Da questi luoghi in cui contemplo la valle di Assisi, provo ad immaginare quel che fu, un tempo, la decisione di Francesco, un uomo che si trovò a scegliere un posto tra i minores rinunziando alla posizione tra i maiores così come il coronamento dell’ideale cavalleresco avrebbe comportato. In realtà lo status sociale di Francesco era alquanto alto considerato che era figlio del più ricco commerciante della vallata e, come se non bastasse, aveva pensato bene di perseguire l’escalation sociale andando i battaglia per tornare vincitore. La scoperta di Cristo cambierà l’orizzonte di vita di quest’uomo!
Certo Francesco, a seguire quell’ideale, sarebbe diventato un uomo molto prestigioso per l’Assisi del tempo, avrebbe fatto parlare di sé i contemporanei e, forse, qualche generazione futura. Invece la sua scelta ha profondamente segnato la chiesa, la cristianità e l’umanità di tutti i tempi. Ancora oggi uomini di ogni credo si avvicendano quotidianamente in questi luoghi fino a sostare dinanzi alla tomba di Francesco. È di questa trasformazione, di questa capacità di sosta dinanzi alle profondità della vita che si parla in questa domenica intitolata a "Gesù Cristo re dell’universo".
Eppure la Chiesa nella sua liturgia eucaristica sceglie un passo evangelico alquanto discutibile in merito alla signoria di Cristo. Infatti il brano di Gv 18, 33-37 racconta dell’episodio del processo a Gesù da parte di Pilato. Paradossale certo, come del resto è stato l’insegnamento del Maestro, una testimonianza che contrasta quella romana. Pilato rappresenta l’autorità assoluta capace di valutare il jus gladii, il diritto alla vita o la condanna alla morte. Gesù invece entrando a Gerusalemme cavalcando un puledro d’asina, e non il cavallo tipico dei condottieri che andavano in battaglia, aveva mostrato la sua strategia d’azione: difendersi con la Verità. La forza della verità e non la verità della forza fondata sulle armi e sul potere di questo mondo. Lui in realtà rivela che il suo "regno non è di qui", e poco dopo, quando lo troveremo sulla Croce l'evangelista Gv dirà che accanto a lui stavano due malfattori, "uno qui (a destra)" e "l'altro qui (a sinistra)", come a dire che quest'altro, la Croce, è il luogo del suo regno.
Un potere altro quindi, che si rivela proprio nell'alto della Croce, è visibile guardando al di là delle apparenze/pregiudizi. Dal modo in cui Gesù muore si evince di quale regalità si sta parlando, anche per Gesù (così come accade per ogni uomo) il modo di morire rivela il modo/fine del suo vivere. Questa semplicità da molti riscuote indifferenza, chi è abituato agli sguardi di questo mondo non riesce ad andare oltre i propri schemi mentali: se l’altro non è impostato in un certo modo, tanto da suggestionarmi con i suoi capi firmati o l’auto da vertigine, allora non merita il mio sguardo.
L’impero di allora si ergeva sul potere di vita o di morte, oggi questo lo si esercita in modo più celato, ad esempio attraverso l’esclusione dal mondo del lavoro, o la “trappola” del mutuo finanziario che finisce con l’imbrigliare la libertà di una famiglia o, ancora, la proposta seducente di beni di consumo spacciati per beni di prima necessità. L’interrogativo diventa: Chi è disposto ad avere-apparire meno per essere pienamente se stesso?
Pilato interroga Gesù, eppure sin da subito lo proclama “Re dei giudei”, la testimonianza silenziosa di Gesù sconvolge quell’uomo che si fingeva potente.
È un interrogatorio ove imputato e giudice di confondono, non è facile discernere chi faccia le domande e chi sta a rispondere. Pilato ha paura, la manifesta attraverso la sua reticenza a condannare Gesù, la paura di chi si guarda dentro e va oltre la propria finzione, la paura di chi intuisce il Bene. Sappiamo come Pilato finirà per “lavarsi le mani”, per continuare a fingere.
Gesù apertamente dichiara che il suo regno non è sullo stesso piano, non è questione di armi o violenza, Lui stesso viene ufficialmente proclamato re quando è innalzato sulla croce e coronato di spine. È la logica dell’amore, quello di chi ha fatto spazio all’altro, l’umanità intera. Proprio ai piedi della croce, quando passando attraverso tutto quel male, si udranno le sue parole di perdono verso quell’umanità accecata allora in molti si convertiranno, riconosceranno in Lui la grandezza di Dio.
Al nostro tempo la regalità passa per vie diverse, il traffico d’armi, la finanza che sottomette a sé la politica e le scelte di governo. È la potenza di chi organizza guerre per potere sfruttare l’occasione (per vendere armi, andare in soccorso, potere sfruttare le risorse di un popolo dopo avergli garantito protezione) logiche di affari che spesso, troppo spesso, hanno il prezzo di molto sangue.
La regalità di questa domenica è ben altra cosa, è quella di chi sa fare ricco l’altro, di chi gioisce per il bene altrui, di chi medica e perdona anziché rivendicare. Pensiamo ancora a Francesco, lui che ha aperto gli occhi dopo avere abbracciato un lebbroso. L’uomo condannato a vivere ai margini, al di fuori delle mura della città, l’uomo che suonando una campanella avrebbe dovuto allontanare i viandanti dalla sua presenza, un uomo che doveva gridare non avvicinatevi, cioè non riconoscetemi, sono come un morto. Francesco lo riconosce, gli restituisce la dignità del vivere, l’abbraccio e la cura, gli restituisce la regalità di figlio di Dio. Si, è di questo che si tratta, di un regno che, dice Gesù, viene donato per eredità e non per conquista, regno proprio di chi sa fare spazio nella propria vita, spazio per il prossimo.
Gesù viene interrogato sul suo potere, se davvero è re, e lui risponde dicendo che è venuto per rendere testimonianza (martyréo) alla verità. Dà un’indicazione chiara: la sua forza dipende dal suo martirio. Sapere versare il sangue per una causa è la forza dell’uomo. E l’unica causa per la quale vale la pena donare la propria vita (versare il sangue) è l’amore, che viene declinato nella verità, la giustizia, la misericordia. Questo significa che la sua regalità non può essere difesa con la forza, data dalle armi, tanto meno dalla logica di vendetta.
La chiesa non è inviata per rivendicare, non ha il mandato di conquistare. L’evangelizzazione è altra cosa, i primi evangelizzatori, gli apostoli, hanno costituito le prime Comunità versando il loro sangue. A Roma le grandi basiliche sorgono sui luoghi in cui i primi apostoli sono stati martirizzati.
E' significativo che proprio in questa Domenica, così evocativa dell'identità cristiana, un gruppo di Missionari di strada si trova a Portici per progettare la prossima missione estiva. Loro stanno condividendo con i MdS locali e le Comunità di Portici e Scampia la possibilità di portare il "lieto annunzio" nella prossima estate 2013 nella località balneare di Portici. Anche per chi è chiamato a portare l'Annunzio della fede si impone l'interrogativo a cui Gesù per primo ha dato risposta: quale è il prezzo della regalità che porti?