Relazione "riparativa", creare legami

by Mauro 4. dicembre 2016 21:56

     Cultura dell’usa e getta, rapporti affettivi e lavorativi a tempo determinato, mobilità elevata, sono tutti fattori che vengono ad influenzare  l’uomo contemporaneo e a sottoporlo ad una nuova percezione di sé e dell’ambiente che, man mano, ingenera una nuova cultura.

     Si, la tecnologia e, con essa, la velocità nei trasporti e nei collegamenti sta creando nuovi paradigmi culturali tanto che sta cambiando la percezione di sé nel tempo e nello spazio oltreché nel rapporto con gli altri. Basti pensare come contemporaneamente possiamo stare collegati con più contesti anche diversi tra loro o avere grande mobilità fisica in brevissimo tempo.

        Riflesso di questa esperienza è ad esempio il senso dell’amicizia, oggi ben diverso da quello di vent’anni fa; oppure l’esperienza di relazione affettiva ridefinita al punto da potersi innamorare virtualmente o  frequentare una persona senza mai incontrarla fisicamente.

Prendendo spunto da questa cornice, oggi, con la fraternità dei Terziari francescani abbiamo affrontato il senso della relazione “riparativa” ossia quella relazione segnata dall’esperienza del perdono.

Partendo dal passo evangelico di Lc 6, 27 -38, abbiamo colto come l’esperienza del perdono venga ad approfondire la relazione conferendole un’intimità più grande rispetto al momento iniziale.

Si pensi, ad esempio, alla relazione matrimoniale che a principio è dettata da un innamoramento costernato da una dimensione illusoria che prima o poi viene tradita. È nel corso degli anni, dopo numerosi conflitti e riconciliazioni, che il rapporto viene a trovare una sua maturità ed accoglienza reciproca.

Certo ci rendiamo conto di come il creare cose e relazioni sempre nuove, sia più “semplice” del riparare e ciò è ancora più vero ai nostri giorni quando l’ “usa e getta” sembra essere il criterio referenziale per vivere i rapporti con le cose e finanche con le persone!

Sembrerebbe la soluzione più veloce ma questo continuo evitamento della frustrazione, del confronto con il limite, in realtà fa perdere la capacità esplorativa e la nascita del desiderio. La persona, diseducata in tal modo, rimane schiacciata dai propri bisogni compulsivi in cerca di un godimento che di fatto rimane assente. È l’individuo schiacciato nel presente ed incapace di creare storia e legami significativi.

Ricordo da ragazzo quando ebbi la possibilità di comperare un ciclomotore di terza mano attraverso i risparmi di un’estate andando a vendere frutta raccolta nei campi. Mi resi conto in quei giorni che quella moto era ben più preziosa, per me, dei tanti scooter che gli amici si erano procurati velocemente con una semplice richiesta ai propri genitori senza alcuna contestazione. Riconoscevo che non c’era passione in quell’uso, non affezione e mi sorprendeva il velato disinteresse che scorgevo nei proprietari.

La questione dell’ “amare il nemico” è una delle tante declinazioni di questa prospettiva. In fondo, che l’altro sia il proprio nemico dipende solo da se stessi. È comunque una persona differente, con punti di vista e stili che possono essere parecchio distanti. La questione nodale si ha quando l’altro con quello che è viene a confliggere, a volte anche bruscamente, con la nostra vita.

Lo sguardo evangelico mostra come la propria esistenza non può essere consegnata all’altro in quanto, proprio perché fragile, prima o poi tradirà le aspettative.

La propria vita non può essere “nutrita” dall’altro in una mera prospettiva orizzontale: è, piuttosto, necessaria una relazione fontale in cui la persona fa esperienza di riconoscimento gratuito e disinteressato. È la relazione che scaturisce dall’incontro con Dio, evento in cui Lui si dona totalmente per il bene della creatura. Il “porgi l’altra guancia”, allora, è da intendersi quale occasione per l’altro, disponibilità a ripartire mostrando il volto sano e non quello sfigurato dalle percosse.

L’altro non potrà mai guarire le ferite che ha procurate, l’essere umano ha bisogno di verticalità per esperire la guarigione, altrimenti continuerebbe a procurarsi del male nel tentativo di bastare a se stesso.

Il restituire bene al male ricevuto, inoltre, è l’unica azione esemplare capace di disinnescare l’escalation di aggressività che ferisce la gente del nostro pianeta.

Torna ancora una volta in mente, il sorriso di don Pino Puglisi di fronte al sicario che stava per togliergli la vita, Salvatore Grigoli, al quale rispose: “Me lo aspettavo”. Sapeva, don Pino, che lungo la strada avrebbe potuto incontrare uno che si credeva nemico, ma lui, impastato di relazione con Cristo, lo ha trattato da amico e cioè da uomo che, ancora, aveva bisogno di scoprire la bellezza del Volto di Dio e da Lui uscirne conquistato. 

 

Add comment

  Country flag

biuquote
  • Comment
  • Preview
Loading

Month List

RecentPosts