Sono sempre più rare ai nostri giorni figure come quella del pastore o dell'agricoltore che fino al secolo scorso, in modo emblematico, potevano mostrare il senso del rapporto di cura, il vivere quotidianamente la custodia dell'altro.
La figura del pastore ha un'evocazione biblica assai preziosa, Dio è il pastore del suo popolo, Gesù è il bel pastore venuto a cercare la pecora smarrita. I tratti del pastore vengono delineati in modo sempre più marcato nella storia d'Israele fino ad arrivare al volto di Cristo che si fa condurre “come pecora condotta al macello” pur di salvare il suo gregge, è il volto della compassione proprio di chi perdona nonostante tutto, è il volto che cura.
Quello di Dio è un fare generativo, Lui favorisce la crescita e desidera che ciascuno possa prendere il largo. Non si tratta di appropriazione che sottomette ma di appartenenza che crea legame e, proprio per questo, permette l'espressione piena.
Troppo siamo abituati alle massime libertarie costruite sulla perdita delle radici, il rinnegamento di ogni memoria per non avere alcun limite, come se la libertà coincidesse con la possibilità di fare molteplici scelte senza alcun vincolo. Il criterio per essere liberi secondo questa visione sarebbe di tipo quantitativo, più possibilità di scelte equivarrebbe a maggiore libertà e questa percezione è quel che nutre il senso di onnipotenza, proprio, dell'uomo contemporaneo.
Poi, accade che la vita mostra la precarietà dell'esserci e ciascuno fa esperienza di come basti poco per fermare la corsa frenetica del quotidiano. È lì che si presenta l'occasione di rivedere il senso delle cose e vocliere la libertà come modo di affrontare ogni accadimento senza lasciarsi travolgere dagli eventi esterni.
La libertà, altrimenti, diventerebbe una questione di contesti con la convinzione che è libero chi ha un'economia più florida o, ancora, chi è “fortunato”. Il mercato dei consumi infatti vorrebbe darci un'illusione di libertà legata alla capacità di acquisti: più posso spendere e più sono libero!
Pensiamo, piuttosto, che è libero chi sa stare nel legame, chi sa difendere le sue scelte fronteggiando anche dure battaglie così come fu per grandi uomini di giustizia del nostro tempo come Boris Giuliano, Falcone, Borsellino, Puglisi.
La libertà va difesa, custodita e donata, è quel che mostra la Parola di questa domenica in cui Geremia fa riferimento alla custodia che il pastore deve avere per il suo gregge, il popolo d'Israele. Il Vangelo (Mc 6, 30-34), ancora, mostra come Gesù si prende cura dei suoi invitandoli a “stare con lui” prima e dopo l'Annuncio missionario.
Anche l'apostolo è chiamato a custodire la relazione con Dio altrimenti la sua parola rischia di diventare manipolazione, mero esercizio di potere volto appropriazione dell'altro. La Parola di Dio è liberante, questo non significa che è pacifica, richiede una scelta, un andare oltre mollando la presa di ciò che schiavizza.
Gesù mostra il volto del Pastore, Lui si prende e cura e dà fiducia, gioca d'anticipo e non è ricattatorio il rapporto che costruisce con i suoi.
Si china quando il gregge è smarrito, lo va a trovare lì dove si trova e non esita a donare la sua vita pur di farlo tornare alla luce. Il cristianesimo si fonda su questo rapporto liberante, relazione che non obbliga ma dona tutto, è da questa pienezza che scaturisce la libertà cristiana e la capacità di essere custodi gli uni degli altri.
La questione sui flussi migratori oggi, parte ancora da una pretestuosa domanda, la stessa che fu allora di Caino: “sono forse io il custode di mio fratello?”.
È proprio questo il punto, saremo liberi quando ci scopriremo tutti difensori di chi ci sta attorno. Gesù dopo avere chiamato i suoi in disparte si muoverà a compassione perchè riconsocerà la fame di tanti che lo seguono. Comprendiamo: la giustizia scaturisce dalla misericordia.