Una vita senza meta è un cammino senza desiderio

by Mauro 2. novembre 2014 00:01

    La formazione di uno Psicoterapeuta non può prescindere dal rapporto che ha con l'Evento morte e con il pensiero di sapersi mortale. La provvisorietà della vita è un dato certo, quello umanamente più sicuro già dalla nascita. Eppure gran parte dei nostri anni possono trascorrere con una sorta di negazione o di conflitto latente a cui non si riesce a dare nome e che, a volte, trascina nell’angoscia esistenziale. Non basta neanche l’acuto umorismo di  Woody Allen ad esorcizzare la questione con aneddoti del tipo: “La vita dovrebbe essere vissuta al contrario. Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno.Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono…”. Il principio di realtà ci ancora ad una evidenzia ben diversa!
Una certa prospettiva laicista prepotentemente vorrebbe svuotare la quotidianità di orizzonti profondi per consegnarla alle apparenze del successo, dell’audience, dei “mi piace” o del numero di contatti. Questa pretesa finisce con il suscitare, man mano, una sempre maggiore inquietudine che, sotto la regia del mercato dei consumi, viene anestetizzata con mere proposte consolatorie come ad esempio  halloween la scorsa sera. Il desiderio profondo, proprio di ogni essere umano, è l’eternità ed il cielo, il mistero a cui appartiene la vita. Il rischio è che tutto venga consegnato, dalle mode attuali, al magico e superstizioso, all’apparenza o alla pienezza del momento, svuotando di senso la vita delle persone. Tutto ciò sgancia l’individuo dalla realtà e lo affida al fatalismo, al potere economico o ancora a quello dell’apparire. Ne scaturisce il vuoto depressivo e, la conseguente, ricerca di evasione propria dei nostri giorni.
Voglio soffermarmi ora sulla prospettiva cristiana e considerare la sfida evangelica che, di fatto, orienta a  costruire relazioni autentiche fondate sulla vicinanza che va oltre la morte. Cristo abbatte ogni muro di separazione, ogni apparenza che vorrebbe suggestionare l’altro per dominarlo. Lui introduce la logica dell’amicizia, si fa servo per trattare da amico ogni uomo e non da padrone. Si fa tanto vicino da identificarsi con l’affamato, con lo straniero ed il carcerato.
Il Vangelo di oggi (Mt 25, 31-46) Commemorazione di tutti i Defunti, invita a cogliere l'essenza del messaggio evangelico: non è possibile scindere l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. È quest’ultimo a misurare l’amore per Dio! Se non c’è relazione d’amore con il prossimo allora la preghiera è vuota, se non c’è esperienza di perdono il rapporto con Dio rimane ferito.
Torna in mente il Messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace consegnatoci da Giovanni Paolo II, oggi annoverato tra i Santi del cielo, il primo gennaio 2002, dal titolo “Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono”. Ecco, la Commemorazione di tutti i Defunti rimanda a questa verità nei rapporti umani. Non possiamo pensare ai Defunti che stanno in cielo quando ci dimentichiamo dell’umanità che sta qui in terra. L’intuizione di papa Giovanni Paolo II allora fu straordinaria ed è di grande attualità per i nostri giorni: pace e giustizia possono sussistere solo se c’è perdono!
Il Vangelo che stiamo meditando denuncia tutte le ingiustizie di ogni tempo: quanti stranieri oggi non sono accolti? Quanta gente manca di un tetto o del necessario per sopravvivere? Quanti carcerati vivono in condizioni disumane? Il pronunciamento del 2002 è entrato nel merito delle finalità dei legislatori e dei politici di turno. Se chi amministra il bene pubblico non è animato da un cuore misericordioso allora difficilmente potrà realizzarsi pace e giustizia (seppure comprendo che sono dei costrutti che dovrebbero essere approfonditi ulteriormente perché il loro significato non è univoco per tutti).
Pensiamo a quel che accade  nelle carceri, ma davvero la pena detentiva nelle carceri italiane ha una funzione rieducativa? Quale finalità guida lo sgombero coatto di famiglie che hanno occupato palazzi abbandonati e che nell’arco di qualche ora vengono lasciate per strada con quel poco che appartiene loro? In quel caso l’Amministrazione locale parla di legalità e non si assume la responsabilità politica di supportare una famiglia indigente. In questo stato di diritto la vita di un carcerato, di un povero, di un anziano vale davvero quanto la vita di un altro cittadino?
Eppure il Vangelo di oggi ci dice che la loro vita ha un valore aggiunto. Proprio quel “prossimo” costituisce l’occasione per incontrare Cristo, non per fare una buona azione ma per incontrare il Signore. Questa riscoperta della prossimità ci rende più umani, e in questo processo di riappropriazione della nostra identità è certo possibile riconciliarsi con il Cielo e con tutti coloro che lo abitano e che, come noi, hanno portato nel cuore la nostalgia ed il desiderio di eternità.
Ieri la Solennità di Tutti i Santi ci ha ricordato la comunione con la Chiesa del cielo e, al contempo, la meta dei nostri giorni. Oggi la Commemorazione di Tutti i Defunti ci conferma che il nostro cammino quotidiano, precario e a volte faticoso, trova senso solo nel ricordo del Cielo quale compimento della vita. La Solennità odierna ci indica, pure,la necessità di sostenerci gli uni gli altri, con la preghiera e le opere, durante tutta la vita terrena e anche dopo la morte.
Noi preghiamo per i defunti affinché possano godere dell’incontro pieno con il Signore, è un ulteriore espressione del nostro affetto per loro e per l’umanità intera. Attraverso la preghiera, infatti, ci prendiamo cura dell’altro che qua in terra è compagno di viaggio e, sempre con le preghiere, continuiamo ad accompagnarlo anche quando ha concluso il suo pellegrinaggio terreno. In questa cura vicendevole, ci ricorda il Vangelo di oggi si rivela il nostro rapporto con Cristo: Lui si identifica con il vicino che bussa alla nostra esistenza.
Già ieri con la pagina delle Beatitudini venivamo incoraggiati ad affrontare la vita con fiducia, appoggiandoci in ciò che davvero può sostenerci. Il termine ebraico tradotto con “beati” equivale a “felici” o ancora con l’espressione “avanti coraggio”, il Signore esorta a rimanere desti per cogliere l’occasione della vita, cioè le opportunità di incontrarlo ogni giorno. Trova felicità chi rimane in ascolto e pertanto aperto a risposte nuove in base alla chiamata quotidiana.
È questo il senso della santità che in cielo trova pieno riconoscimento ma è il frutto del cammino di ogni giorno. Un percorso che non è formale o moralistico (faccio quest’opera di carità così appaio buono dinanzi a Dio e agli uomini) ma orientamento del cuore tanto da divenire spontaneo. È in questo senso che i santi accolti nel regno dei cieli rimarranno stupiti e chiederanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?”. Per loro la santità è cosa naturale, nulla di straordinario. È profonda la novità che ci viene annunciata nel Vangelo: l’amore autentico per l’altro è già esperienza di Dio, Lui si nasconde pienamente nel prossimo che ci sta accanto!
È necessario rimanere desti, la vigilanza è l’atteggiamento tipico del cristiano chiamato a riconoscere i segni che si manifestano nella sua vita, chiamato a percorrere la via della santità. Riappropriarsi del significato della santità significa ritrovare il senso ed il valore dei propri giorni.

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