Un'altra umanità

by Mauro 28. July 2019 09:45

          Qualcuno vorrebbe farci credere che il nostro è un tempo senza radici, un'epoca in cui il legame e la continuità  siano qualcosa di desueto e contrapposto alla vera libertà.

          Qualcuno vorrebbe convincerci che per la nostra felicità tutto debba essere in continua novità, fluttuante e senza stabilità.

         Qualcuno, ancora, pretende che l'interesse per l'altro debba essere segnato da criteri di convenienza e quando la persona diventa “inutile”, allora, può essere equiparata ad una cosa da gettare dopo che la si è usata.

         Piuttosto conosco un'altra umanità capace di resistere agli abbagli delle apparenze e che continua a lottare per custodire briciole di umanità in questo mondo che sente troppo anonimo e ripiegato su se stesso. È la gente che nutre il dubbio dell'illusorietà di parole dettate dal successo e dalla dimostrazione di potere.

Meraviglioso dubbio quello di chi, sebbene minacciato e schernito, continua a nutrire valori di giustizia e di solidarietà, di gratuità ed accoglienza spendendosi quotidianamente fino a pagare in prima persona pur di rimanere alla ricerca dell'altro.

La provocazione è quotidiana, l'uscire dal nascondimento per rivelare la verità è scelta ordinaria in cui è richiesta non l'appariscenza di un giorno ma la perseveranza di sempre. Il cristiano sa che per discernere e mantenere tale direzione è necessario sbilanciarsi ed accogliere la Parola che è fuori di sé, l'unica capace di fare risuonare in profondità l'animo umano perchè di questa grammatica ciascuno è tessuto.

Questa domenica la Comunità si ferma a meditare attorno al tema della preghiera e cioè quella relazione amicale che ha come premessa il riconoscersi figli di fronte al Padre. Nel tempo in cui ogni paternità è stata sradicata pare non esserci più spazio per la preghiera. Il processo di “emancipazione culturale” ha confuso l'adultità con la fine della figliolanza, dimenticando che ciascuno può davvero vivere da adulto in questo mondo quando sa riscoprire un nuovo rapporto con il padre e la madre senza, per questo, doverli demolire per esserci.

Direi che assistiamo ad un “tempo reattivo” che, privo di radici, cerca di trovare appoggi in mere consolazioni. Basti pensare alla grande diffusione di sempre nuove forme di dipendenza.

Nella pagina della Genesi (18, 20-32) troviamo Abramo che si interessa della sorte degli abitanti di Sodoma e Gomorra intercedendo per loro. Lui si riconosce amico di Dio e, pertanto, fa di questa relazione l'occasione per presentare chi vive nel buio macchiandosi di gravi ingiustizie. Gli abitanti di quelle città avevano ferito la dignità del prossimo fino a considerarlo un oggetto da usare a proprio piacimento. In particolare viene sottolineata la violazione dell'ospitalità e dell'accoglienza dello straniero, la pretesa che gli abitanti di Sodoma hanno di fronte a Lot. 

Abramo che poco prima, alle querce di Mamre, aveva accolto gli stranieri ospitandoli nella sua tenda, ora cerca di mediare senza arrogarsi il ruolo di giudice o di accusatore, non cerca pretesti per farsi grande di fronte ai fratelli ma cerca di custodirli di fronte al Padre. È significativa la sua ricerca di pochi “giusti” all'interno del popolo, esprime la fiducia che Dio ha nei confronti dell'umanità, la preghiera di Abramo è in sintonia con il desiderio del Padre perchè un solo “giusto”, ossia un uomo che si riconosce figlio, dà al Cielo la possibilità di rivelarsi in terra.  

Nella pagina del Vangelo (Lc 11, 1-13) anche la preghiera del “Padre nostro” che viene affidata ai discepoli è intrisa di comunione tra il Cielo e la terra. L'invito a pregare è invito a rimanere in relazione e a permettere a Dio di mantenere lo sguardo rivolto a tutti gli uomini, come un Padre fa verso i suoi figli.

L'agire di Dio, cioè, è reso possibile dalla consapevolezza che ciascuno ha nel riconoscersi figlio del Padre. È l'atteggiamento del bambino che si affida al papà, così come traduce il termine ebraico “Abba”.Senza questo abbandono fiducioso non può esserci preghiera, piuttosto l'uomo continuerebbe a impegnarsi in un continuo sforzo fatto di pratiche religiose per arrivare al Cielo.

La preghiera, dunque, è atto di fiducia e di ammissione del bisogno di un Altro per affrontare le questioni che si pongono nel quotidiano. Per approfondire, Gesù racconta la parabola dell'amico insistente che chiede tre pani per accogliere l'ospite inatteso giunto nel cuore della notte. Il “pane quotidiano” è il pane della condivisione, quello che permette di mantere la propria vita ospitale e che non fa nutrire di se stessi e, di conseguenza, pone in rapporto paritario di fronte al prossimo. Quando le relazioni umane mancano di questa consapevolezza il rischio è che ciascuno possa arrogarsi il ruolo di nutrimento per l'altro o, ancora, pretendere di nutrirsi svuotando le persone che attraversano la propria vita.

Anche il “santificare il nome di Dio” o il “compiere la Sua volontà” senza premessa filiale costituirebbe un partire dalle opere buone da fare o, ancora, da un rinnegare se stessi spegnendo la propria esistenza. Questo renderebbe molto vulnerabili e vedrebbe la fede cristiana trasformarsi in una pratica religiosa fatta di costrizioni frustranti e senza frutto.

La vita dello Spirito piuttosto è feconda perchè ricca di gratitudine e di amore, è quella che fa del dono la naturale espressione del quotidiano e rende la preghiera relazione spontanea con il Cielo e la terra. Riporto a tal proposito le parole di Carlo Giarratano, un pescatore della nostra terra di Sicilia, un “giusto” che in queste ore ci ricorda come vivere il quotidiano: “Non è la prima volta che ci accade un fatto del genere, era successo già il 6 novembre. E le persone che salvammo furono 149. Quella volta, Malta intervenne. Stavolta no... Noi viviamo di mare, non viviamo di pubblicità... La   scelta di salvare quegli uomini è l’istinto di ogni marinaio: dare soccorso a chi ha bisogno, salvare la gente in mare... Quando i migranti sono stati portati in salvo sulla motovedetta italiana, ci hanno salutato, tutti, mettendo la mano sul cuore”.

La sera del 26 luglio 50 migranti sono stati soccorsi e salvati da Carlo e il suo equipaggio di pescatori. Il giorno prima, si è scoperto, circa 150 migranti hanno perso la vita dopo un naufragio al largo della Libia. Tornano in mente le parole di Abramo: “Forse vi sono alcuni giusti in quella città...”.

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