Di quale Pace ci sentiamo custodi?

by Mauro 31. dicembre 2012 23:00

Cosa intendiamo con Pace? Questa parola nel mondo greco traduceva la pace quale assenza di guerra, cioè il tempo di tregua tra due guerre. Una questione di potere quindi, il luogo di sconfitta di qualcuno e di prevaricazione di qualcun altro!
       Quella per la quale oggi il cristianesimo prega e si impegna fattivamente è una pace ben diversa. Nell’ebraismo il termine shalom deriva dalla radice shin-lamed-mem (ש.ל.ם) e letteralmente significa: sicurezza, salute e prosperità, ben-essere.
       “La pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato”. Così commentava qualche anno fa un umile profeta quale fu don Tonino Bello.
          Il primo giorno dell’anno, in cui si celebra la Giornata Mondiale per la Pace insieme alla Solennità della Madre di Dio per i cristiani, siamo tutti chiamati a sostare per comprendere il verso che stiamo dando al nostro cammino e come stiamo contribuendo a creare “futuro” per quanti ci succederanno.
          Il primo giorno dell’anno è denso di significato, contrariamente a quanto ci mostra il consueto 'sballo' notturno che pare più un modo per uscire dalla realtà e anestetizzare, in una notte, il carico dei propri giorni. 

          Partiamo dal senso liturgico che proprio oggi, primo giorno dell’anno, ci viene presentato. Il bambino fasciato e deposto nella mangiatoia descritto nella pagina del Vangelo di Luca (2, 16-21) è il segno preannunciato ai pastori. Dio si rivela lì, in quel segno così eloquente: Maria partorisce e consegna in quella mangiatoia il bambino Gesù perché per loro non c’era posto. I pastori che vanno a verificare il segno ecco che rimangono meravigliati.
         Sono uomini che si sono fidati di una parola non fondata sul potere, su ciò che è eclatante, bensì fondata sulla debolezza. Non sono stati persuasi da una promessa di chissà quale segno ma proprio dal racconto di un segno così umile ove si sarebbe rivelato il Salvatore. In fondo così è la stessa Parola di Dio, essa come un seme, se accolta, può crescere e pian piano senza fare violenza divenire straordinariamente grande nella vita di una persona, tanto da determinarne la direzione. More...

L'Ascolto scaturisce dalla ferialità

by Mauro 29. dicembre 2012 14:08

     E' un Dio feriale quello che ci viene presentato in questa Domenica, la prima dopo Natale, in cui la Comunità ecclesiale celebra la festa della Sacra Famiglia.

      È significativo che dopo il mistero dell’incarnazione la liturgia ponga innanzi questa festa come a mostrare quanto concreta e quotidiana è stata la vicenda di Cristo, giusto per sfatare ogni possibile spiritualismo che vorrebbe fare della fede cristiana una esperienza sganciata dalla storia umana.
      Il paradosso cristiano è proprio l’opposto: Dio si fa uomo per farci stare appieno nella nostra umanità e cercare in questa esperienza la dimensione della profondità, la sua presenza.
      Essere veramente uomini e donne nel nostro tempo è la prima connotazione che desumo da questa festa. Ci viene presentata una famiglia, quella di Nazareth, in una scena di ordinaria interazione:More...

Lo stupore di Francesco d'Assisi (4)

by Mauro 27. dicembre 2012 12:00

      Nel mentre che scorrono questi giorni di festa torniamo al nostro approfondimento intorno all'icone di San Damiano, il Crocifisso tanto caro a Francesco d'Assisi. La veste che il Crocifisso porta, così come raffigurata nella icone, è un grembiule.

      È una nota non di poco conto intendere il senso di questa veste. Essa non è da ricondursi, come alcuni pensano, all’efod sacerdotale descritto nell’antico testamento. I sacerdoti d’Israele infatti portavano una copertura delle parti più intime per favorire i movimenti quando offrivano gli olocausti. L’offerta dell’olocausto infatti comportava un’attività propria del macellaio, cioè immobilizzare un animale anche di grossa stazza, e per questo motivo i sacerdoti ad intervenire contemporaneamente erano molti, per poi ucciderlo cruentemente. Comprendiamo come non si trattasse di un rito “grazioso e leggiadro”  così come una certa letteratura vorrebbe far credere. Questo passaggio raffigurativo è importante perché il Crocifisso non indossa un efod ma un grembiule, proprio perché Cristo esercita un nuovo tipo di sacerdozio che si distacca da quello veterotestamentario.
     Ma di quale novità stiamo parlando? Per comprendere ci viene incontro il testo della lavanda dei piedi descritto al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni. Gesù in quella occasione prende un linteum, letteralmente “grembiule”, e si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. È straordinario che l’iconografo abbia rappresentato Cristo sulla Croce alla maniera del servo, la Croce quale luogo del servizio ove Dio mostra il suo desiderio di prendersi cura dell’umanità intera. More...

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Auguri di Natale

by Mauro 22. dicembre 2012 23:00

       Stamane durante la recita scolastica mio nipote Simone ha declamato i versi di una poesia da lui scritta e dal titolo “Non piangere”.
      Dai suoi dieci anni di età ha colto, per esperienza diretta, l’intensità della vita che ineluttabilmente è attraversata dal pianto, dalla tristezza così come dalla gioia e dalla pace propria dell’esserci.
      Quei versi,  espressione del suo amore per le persone care, mi hanno rimandato alla essenzialità della vita che è Dono per tutti, dono che si esperisce in modo particolare nell’amore e che rimane prezioso in ogni suo attimo.
      Mi tornano in mente, a proposito, le parole di un ritornello della canzone di Battiato “Quand’ero giovane” che recita così: “Vivere è un dono che ci ha dato il cielo”. Si, la vita rimane attraverso (e non “nonostante”) tutto, un’occasione unica data a ciascuno di noi ed elargita in totale gratuità.
      La ricorrenza del Natale ha proprio questa connotazione, è una festa religiosa che da colore alla vita proprio per il significato che porta, mai traducibile in quegli scevri sms che come delle filastrocche vorrebbero imbrigliare il Mistero in una sorta di buonismo di circostanza; e ancor meno riducibile all’atmosfera folcloristica che pare offuscarne il significato profondo proprio perché piegata alla logica dei consumi e delle apparenze.
          Ben altra cosa è l’esperienza del Natale e per porgerci sensatamente gli auguri sarebbe necessario condividerne appieno il senso e l’origine.
         È l’augurio di stupore, quello che colse Maria dopo l’annunzio dell’angelo. Lo stupore di chi con tutta verità si riconosce persona comune e non straordinaria e, proprio per questo, straordinariamente guardata da Dio. Lui le rivolge la sua parola, le chiede di potere condividere un progetto di vita e d’amore. Con ciò non le assicura una vita facile, un patrimonio in banca o una villa con piscina, una vita calcolata insomma. È lo stupore di chi si apre alla vita non per appropriarsene ma per conoscerla, per divenirne parte e creare storia.More...

Fede è accettare di perdere l'equilibrio precedente

by Mauro 20. dicembre 2012 14:00

      Quello che la Comunità cristiana medita nella quarta domenica di Avvento, è il Vangelo dell’Incontro. Così intitolerei la mirabile pagina del primo capitolo del Vangelo secondo Luca in cui viene descritta la visita di Maria ad Elisabetta.
             Mi rendo conto di come ogni incontro è dato dal desiderio di visitare l’altro e cioè di non rimanere chiusi in se stessi. Comprendiamo come questo diventi un’esperienza necessaria per Maria, un modo per esprimere il dono appena ricevuto. È vero il concepimento non basta, così come non basta alla fede l’avere fatto esperienza della misericordia di Dio. La fede per essere nutrita, per rimanere viva ha bisogno di una esperienza continuata e il terreno fertile per mantenerla tale è proprio il cuore dell’uomo.
            Ogni persona può scegliere di chiudere il proprio cuore e di appropriarsi del dono ricevuto, può decidere di pensare solo a se stessa. Potremmo dire che si tratta di una possibilità fisiologica, come a dire: da solo mi prendo cura di me e salvo la mia vita. Comprendo che molte esperienze di chiusura del cuore siano conseguenti a grandi ferite, come se si perdesse la fiducia nell’uomo. Proprio per questo la relazione con Dio permette di mantenere viva la relazione con il prossimo, l’apertura all’altro nonostante tutto.
             Maria si mette in cammino, è prima tra i credenti perché intuisce fin da subito che la fede in Dio ha come immediata conseguenza il muoversi per nuove vie. È necessario un passaggio successivo che probabilmente dura tutta quanta la vita: il farsi avanti per raggiungere l’altro.
             Comprendiamo in quest’orizzonte l’identità missionaria propria della Chiesa. È inconcepibile una Comunità che si chiude credendosi bastante a se stessa, ciò ne provocherebbe la morte per estinzione. Maria nel muoversi verso Elisabetta, nel lasciare il luogo di prima ove è stata toccata dalla Parola di Dio mostra come l’esperienza cristiana è esperienza storica, descrivibile solo a partire dalla propria storia e non, semplicemente, contemplando la storia altrui.

           Molte meditazioni, lectio spirituali, spesso assumono un carattere descrittivo del Mistero che in realtà permane fuori di noi, non torna ad essere esperienza viva attraverso di noi. Maria permette l’incarnazione perché incarna la Parola, permette a quella Parola di dire qualcosa alla sua vita ed è per questo che si smuove, lascia la sicurezza di prima. Interessante notare a proposito che si tratti di un muoversi per servire, è intuibile visto che l’evangelista annota che Elisabetta era al sesto mese di gravidanza. Un tempo delicato per una donna gravida, un tempo in cui ha bisogno che altri si prendano cura di lei. More...

Dio può parlare se ci riconosciamo precari della vita

by Mauro 8. dicembre 2012 23:00

            In questa seconda domenica di Avvento meditiamo la necessità del cammino nella vita, ciascuno si sperimenta precario e bisognoso di risposte nella sua esistenza e la vicenda di Giovanni Battista viene a mostrarlo nella sua interezza.
           Partiamo dalla cornice del  Vangelo (Lc 3, 1-6) proposto oggi, esso riporta un elenco di nomi. Viene mostrato un indice storico ben preciso, come a dire che la vita e l’incontro con Dio è cosa molto concreta e non idilliaca (nel senso di fuga dalla realtà). La storia di un uomo, Giovanni, che appartiene ad un popolo, la storia di un popolo che è dominato da un altro popolo, i romani. Ed è di loro, dei potenti che inizialmente si parla. Il colpo di scena sta nel fatto che proprio quando tanti danno mostra del loro potere, ruoli e gerarchie che indicano il potere umano, Dio da nome a un bimbo che apparentemente non ha “titoli” per stare nella storia. Dio sceglie un uomo che non rappresenta questi “grandi” della terra, è un “piccolo”, si rivolge a lui e parla attraverso di lui.
       Dio disorienta perché non segue i “programmi ben ordinati”, e questo non per complicare le cose ma per restituire dignità e autenticità alla storia, che noi umani corriamo spesso il rischio di edulcorare, imprigionare. More...

Lo stupore di Francesco d'Assisi (3)

by Mauro 7. dicembre 2012 18:00

        Continuiamo la nostra meditazione contemplando il Crocifisso di San Damiano davanti al quale Francesco pregava: “Altissimo glorioso Dio, / illumina le tenebre de lo core mio / e damme fede retta, speranza certa e caritade perfetta, / senno e cognoscemento, Signore/ che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen” (FF 276)
        Infatti proprio innanzi a questo Crocifisso nel 1206 aveva percepito l’invito a “riparare la sua casa”, e successivamente proprio in quel luogo fu accolta Chiara con le sue sorelle, luogo ove rimasero fino al 1257.  Dopo la morte di Chiara le clarisse si trasferirono all’interno delle mura di Assisi e il Crocifisso venne  traslato nella basilica di santa Chiara. A San Damiano, invece, nel diciassettesimo secolo è stato posto un crocifisso di fra Innocenzo da Palermo, allievo del famoso fra Umile da Petralia. Un crocifisso scultoreo che esprime la passione di Cristo.
        Torniamo precisare che nel leggere una icone è importante comprendere l’intenzione dell’artista, il modello teologico a cui si è ispirato altrimenti si potrebbe incorrere in fraintesi. Nel caso del Crocifisso, ad esempio, la lettura non è possibile semplicemente a partire dal costatare gli occhi chiusi o aperti del Cristo, come se questo bastasse a stabilire che si tratta della raffigurazione (e quindi intento teologico soggiacente) del Cristo morto o di quello glorioso. In realtà entrambe le espressioni potrebbero dare luogo a visioni opposte, ad esempio il Crocifisso con gli occhi aperti potrebbe raffigurare il Cristo morente e non il Risorto.
        Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è che erroneamente si pensa che il Cristo glorioso appartenga alla tradizione orientale e quello morente alla tradizione occidentale che tende ad esaltarne l’umanità. In realtà il Crocifisso immerso nel dolore viene raffigurato dapprima in Oriente e solo dopo in Occidente.
        Dopo il quinto secolo oltre alle Croci l’arte sacra ha iniziato a raffigurare anche il Crocifisso, di questa raffigurazione appaiono due modelli ispirati a Venanzio Fortunato (nato nel 530 compositore di diversi inni alla Croce come il Vexilla regis). Il primo modello è quello che trova le braccia del Cristo distese come a Bilancia e si rifà a Gv 12,31 “Questa è l’ora in cui si pone il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo viene espulso”. Cristo è al centro quale ago della Bilancia e il perno, il punto centrale dell’ago così come è raffigurato, è l’occhio sinistro del Cristo. Lui vede e giudica la storia. Il secondo modello invece si ispira all’albero della vita e Cristo è raffigurato quale frutto della storia e non quale giudice.
         Il Crocifisso di San Damiano si rifà al primo modello,More...

L'Annunzio evangelico è sfida per un certo tipo di "cultura"

by Mauro 5. dicembre 2012 21:20

        Introduco questa riflessione con un aneddoto che ricavo da una nota immagine della cappella Sistina, quella del dito di Dio che si avvicina come a toccare il dito di Abramo.
        Per diversi studiosi questo è un falso del settecento e cioè un rimedio del restauratore ad una crepa che si era aperta sulla volta. In realtà l’opera originaria di Michelangelo rappresentava Adamo inerte, con il braccio abbassato, e il dito di Dio gli infondeva lo Spirito dandogli vita. Pare che nella storia dell’umanità si insinui costantemente questa tentazione, quella di darsi forza da soli, senza bisogno del dito di Dio. Una sottile sete di potere che man mano potrebbe rivelare una pretesa: non è Dio che mi da lo Spirito per avere vita!
        Della vita di don Pino Puglisi ricordo il suo sorriso semplice e accogliente, lo guardavo ammirato per la sua capacità di ascoltare e donare fosse solo un sorriso o un libro.
        Sparuti ricordi della mia adolescenza di allora, uno però rimane indelebile: la forza della Chiesa siciliana che avvertivo in quella  immensa spianata in Brancaccio ove ci radunammo attorno ad un altare allestito per l’occasione e, innanzi ad esso, il suo feretro. Era il primo pomeriggio del 17 settembre 1993.

        Figlio di un calzolaio, uomo umile e fermo nella sua vocazione, don Pino appariva come un sacerdote “ordinario” nel senso che faceva il suo mestiere così come andava fatto, senza compromessi. Ed in realtà di compromessi il Vangelo non ne accetta, in quanto proposta per l’uomo di ogni tempo, proposta che viene da Dio. 
       Ora nella sua semplicità don Pino aveva una mens scientifica, proponeva ai suoi collaboratori: “bisogna prima conoscere, poi capire ed infine agire”. E questa scienza gli veniva dal profondo rispetto che aveva per l’umano, per il volto di ogni persona anche di quella più distante. Riconoscere non equivale a soggiogarsi, anzi il suo compito di pastore è stato quello di coscientizzare l’uomo del suo tempo, mostrando la logica evangelica, la Parola che Dio rivolge ad ogni persona.
     Proprio per questo lo scontro con Cosa Nostra è stato inevitabile, simile sistema criminale voleva, e vuole, addurre la vicinanza tra il “credo” malavitoso e quello cristiano. Il ritualismo veniva scambiato per fede, come a dire che bastava, per dirsi cristiano, una fede fatta di forme: offerte in chiesa, partecipazione ai sacramenti,  organizzazione delle feste patronali e partecipazione alle processioni, magari fare anche parte di una confraternita. Il punto è che la religiosità mafiosa è profondamente antievangelica in quanto religione del potere!More...

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Il Tempo impaziente

by Mauro 3. dicembre 2012 21:34

        "Celebrare l'Avvento, significa saper attendere, e l'attendere è un'arte che, il nostro tempo impaziente, ha dimenticato.

        Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse.

        Chi non conosce l'aspra beatitudine dell'attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell'adempimento".

        Questa citazione di Dietrich Bonhoeffer, dal Sermone sulla I domenica di Avvento, del 2 dicembre 1928, ci mostra il senso liturgico dell'Avvento nella esperienza della Chiesa.

        È un rimando a vivere il tempo presente, per alcuni Dio appartiene al passato e per altri appartiene al futuro, per i cristiani Dio appartiene al presente. In realtà il passato è un ricordo nel presente, il futuro è un’intuizione del presente. Non è pensabile che l’eternità viene dopo il tempo: o siamo già nell’eternità o questa non è pensabile!   Ognuno dispone dell’unicità del momento che vive, ogni istante della vita è occasione ed è per questo che siamo chiamati alla scelta nel presente.
        Se non siamo consapevoli della nostra unicità, perdiamo l’occasione di quello che solo noi possiamo realizzare, la nostra parte spetta solo a noi e non è sostituibile da altri.
         Il mondo ebraico ebbe a nominare Dio per la prima volta attraverso il tetragramma che esprime un significato così traducibile “Io sono qui colui che sono qui”. Ancora oggi nel mondo orientale l’identità di Dio è espressa indicando ciò che è tangibile e da cui la realtà non può separarsi, Dio è così riconosciuto in ogni cosa buona. Le categorie filosofiche usate in occidente ci hanno fatto dire dell’identità di Dio come di chi è “totalmente altro, inafferrabile, irraggiungibile ”, in questo modo si è percepita la distanza e questa ne ha mostrato la grandezza.

         In realtà e la teologia post-conciliare lo ha mostrato, è impensabile parlare del Dio cristiano come il “totalmente altro”, piuttosto è necessario coglierlo a partire dall’evento dell’Incarnazione in cui Lui si è reso “tremendamente vicino”. More...

Il nostro tempo: l'Attesa

by Mauro 1. dicembre 2012 18:00

    Questa domenica siamo chiamati ad una riflessione sul senso del nostro tempo, quel tempo che scandisce i nostri  giorni e che ci permette di veicolare il presente quale frutto del passato e apertura verso il futuro.
      L’inizio del tempo di Avvento chiede alla Comunità cristiana di autocomprendersi come popolo in cammino rivolto verso un Incontro pieno, un evento che procura pienezza al proprio esistere. Noi cristiani ci sperimentiamo come “mancanti” di un incontro di cui abbiamo, però, già il gusto e l’intuizione. È l’ingresso nel Mistero di Dio appunto, un’esperienza che già appartiene alla nostra vita anche se non del tutto comprensibilmente chiara. Mistero significa stare, porsi innanzi per contemplare e non per comprendere ma per entrare dentro. Chi rimane spettatore del Mistero rimane chiuso nelle sue difese e paure, cerca cioè di di essere il centro della propria ed altrui vita, costui di fatto non ne coglie il gusto, non ne intuisce il senso.
       Rimanere aperti alla seconda venuta di Dio significa leggere la propria storia a partire dal culmine e, attraverso la propria storia, anelare al culmine: l’Incontro con Lui. Significa comprendere i propri giorni attraverso due indici descrittivi l’attesa e la relazione.
       Ogni giorno può essere colto come scontato, una routine che non ha più niente di nuovo da scoprire. Viene a mancare cioè il senso dell’attesa, quell’apertura che ci permette di cogliere con rinnovato entusiasmo ogni giornata della nostra vita perché abitata dalla Presenza di Dio amche se tutto non appare chiaro. Non potremmo seguire Cristo se non avessimo questa speranza, la sequela sarebbe mero delirio se non ci fosse la fiducia nella meta ed al contempo nell'essere accompagnati verso di essa.
          Avvento, ancora, è tempo di attesa dell’altro, la relazione viene a dare connotazione al tempo che viviamo. È il tempo della promessa, il Dio che è già venuto nella nostra vita tornerà in pienezza e, nel mentre, paradossalmente ci accompagna in questo cammino. La vita di noi uomini è caratterizzata dall’attesa, il senso del tempo e del nostro esserci, così come dell’esserci dell’altro, viene sperimentato dapprima attraverso l’attesa. Essa è anticipo di ciò che poi si potrà vivere in pienezza, tempo in cui si vive la nostalgia dell’altro,  ricordo che è già presenza. Eppure è evidente per tutti come l’attesa sia al contempo dolore, tristezza a motivo della mancanza. Il cammino cristiano non è esente da sofferenza, così come l'esistenza di ogni essere umano. Riempire di senso l'attesa significa trovare un modo di stare nella vita. La Scrittura provoca l'essere umano rimandandogli che non serve sapere quando sarà il tempo dell'Incontro, la fine dei propri giorni. Questa richiesta sarebbe l'ennesimo tentativo di controllare i propri giorni per non convertirsi, come di quell'uomo che attende qualche momento prima di morire per rivolgersi a Dio e a Lui chiedere accoglienza. Ogni giorno è l'"ORA" dell'Incontro, adesso posso vivere il Bene e non dopo. Allo stesso modo o è "natale" ogni giorno di questo mese o non potremo celebrarlo il 25 come se fosse un evento isolato. Questa è un'esperienza difficile per tutti, sappiamo bene quanto sia faticoso accogliere ogni giorno quale dono di Dio e occasione per vivere l'Incontro, ci sono giorni di sofferenza in cui facciamo fatica a vedere.

      Il Vangelo di oggi (Lc 21, 25ss.) costituisce il culmine del discorso sul fine del mondo, il perché si vive. More...

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