I confini sono rivelatori del fenomeno sociale e nel tempo, se non abitati dal dialogo, si sclerotizzano in un distinguo culturale che segna un muro di demarcazione in cui il diverso è considerato nemico.
È così che veniva etichettata l'area di Tiro e Sidone, regioni impure ed idolatre, ed è lì che si ritira Gesù uscendo dal territorio d'Israele. Si allontana dalle folle che lo seguono più per una ricerca miracolistica che per la fede in Dio, e prende le distanze pure da scribi e farisei che giudicano il Suo operato tramando contro di Lui.
Si ritira per pregare e cioè per stare in dialogo col Padre, Lui è relazione e il ritirarsi in solitudine è per stare in ascolto. Non si tratta dell'isolamento di chi si chiude in se stesso ma del raccoglimento che permette di approfondire il senso di ogni cosa.
In simile contesto il Vangelo di oggi (Mt 15, 21 – 28) ci presenta una donna cananea, straniera e dunque pagana, che si rivolge a Gesù per chiedergli aiuto. Lei sperimenta tutta la sua impotenza perchè la figlia è oppressa dal demonio e invoca la Sua misericordia affinchè sia liberata.
Gesù attende, non è emergenziale il Suo intervento, e se Dio attende è in vista di un bene ulteriore, vuole andare in profondità perchè ha poco valore intervenire solo sui sintomi dei mali. Gioele (2, 13) dice di come Dio è tardo all'ira e ricco nell'amore, cioè attende perchè desidera donare la guarigione e non agire solo per punire e colpevolizzare. Ciò che muove l'opera di Dio è solo l'amore, per cui l'attesa è funzionale a crescere nella relazione di affidamento e, conseguentemente, di accoglienza.
All'insistenza della donna Gesù risponde dicendo che prima deve intervenire per il popolo d'Israele e solo poi per i pagani. Loro sono indicati come “cani” perchè tacciati di essere politeisti.
La donna poteva accostarsi a Gesù secondo una logica idolatra chiamandolo “Figlio di Davide”. Lei non è una israelita e non conoscendo il significato di questo titolo poteva portare il retaggio della credenza riferita alle capacità taumaturgiche del re Salomone.
La missione di Gesù non è quella di suggestionare con i suoi poteri, piuttosto desidera costruire relazioni di fede in cui l'esperienza della misericordia svela il volto del Padre suo. Perciò attende e si sottrae ad aspettative fuorvianti, in questo modo fa arrivare all'essenziale l'interlocutore che desidera aprirsi alla fede.
La donna, dunque, risponde con un'espressione lapidaria: “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola...”. La cananea ha colto che nel rapporto con il Cielo basta l'essenziale, un raggio può illuminare tutta la propria storia e una Parola dare senso all'intera vita, basta una briciola così come in una sola particola eucaristica è racchiuso l'Autore della storia.
È l'essenzialità che abbiamo meditato ieri durante la festa dell'Assunzione di Maria al Cielo. Lei si è fidata della promessa di Dio il quale può realizzare l'impossibile a partire dalla pochezza di una creatura. Ai piedi della croce, malgrado la palese ingiustizia e lo straziante dolore, ha continuato a credere nella Parola che va oltre le tenebre della morte.
Per credere che siamo fatti per il Cielo è necessario guardare in profondità oltre ogni apparenza, Gesù di Nazaret. Dio si è fatto uomo, consegnando la sua divinità alla fattezza di un corpo come ad indicare che la fragilità non è un limite per Lui.
Nel mentre che l'umanità cerca di farsi grande di fronte a se stessa e agli altri, scadendo in continui deliri di onnipotenza che generano esclusione e violenze di ogni genere, il Dio dell'universo si china nella precarietà umana rivelando come Lui visita la creatura. Da allora è nella storia quotidiana che è possibile riconoscere le tracce di Dio, accoglierlo o rifiutarlo, seguirlo o tramare vie di distruzione.
Ancora oggi Maria e la Cananea ricordano al mondo intero che una sola è la Via che conduce al Cielo: il cammino quotidiano che fa della propria piccolezza l'occasione per rimanere in ascolto di Dio.