Zero per Settecentomila uguale Zero!

by Mauro 15. marzo 2017 10:29

     L’efferato omicidio di Marcello Cimino consumatosi la scorsa settimana davanti alla mensa San Francesco, a Palermo,  è il sintomo di un malessere profondo che attanaglia la nostra società.

                  Il gesto disperato ed incongruente di un povero, Giuseppe, che ha perso la bussola della sua esistenza, non può essere riepilogato in un mero raptus di follia, piuttosto è il frutto di vite ripetutamente spezzate, narrazioni interrotte, esistenze misconosciute e ridotte a vivere ai margini delle nostre Città. È il prodotto della società dei consumi che riconosce alcun valore a chi non ha disponibilità economiche ed esclude sempre più il povero fino a considerarlo “uno zero”!

È quel che ha ribadito il Vescovo Lorefice durante la veglia commemorativa in cui ha  precisato che “il prodotto di zero (un senzatetto) per settecentomila (gli abitanti di Palermo) fa zero”. Una provocazione, quella di don Corrado, che fa riflettere su come ciascuno sia privato di dignità quando un solo membro della Comunità è rinnegato.

Oggi ci soffermiamo scandalizzati su quelli che sono gli epiloghi (appena qualche settimana fa la coppia ferita con arma da fuoco a Ballarò) e le “conseguenze” della proposta sociale ma, con una certa miopia, non riusciamo a riflettere sui processi e su quel che, man mano, genera tali effetti distruttivi.

Constatiamo ogni giorno di come i nostri territori attraversino quote di sofferenza indicibili e quanto il grido delle famiglie distrutte, a motivo della perdita di lavoro, sia assordante. Proprio stamane un papà mi confidava: “quella che porto al dito è una fede di rame, quella d’oro l’ho venduta per far mangiare i miei figli un’altra settimana, tanto il Signore sa che sono sposato”.

Racconti che lasciano senza parole ma che non possono trovarci spettatori rassegnati. È necessario fermarsi per ripensare la progettazione culturale e valoriale delle nostre Città. Dalla visione di uomo che coltiviamo, infatti, dipenderà la cura e l’interesse per la qualità della sua vita.

Nel mentre che molti stanno arrivando all’essenziale e tanti altri sono già da tempo a livelli limite di sopravvivenza, la proposta commerciale, avallata dalla politica, viene a presentare modelli e stereotipi di vita basati sull’apparenza, sul potere dell’avere, sulla libertà di dominare ed usare l’altro a proprio piacimento.

Già vent’anni fa Zygmunt Bauman, in una profetica analisi del nostro tempo, coglieva come la partecipazione alla vita sociale stava per essere sempre più legata all’essere consumatori e, di conseguenza, le identità venivano plasmate e formate, a seconda della merce sponsorizzata.

Lo stesso Erving Gooffman con la sua lettura della interazione non focalizzata, osservava come i comportamenti sociali si stessero organizzando con quella che chiamava “disattenzione civile”, un modo per non invadere e rispettare l’altro trattandolo formalmente come se non ci fosse. Il tipico comportamento da autobus o in ascensore, attraverso uno stile di evitamento rintracciabile, oggi, nella continua immersione e disconnessione dalla realtà circostante attraverso lo smartphone.

Due semplici letture che ci fanno intuire quanto il vivere sociale si stia organizzando a prescindere dall’incontro con l’altro delegando il nutrimento alle merci da possedere o alla prestazione da dimostrare.

Il riconoscimento di sé viene consegnato, così facendo, all’opinione pubblica e all’immagine, all’oggetto e all’appagamento possibile. Il cittadino non trova più identità nel ruolo sociale e la precarietà di questo, insieme alla spinta verso sempre nuovi bisogni, viene a provocargli un mancato appagamento e un certo senso di frustrazione conseguente.

Il quotidiano legato all’occasione del momento viene, così, ad illudere il cittadino e l’essere umano è ridotto alla superficie, e reso incapace di ascolto e di desiderio. Indebolito  nella sfera volitiva e cioè nella capacità di scegliere e di opporsi alle pressioni mediatiche, infine, l’individuo viene espropriato della propria intimità. Il “grande occhio” capace di predire la possibilità di successo e di libertà dell’individuo, ha spezzato il confine tra intimità e pubblicità, e privato l’individuo di regole elementari consegnandolo alla cultura dell’esteriorità, sempre più priva di parole e protesa all’agito compulsivo. Basta fotografare la guida automobilistica e quel che accade per una precedenza non rispettata, per rendersene conto.   

Nel mentre che questo scontro di civiltà permane, noi partiamo da noi stessi e proprio oggi, in quel di Danisinni, continuiamo il nostro cammino di mediazione comunitaria, continuando a credere che un mondo diverso è possibile.

 

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