Quel che resta quando tutto crolla

by Mauro 13. November 2016 10:03

         Rivoluzione copernicana in tema di spiritualità è quel che viene meditato questa domenica nelle chiese sparse per il mondo. È la questione di tutti i tempi che attraversa fedi e culture differenti: la ricerca di un luogo ove trovarsi e scoprire l’incontro con il Creatore.

      Il rischio è quello di cercare fuori, in un luogo o in un pensiero ideologico, la garanzia per la propria vita; oppure di rifugiarsi dentro di sé in una fede intimistica che aliena dal mondo finendo con l’idolatria del proprio ego.

Ascoltiamo oggi il profeta Malachia (3, 19 – 20) che descrive in questi termini l’effetto del giorno “finale”: per i superbi, e cioè per quanti hanno mascherato la loro vita sotto la veste della menzogna, sarà come fuoco che brucia e distrugge l’iniquità, mentre per coloro che vivono nutrendo la relazione con il Signore sarà come sole di giustizia che fa risplendere la bellezza della propria esistenza.

Riflettendoci, entrambe le azioni sono a favore del popolo, anche il fuoco che distrugge l’ingiustizia di fatto lascia quel che è autentico, come l’oro che al fuoco viene epurato dalle scorie. La questione, allora, è custodire e nutrire quel che davvero merita.

Nel Vangelo (Lc 21, 5 – 19) troviamo Gesù che osserva le fattezze di un luogo esemplare per Israele: il Tempio. Pensare che circa centomila operai e un migliaio di sacerdoti avevano partecipato alla costruzione di quel luogo per creare tanta bellezza e rendere autorevole il centro del culto e della società d’Israele.

Il popolo trovava, infatti,  la sua unità attorno a quel luogo ed era proprio lì che, in modo privilegiato, incontrava il Signore. Il Dio che lo aveva costituito popolo per elezione traendolo fuori da tutti gli altri popoli.

Il tempio è il luogo per eccellenza, gli altri luoghi in Israele trovano significato solo a partire da quel centro.  Se oggi pensiamo alle moderne cattedrali di consumo, queste vengono additate come moderni luoghi di ritrovo al posto del  luogo di culto quale è la chiesa. Tutto ciò sarebbe stato inconcepibile per Israele, in quanto avrebbe significato perdere la propria identità!

Non si tratta solo di un aspetto religioso, è l’identità stessa di ogni ebreo ad essere narrata in quel luogo, e Gesù lo guarda ma ne prevede già la distruzione. Lui sa bene che la scena di questo mondo passa, ma quel che regge la vita è ben altro: la relazione con il Padre suo.

Quello sguardo, pertanto, inizia a prospettare un modo nuovo di stare nelle cose della vita, affrontando, se necessario, anche persecuzioni e martirio, senza perdere la relazione con ciò che nutre la propria esistenza. Non combattiamo battaglie inutili, non sprechiamo energie come se tutte le questioni fossero importanti, piuttosto  orientiamo il percorso di vita verso quel che davvero conta.

È così che nella prospettiva cristiana la prova, fino al martirio, diventa l’occasione per ancorarsi maggiormente al Signore. La distruzione del tempio coinciderà, infatti, con le persecuzioni ad opera degli imperatori romani, la Chiesa nascerà da questo crogiolo ma, sappiamo bene, il sangue dei martiri renderà feconda la Comunità delle origini. L’imperatore Tito, nel 67 d.c., non lascerà in piedi alcuna pietra del tempio, il suo agire iniquo però svelerà una nuova verità: ora fondamento è l’unica roccia che è Cristo Gesù!

Per Israele il Tempio era “il luogo” e gli altri spazi venivano considerati come “non luogo”, cioè trovavano il loro significato solo in riferimento al Tempio. La vita del credente doveva essere rivolta verso Gerusalemme da cui attingere speranza e gioia, motivo nel cammino quotidiano che si concretizzava con almeno un pellegrinaggio a Gerusalemme nell’arco della propria vita. Al tempo di Gesù gli anziani erano soliti recarsi al Tempio per dare compimento all’attesa della loro esistenza e prepararsi, così, ad incontrare il Messia. Nella Scrittura la prima domanda che il Creatore rivolge ad Adamo è “Dove sei?”. Dio cerca il luogo ove l’uomo si è rifugiato, ma se Dio cerca è perché la creatura ha perso la relazione con Lui e si è rintanata in un luogo privo d’amore, cioè privo di vero riconoscimento: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gn 3, 10).  Il racconto della Genesi ci descrive l’illusione del nascondimento e il tentativo di vivere la vita protetta da una parvenza fatta da mani d’uomo. Ciò costituisce la perdita di un luogo protettivo e la continua ricerca di questo attraverso costruzioni e progetti di vita appariscenti.

Il Tempio non è più da considerarsi il luogo protettivo in quanto tale, non è lo spazio formale o i corsi sacramentali frequentati a sancire l’identità e l’appartenenza al popolo di Dio, ora è la relazione con il Padre a testimoniare l’essere discepoli.

 

Attraverso l’Incarnazione Dio si è contaminato facendosi presente nei luoghi ordinari della vita umana, Gesù ha reso sacro ogni luogo in cui si nutre la relazione con il Padre suo.

È la vita del discepolo di Cristo a diventare nuovo tempio del Dio vivente, è necessario ripartire da se stessi, dalle proprie braccia, da quello che ciascuno, con il proprio quotidiano, può offrire a Dio. È da intendere, però, che è venuta meno l’offerta sacrificale, ove veniva presentato qualcosa di esterno a sé come offerta di espiazione per ottenere il perdono di Dio.

Ora è Gesù l’unica offerta a Dio gradita per cui lasciarsi impastare da Lui, dalle sue parole e azioni, diventa opportunità di rinascita e di condivisione piena con Dio. Lo sguardo cede il posto all’ascolto, l’imitazione alla condivisione, la sudditanza alla comunione. Ecco, il luogo in cui Dio si manifesta è proprio la Comunione intessuta insieme ai suoi figli. 

 

 

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