Passare oltre: ossia Pasqua

by Mauro 18. aprile 2014 09:00

       La Comunità cattolica oggi entra nel triduo santo, un unico Evento scansionato da tre momenti la passione, la morte e la resurrezione. Ma cosa può raccontare all’umanità del nostro tempo l’Evento pasquale? La parola ebraica Pesach indica il cambiamento, il passare oltre. Ma quale cambiamento ha da proporre per la nostra società la Festa cristiana? Eppure ciò che guasta il vivere umano è proprio l'atteggiamento antipasquale caratterizzato dalla mancanza di comunione e condivisione, come se la vita fosse questione di difesa da innumerevoli nemici. Siamo convinti che la paura di perdere qualcosa possa davvero motivare e dare direzione ai nostri giorni? Se così fosse, quale è il vero senso dell'esistenza umana?
        È proprio di questo senso e direzione che parla la Pasqua, come ad aprire una finestra nuova sulla storia di ogni essere umano.
       Partiamo dal memoriale, è quello di un fatto storico: la partenza dall’Egitto, luogo di schiavitù per incamminarsi verso una terra donata, promessa da Dio. La Pasqua viene celebrata con questo atteggiamento di cammino, muovendosi verso una meta. Non significa che l’atteggiamento cristiano sia caratterizzato dalla frenesia o dalla bramosia di ottenere, piuttosto è l’attraversare una strada gustando già il senso della meta. Il sapore è dato già in itinere. Il popolo, in fondo, è libero già dopo che esce dall’Egitto, prima di raggiungere la terra promessa. Mettersi in cammino non significa avere chiara la meta, basta l'intuizione, la meta è scoperta quotidiana e proprio questa ricerca esprime il fascino della vita. Ma senza una direzione la vita è frenesia vorticosa, un imbrigliarsi che volge al ripiegamento su se stessi. Sappiamo bene che nessuno è nutrimento a se stesso, noi non ci bastiamo proprio perchè siamo fatti per la relazione e il significato profondo di questa identità lo si scopre nella esperienza del dono.
        Questo atteggiamento viene manifestato, e ogni giovedì santo se ne fa memoria in modo particolare, con una cena chiamata "ultima", nel senso che è il compimento, la pienezza e pertanto durerà attraverso i secoli. Ed è a questa sera che bisogna tornare per comprendere il significato della Pasqua cristiana.
          Gesù celebra la Pasqua ebraica, ricordando questa liberazione dono di Dio, e introduce un elemento nuovo, dice che ad essere condiviso è il suo corpo, la sua vita.
         Inizia con il prendere il pane, è azzimo non lievitato cioè, a ricordo di quella notte in cui non c’era tempo per indugiare e fare lievitare il pane. Esprime l’abbandono del lievito vecchio, c’è un lievito che intossica tutta la vita, è quello che fa sbagliare direzione: pensiamo ai tanti che fanno della loro vita una questione di apparenza, lievitare fino a dimostrare alla società di essere qualcuno, avere uno status da potenti, un’immagine che induca timore e riverenza. Un lievito vecchio che potrebbe falsare le relazioni: l’altro colto come persona con cui competere, il coniuge come oggetto da possedere o sottomettere, i figli come proprietà da plasmare.
         È importante notare che il pane, cibo essenziale, dice di che cosa ci nutriamo, ciò che ci dà vita. Il presentare il pane sull’altare significa affidare ad un Altro la propria vita, smetterla con la pretesa di nutrirsi da soli. Proprio questo tentativo era stato motivo di quello che in Genesi 2 viene descritto come il peccato dell’umanità: nutrirsi da soli per diventare “come Dio”. Una insinuazione che corrompe la comunione con il Creatore e la verità su se stessi: già loro erano ad immagine di Dio e quindi “come Dio” ma per dono, non per conquista; inoltre dinanzi al creatore dopo l’essersi cibati da soli provano vergogna, si nascondono. La relazione con Dio, la fonte della vita, è ferita e da ciò ne consegue anche una corruzione del rapporto con la terra:  con il sudore del tuo volto mangerai il pane (Gen 3, 19). Ora il cibo va faticato, e in questa disillusione (quella di non essere Dio attraverso il cibo conquistato) va scoperta la possibilità di tornare a Dio, a volgere lo sguardo verso di Lui come a chi si prende cura per amore.
         C’è un ulteriore aspetto, il pane è frutto del lavoro dell’uomo, equivale a consegnare a Dio la propria condizione. Cioè Lui può donarsi se c’è un cuore che consegna il frutto del lavoro, così come “i bocconi amari” da sostenere, la propria fragilità o i propri successi. Presentare a Dio il proprio cibo esprime un atteggiamento di vita, diversamente c’è chi brama e vede l’altro come un rivale da cui difendersi o a cui sottrarre il cibo. L’uomo che presenta a Dio si arrende, sceglie di condividere e di non bastare a se stesso. 

        Presentare a Dio significa aprire la via al suo ingresso chi si apre per offrire al contempo apre una via per accogliere. Differente e chi decide di offrire ad oltranza senza permettersi di accogliere, di ricevere aiuto al momento del bisogno: Adamo ed Eva si nascondono, non alzano a Dio il loro grido di aiuto.
       Gesù nella prima delle tentazioni lotterà contro la pretesa di far diventare le pietre pane. È, ancora, l’ambizione folle di sfamarsi da soli, anzi di piegare la realtà alle proprie bramosie. Gesù risponde con un desiderio opposto: non di solo pane vive l’uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. C’è un nutrimento altro che dà vita, restituisce la gioia dei propri giorni.

         Dopo avere preso il pane Gesù rende grazie al Padre. È una benedizione ascendente in cui si esprime la propria gratitudine per il dono già ricevuto. Gesù identifica quel pane, frutto del lavoro dell’uomo, con il proprio corpo e dice che è l’offerta per umanità, cioè in quell’offerta mette ciascun essere umano. Questa espressione implica una conseguenza fondamentale: Cristo fa entrare nel suo rapporto con il Padre ogni persona.
           Il peccato che aveva ferito la relazione con Dio era dovuto alla pretesa di un cibo rubato, ora la relazione viene guarita attraverso un cibo offerto, donato gratuitamente. La cena pasquale assume questo significato sorprendente, attraverso Cristo ciascuno entra da figlio nella relazione con il Padre. Questo è possibile se si prende parte a quella cena fidandosi della bontà del Padre. Pensiamo all’immagine di un bambino che fa un salto gettandosi fra le braccia del padre, se è sicuro che il padre lo sorreggerà si lancia altrimenti rimane fermo su se stesso ancorato alle sue logiche di sicurezza.
            A principio di quella cena Gesù aveva detto Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e fede anche in me. Io vado a prepararvi un posto. Il cuore dell’uomo resta turbato quando non percepisce di avere un posto. Ora la Pasqua cristiana ribalta la questione che interpella, fino a turbare, l’umanità di ogni tempo: il posto è da conquistare a prescindere dai mezzi, oppure è dono da scoprire attraverso il bene che può esprimere la tua vita?

             Mi tornano in mente le immagini dello scorso anno, quando in questi giorni del triduo stavo a Gerusalemme a meditare ciò che quelle pietre, testimoni muti ed eloquenti, avevano accolto duemila anni fa  http://www.larelazionechecura.it/post/Una-Veglia-nella-Notte.aspx

 




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