sensazionalismo che attira la brama delle persone. È come se cercassimo di essere distratti dal mega per fuggire da noi stessi. Ad ogni modo, parlare degli sbagli altrui fa sentire tutti un po’ più buoni!
       Questa polarizzazione può portare alla logica del “branco” o, ancora, a rivendicare diritti a scapito degli altri, a dichiarare guerre in nome delle proprie ragioni. In questi casi il nemico comune genera una sorta di forza trasversale che pervade il gruppo e più l’altro viene ritenuto “sbagliato” più il gruppo si sente coeso. Pensiamo alla ideologia nazi-fascista che ha portato all’Olocausto, o ai nostri giorni a forme di fondamentalismo come in Egitto, in Siria o nello stesso Israele.
       Interessante notare che l’imputato non è solo la donna ma è anche Gesù, anzi lei è solo un pretesto per condannare lui. In quanto se avesse detto che è lecito ucciderla si sarebbe messo contro il tribunale romano che era l’unico organo che poteva condannare a morte, se avesse detto il contrario allora si sarebbe schierato contro la Legge di Mosè e quindi la fede di Israele e il popolo non lo avrebbe più riconosciuto.
        Gesù si china per terra e accenna a scrivere con il dito, chiaramente sul lastricato del tempio non scriverà nulla ma il gesto ha una sua eloquenza. Lui si china, Dio si è chinato e continua a chinarsi sull’umanità, il dito di Dio ha scritto le Tavole della Legge, quelle dieci Parole di Vita che mostrano il cuore di Dio. Loro, scribi e farisei, non guardano più il dito di Dio, l’autore della vita e quindi il suo intento, i suoi sentimenti, ma leggono ciò che è scritto osservandolo alla lettera dimenticando che la Scrittura è per l’uomo e non viceversa.
        “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Gesù risponde rimandando a ciascuno, il discernimento non lo si trova guardando fuori ma dentro se stessi. Il significato della Legge non può essere astratto ma commisurato alla vita e ciascuno può trovarne la misura se si guarda dentro, se ascolta chi è e cosa sta cercando veramente.
        Gli accusatori vanno via, rimane al centro Gesù con la donna, la loro relazione. Sembra trovare una certa assonanza con il racconto della creazione ove si dice che di fronte all’uomo è posta la donna, quale interlocutore, rispecchiamento perché “non è bene che l’uomo stia solo”. È di una nuova creazione che si sta parlando fondata sull’incontro con Gesù. Dirà Agostino leggendo questa scena che la misera si incontra con la misericordia. A differenza dal racconto delle origini ora non c’è la pretesa di doversi meritare la vita, come conquista da accaparrare.

         Qua la donna non ha un prezzo da dare per la sua vita e Gesù la incontra proprio in questa povertà, la perdona senza chiederle nulla in cambio con espressioni del tipo “prima devi pentirti, poi devi fare questo e quest’altro e poi avrai il mio perdono”. No, tutt’altra cosa “Va’ e d’ora in poi non peccare più”.
         C’è un prima e un dopo, una storia ferita, che è luogo di misericordia e non di condanna. È questa la chiave di volta del cristiano: non restare ripiegati su se stessi a motivo della propria fragilità ma riscoprire la propria storia come luogo visitato dalla misericordia di Dio e da lì ritrovare la forza per riprendere il cammino. La donna ha trovato in quell’incontro quello che aveva cercato precedentemente restando ferita, ora è davvero libera, capace di un amore nuovo che è già motivo del suo cammino.
          Il cristiano fa della propria storia non semplicemente il luogo della memoria, ma il memoriale che rende presente quanto Dio ha operato per uscire fuori dallo stato di morte.

 

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