L'individualismo autoreferenziale quale traguardo del vivere è uno dei falsi miti che contribuiscono a rendere vulnerabile la gente ai nostri giorni. In realtà siamo tutti interdipendenti e l'essere umano abbisogna dell'altro e di altro per sopravvivere, anzi potremmo dire che il desiderio, quale forza della vita, nasce quando c'è relazione e distanza, spazio e tempo di attesa.
Assistiamo, diversamente, ad una spinta verso l'omologazione e la ricerca dell'identico a sé stessi per poterlo accogliere. È la logica che regge le mode dei consumi e che porta intere masse ora a spostarsi verso un prodotto piuttosto che un altro e a modificare gli stili di vita in base a quel che promuove il mercato. Anche nell'ambito lavorativo le catene di montaggio rispondono a questa prospettiva che omologa l'operaio facendogli perdere ruolo ed identità specifica fino a ridurlo ad un numero di matricola come tanti altri e a sostituirlo quando non è più conveniente, come nel caso di donne che decidono di mettere al mondo un figlio e, per questo, si ritrovano licenziate.
La stessa logica guida i politici ad avallare programmi di esclusione dello straniero perchè diverso. Eppure siamo interconnessi e la logica dell'esclusione, ossia la teoria del “muro per proteggersi”, impoverisce terribilmente fino a disumanizzare.
Escludere il diverso e ad ogni costo cercare di omologare l'altro, porta a spegnere il desiderio lasciando l'individuo schiacciato sul piano del bisogno da soddisfare nell'immediato. L'essere umano, in questo modo, diventa incapace di tollerare l'attesa prima di avere una ricompensa, non è più capace di sostare dinanzi al limite che sperimenta nel quotidiano.
L'impulsività ha, così, il sopravvento e lo mostrano gli agiti sempre più violenti in età precoce. A ciò contribuisce anche l'accellerazione esponenziale del ritmo di vita, la frenesia di tutti i giorni per le cose da fare ed i risultati da ottenere. Proprio l'impulsività che nel campo della clinica veniva considerata quale fattore predittivo di una particolare vulnerabilità verso la tossicodipendenza, ci spiega, ulteriormente, la facilità con cui un individuo, ai nostri giorni, scivoli nel tunnel della tossicomania. La transizione dall'uso di una sostanza alla dipendenza, osserviamo, oggi si è amplificata e un'altissima percentuale di persone che fanno uso di droghe man mano ne divengono prigioniere.
Dunque l'uso di sostanze, spesso, è dovuto ad una certa vulnerabilità a motivo dell'ansia o della noia del vivere, dell'assenza di mete e di progetti esistenziali, così come ad una inappropriata stimolazione dei circuiti neuronali durante l'infanzia o l'adolescenza. In particolare le droghe d'abuso vengono ad alterare i circuiti neuronali cerebrali inerenti alla motivazione cambiando perfino i bisogni primari. È così che un individuo prima del cibo cercherà la sostanza per soddisfare lo stimolo da cui è più dipendente.
Una società tossica produrrà sempre maggiore dipendenza patologica e penso alle gravi forme di depressione frutto di un'inappagabile narcisismo infantile che si struttura quando un minore viene accontentato in tutte le sue capricciose richieste senza mai incontrare il limite del “no” educativo.
Quanti adolescenti cercano di superare l'insicurezza ed il disorientamento rispetto al mondo, verso cui si percepiscono impreparati, attravero lo “sballo” che procura un senso di onnipotenza e di leggerezza dell'essere?
Dal nostro piccolo osservatorio di Danisinni rileviamo che le persone hanno bisogno di tornare alla elementarità dei rapporti umani non mediati dalla tecnica, abbiamo bisogno di ricreare contesti di aggregazione informali capaci di ritmo lento e di ascolto vicendevole. È la cultura del gioco, dello stare a raccontarsi, dell'imparare attraverso il contatto con la natura, l'arte e le narrazioni che ci circondano.
Nel mentre torno ad immergermi nei sonori della fattoria comunitaria, inspiegabilmente l'asino Tobia ha intrapreso un'intensa conversazione con le anatre uscite dallo stagno e questo ribattersi a vicenda ha incantato tutta la vallata di Danisinni.