L'esperienza della Resurrezione appartiene alla quotidianità

by Mauro 11. novembre 2013 12:00

          Quale provocazione ci viene dalla pagina che ieri milioni di cristiani hanno ascoltato nelle chiese sparse nel mondo? Gesù risponde ai sadducei  esplicitando il significato della Resurrezione. Il tema centrale della fede cristiana, infatti la fede nella Resurrezione è ciò che distingue e caratterizza in modo unico il cristianesimo.
           Duemila anni fa la mens greca si è dovuta confrontare con una cultura ed una proposta di vita che sapeva di assurdo: risorgere con tutta la corporeità oltre la morte! Il corpo dal cristianesimo non viene più inteso come  un giustapposto cioè quale accidente da sopportare a discapito della sostanza. Con il cristianesimo diventa il luogo della rivelazione. Il corpo e la storia divengono luoghi teologici in cui è possibile rintracciare l’impronta di Dio, la sua immagine visibile agli occhi. Si tratta di riconoscere la realtà in modo nuovo, la fede nella Resurrezione non è un mero proiettarsi verso la meta ultima ma un’esperienza che appartiene già all’oggi: ogni giorno il cristiano è chiamato a risorgere dalle morti/ferite che possono segnare la quotidianità. È secondo questa prospettiva che l’esperienza del dolore diventa spinta a cercare con maggiore lena il Volto di Dio nella propria esistenza.
          Lo “sguardo” greco non era capace di accettare questo salto proprio perché, secondo la prospettiva platonica, trovava nel corporeo una sorta di soggettività inaffidabile. La percezione sensibile non era riconosciuta come obiettiva proprio perché varia a seconda della persona, del corpo percipiendi, e pertanto priva di oggettività. Il metodo scientifico improntato su questa prospettiva fa della ricerca un tentativo di visione, un trovare le verità attraverso l’osservazione empirica. Nella mens cristiana invece la contemplazione è frutto dell’ascolto, dell’accoglienza di una rivelazione (per un approfondimento rimando al post http://www.larelazionechecura.it/post/Tornare-alle-cose-dellanima.aspx).
          L’essenza delle cose si rivela se la creatura resta in ascolto, capace di andare dentro se stessa portando l’altro, senza isolarsi dal contesto che vive ma accogliendone la risonanza interiore. È così che il Creatore si rivela e non attraverso l’apparenza, la mera luce esteriore delle cose.
          A fronte di un sistema sociale che oggi in speciale modo spinge verso una cultura dell’apparenza e della sordità, il cristiano è chiamato a fermarsi attorno alla proposta della Resurrezione. 
          È interessante notare come diversi intellettuali negli ultimi mesi di vita di papa Giovanni Paolo II abbiano colto nella sua fragilità ed impossibilità a parlare una sorta di crollo dell’immagine del vescovo di Roma, come a dire che la Chiesa aveva perso la capacità di orientarsi. Niente di più falso secondo la logica della Resurrezione, essa chiede all’essere umano la capacità di andare oltre la visione immediata fino a cogliere la profondità dell’uomo vivente che è ben diversa dalla sua dimostrazione di bellezza, potere, o efficacia formale. E' per questo che Paolo di Tarso (2 Cor 12, 9-10) parlerà della sua debolezza quale forza della sua vita!
          A tal proposito mi preme riportare un articolo dal titolo “La Vita non va in diretta. La Rai chiede scusa” apparso il 6 novembre su Avvenire a firma di  Lucia Bellaspiga:

          Tutto era pronto, lunedì, in casa Tresoldi per la diretta tivù: da due giorni i camion della Rai stazionavano lì sotto, con via vai di giornalisti e cameraman che indaffaravano mamma Ezia, sempre pronta a sfornare focacce. Nel caseggiato di Carugate (Milano) abita Max, il giovane che nel 2001 si è risvegliato dopo dieci anni di stato vegetativo, e quando è "tornato" ha detto una cosa terribile e bellissima: «C’ero sempre stato. Sentivo e vedevo tutto, ma non sapevo come dirvelo».

          Da allora, pur disabile, gira l’Italia a testimoniare come la cura dell’amore non sia una fiction ma l’unica terapia nota (la scienza neurologica la chiama "effetto mamma") e anche a «La Vita in Diretta» doveva raccontare la sua storia di speranza. «Riempite la casa di amici – avevano chiesto da via Teulada –, dobbiamo dare un grande messaggio alle famiglie». Così in tanti hanno preso ferie e puntuali alle 16.30 erano lì intorno a Max per quei venti minuti di diretta, molti per i tempi televisivi, pochi per raccontare dieci anni di attesa e un risveglio incredibile.

          Ma per ore in studio si parla di altro e la parola passa a Carugate quasi alle 18, mentre già scorrono i titoli di coda. Max è stanco ma sorride, alza il pollice per dire che è ok, sua madre si affanna a riassumere, l’inviata della Rai pure. Due minuti tra tutti. Stop. Si torna in studio, commento finale affidato ad Alda D’Eusanio: «Quella non è vita», spara in faccia a Max, che non ha avuto il tempo di srotolare il poster in cui aveva scritto di suo pugno "sono tanto felice". «Tornare in vita senza poter più essere libero – ha proseguito imperterrita la D’Eusanio – e soffrire, e avere quello sguardo vuoto... mi dispiace, no!».

         Non l’ha sfiorata il dubbio che quella «non vita» la stava ascoltando, non ha visto l’indignazione che passava in quello «sguardo vuoto», e nemmeno l’agitazione di Max sulla sedia a rotelle, arrabbiato di non poter urlare, proprio come nei dieci anni di stato vegetativo. «Rivolgo un appello pubblico a mia madre – ha continuato ormai senza freni Alda D’Eusanio –, se dovesse accadermi quel che è accaduto a Max, non fare come sua mamma!». Ovvero non abbracciarmi, non baciarmi, non lavarmi, non girarmi nel letto, non darmi pranzo e cena... Perché solo questo ha fatto Ezia, insieme al marito Ernesto e a quel mare di amici di Max conosciuti all’oratorio o sui campi di calcio, non terapie invasive, non respiratori o cannule, non accanimenti. Ha curato e amato.

         Imbarazzo dei conduttori Paola Perego e Franco Di Mare, lui visibilmente commosso da Max e disgustato da una D’Eusanio che ora a Max dà persino del morto: «Quando Dio chiama, l’uomo deve andare!». Insomma, doveva crepare. Parole choccanti, il pubblico gelido non applaude. Mamma Ezia da Carugate ce la fa a riappropriarsi del microfono per gli ultimi secondi di trasmissione: «Voglio dire a quella signora che io non ho riportato in vita mio figlio, mio figlio è sempre stato in vita. E la sua vita è bella così com’è».

         Finita la trasmissione, da Roma gli autori della trasmissione subito chiamano casa Tresoldi. Si sono accorti che la Rai ne esce male, chiedono scusa, cercano di uscirne in qualche modo. Le telefonate vanno avanti fino a notte, ma Ezia insiste con ferma dignità: «Esigo le scuse del direttore di RaiUno, non per me ma per mio figlio. Cos’è diventata la Rai? Chi invita come esperti? A che titolo quella donna dice a mio figlio che la sua vita è indegna?».

         Questo è il vero problema. Dei venti minuti previsti sugli stati vegetativi, ben 16 (sul sito Rai si può rivedere la puntata e fare la "moviola") sono stati dedicati a presunte «visioni del paradiso», addirittura «porte dell’aldilà», luci «che immettono in un’altra dimensione», con interrogativi "profondissimi" del tipo «forse sono viaggi ai confini della vita che ci attende oltre l’esistenza terrena?».

          C’è chi in sei giorni di coma ha visto le farfalle, chi la nonna. Max no, non ha visto niente in dieci anni, perché lui vedeva noi, i medici, la città, la vita vera, ma non riusciva a comunicarcelo. Questo è il vero mistero, ma in studio non un neurologo, non un giornalista informato. Confondere due temi seri come stato vegetativo e vita dopo la morte ridicolizza entrambi, oltre a creare un pericoloso fraintendimento coma=morte cerebrale. Derive ancora più inaccettabili se ce le imbandisce mamma Rai, fino a prova contraria servizio pubblico di informazione.

Add comment

  Country flag

biuquote
  • Comment
  • Preview
Loading

Month List

RecentPosts