by Mauro
16. January 2012 10:35
Agli inizi del '900 Jacques Lacan affermava che L’isterico inventa uno scenario fantasmatico al fine di provare a se stesso e al mondo, che non c’è godimento se non nell’insoddisfazione. L’isterico soffre perché si sbaglia di scena.
È evidente che il malessere e l’esordio patologico, quando sono escluse cause di natura organica, è contrassegnato da un preciso contesto socio-culturale, e se nel secolo scorso il fenomeno isterico ha suscitato molto interesse ed approfondimento oggi l’attenzione sembra spostarsi verso disagi molto più complessi e tendenti al versante psicotico. Ci sembra comunque importante poterci soffermare sulla sofferenza espressa dalla personalità isterica.
Freud aveva appurato che la verbalizzazione di eventi dolorosi e la loro dettagliata descrizione portava ad una graduale risoluzione dei sintomi isterici. Jacob Levi Moreno quando ancora il metodo psicodrammatico era in fase di elaborazione ebbe a curare una donna, una attrice teatrale, che viveva stati isterici e molto violenti nei confronti del marito ma che in teatro appariva persona molto mite tanto da poter interpretare usualmente personaggi angelici e romantici. Facendole fare interpretazioni molto più virulente poté farle esprimere una parte che normalmente restava nascosta fino a portarla ad una graduale integrazione e risoluzione del conflitto interiore.
La personalità isterica cerca attenzione, cerca di essere al centro per potere comunicare e lo fa attraverso il corpo. Ma perché la persona non dovrebbe comunicare attraverso la parola? Si presume che a monte vi sia un forte disagio psichico dovuto a un evento traumatico di natura sessuale ma non solo. Si assiste pertanto ad una sorta di simbolizzazione, non si tratta di una malattia psicosomatica proprio perché si tratta solo di un’imitazione, piuttosto siamo sul piano funzionale. Il disagio viene convertito in un sintomo di natura somatica o in comportamenti teatralizzati o comunque esagerati, anche con manifestazioni convulsive o di svenimento che hanno la funzione di stabilire una relazione con il mondo esterno oltre che di scaricare l’angoscia interna.
Oggi non si parla più di nevrosi isterica ma di Conversione dissociativa, con la classificazione del Disturbo di conversione si vuole intendere uno stato psichico in cui emozioni e percezioni, interiormente censurate, vengono convertite in sintomi fisici e quindi di natura psicogena. Il corpo viene ad esprimere lo stato di disagio con sintomi pseudo neurologici (paralisi, difficoltà a deambulare…), possono esservi sintomi secondari come lo stato crepuscolare o amnesie. Pertanto si tratta di uno stato dissociativo in cui si ha una scissione tra mente e corpo, la mente non riesce, o non lo permette, ad esprimere il vissuto di sofferenza attraverso la parola e pertanto il disagio viene manifestato attraverso forme dissociative quali alterazioni dei contenuti della mente come memoria, ideazione, percezioni, sentimenti.
Siamo dunque in presenza di un conflitto intrapsichico, la resistenza a darsi il permesso di comunicare la propria sofferenza e la difficoltà a tollerare la pressione sociale e le richieste che vengono dal mondo esterno, diventano fonte di profonda angoscia. L’intervento terapeutico dovrebbe sostenere l’integrazione della persona e favorire l’esternare i conflitti rimasti irrisolti. Torna un aneddoto a noi familiare: lavorare per creare contesti di reciproco riconoscimento. E nel caso del Disturbo di conversione utilizzare il canale teatrale non per mantenere il malessere ma terapeuticamente per risolverlo.